«Trump ha detto che la mia casa era un porcile quando hanno provato con gli ordini di acquisto forzato. Bene, ma è il mio porcile, è casa mia e non mi butteranno fuori. Non ci sono stati aspetti positivi qui con lui. Ha rovinato le dune, ha rovinato tutto, mi ha chiuso la spiaggia dove andavo a pescare. Forse pensa di poter rendere le cose più belle, ma non c’è niente di più bello della natura». Il 70enne Michael Forbes, residente a Menie (una remota area rurale dove le case sono accessibili tramite strade a una sola carreggiata in un’area di straordinaria bellezza e sito di interesse scientifico sulla costa nord-orientale della Scozia) è un contadino assurto alle cronache da 16 anni per essersi rifiutato di vendere la sua terra a Donald Trump che ci voleva costruire «il più grande campo da golf del mondo».
Lui e la moglie Sheila Forbes tra un mese saranno i protagonisti della mostra «L’amore non è ancora il meno» al Museo di Fotografia Contemporanea di Chicago. Non di persona ma con i ritratti loro scattati da Alicia Bruce, fotografa pluripremiata che ha raccontato questa storia nel suo nuovo libro I Burn But I Am Not Consumed (Daylight Books), che sta diventando un caso editoriale negli Stati Uniti.
Il libro descrive la lotta dei residenti contro l’attuale ex-presidente che li voleva sfrattare per costruire il campo di golf più grande del mondo, un hotel a cinque stelle con 450 camere da letto e 950 appartamenti di lusso. Parliamo di 16 anni fa, ben prima che il magnate americano entrasse in politica.
Grazie alla resistenza di Michael e Sheila Forbes con altri abitanti di Meine, Trump dovette rivedere il suo progetto che realizzò ma molto in piccolo rispetto all’idea iniziale. Adesso però «le ruspe sono tornate», denuncia Alicia.
«Il libro onora la comunità costiera scozzese, la gente di Menie che si è rifiutata di piegarsi, di vendere e non se ne è andata. È la documentazione di un popolo straordinario che ha resistito al denaro, al potere e alle minacce per salvare la loro terra e le loro case dal cosiddetto ‘acquisto obbligatorio’, un processo attraverso il quale un’autorità pubblica ha il potere di espropriare terreni privati per progetti ritenuti nell’interesse pubblico», racconta a VITA da un parco giochi per bambini del nord della Scozia Alicia, docente e tutor presso l’Edinburgh College of Art, dell’Università di Edimburgo.
«Ho iniziato questo progetto nell’estate 2010 quando è iniziata la costruzione del controverso Trump International Golf Links Scotland», spiega lei, perché preoccupata che «il nostro patrimonio potesse essere svenduto così facilmente» dopo avere letto un articolo del New York Times che attirò la sua attenzione. Parte della stampa locale, però difendeva il progetto del magnate, e preferì recarsi sul posto a Menie per incontrare di persona gli abitanti. Fu lì che si convinse che gran parte di ciò che veniva pubblicato dai media locali era semplicemente «fake news».
«Sono andata a visitarli perché la copertura della stampa non sembrava autentica, le persone che ho incontrato non erano affatto come erano state descritte e mi ha inorridito il modo in cui li giornali avevano influenzato l’opinione pubblica. Ciò che mi ha colpito di tutti a Menie – continua Alicia – è stata la capacità degli abitanti di denunciare le bugie degli impostori e la volontà di proteggere l’ambiente al di sopra del profitto, del privilegio e del golf per super ricchi».
Molti sono i ricordi di Alicia quando ha scattato i ritratti ai contadini del posto. «A volte sono stata fermata dalla polizia mentre cercavo di fotografare, con gli agenti che arrivavano a casa degli abitanti e chiedevano loro se era tutto a posto, a causa della mia presenza. Incredibilmente poi la polizia si recava nei loro giardini e terreni e cercava di impedirmi di scattare foto perché il team di Trump li aveva avvisati per telefono della mia presenza».
Nel 2012, un agente della sicurezza al soldo del magnate statunitense ha tentato addirittura di rubarle la macchina fotografica, come risulta da una denuncia fatta dalla Bruce al commissariato. Altri ricordi invece sono «molto emotivi, molto tristi, altre volte anche gioiosi. Alcuni servizi fotografici erano semplicemente divertenti, ridevamo tutto il tempo e ci divertivamo perché siamo diventati molto amici di tutti quelli che vivono lì». Ma, soprattutto, «i residenti hanno sempre detto che fare le foto per loro era una bella distrazione dalle cose orribili che stavano accadendo».
Con i contadini di Menie Alicia ha mantenuto un legame molto forte, come lei stessa ci spiega. «Sono così calorosi ed ospitali, ma stavano subendo un torto terribile e sono stati costretti a finire sui media contro la loro volontà, dimostrando però alla fine di essere davvero adorabili e gentili». Riuscire a salvare le loro case «è stato fantastico, sono riuscita a dare una mano in questo» ma «ora si sta costruendo un secondo campo da golf e, quindi, tutto sta ricominciando, le scavatrici sono tornate e con loro anche le tensioni».
Dopo la mostra a Chicago, Alicia tornerà dai suoi amici di Menie, che gli hanno insegnato «che anche da semplici individui singoli possiamo dare il nostro contributo per cambiare in meglio le cose e che non è necessario avere dietro un’organizzazione potente per attirare l’attenzione su quello che non va». L’altra lezione è che «persone come Donald Trump non capiranno mai ciò che conta per la gente di Menie, ovvero la famiglia, la casa, l’ambiente e l’amore. Non vedono il mondo nello stesso modo in cui lo vedono loro ed è un peccato che si stiano perdendo tutto questo, solo perché non riescono a vederlo».
All photographs are copyright Alicia Bruce from the book I Burn But I Am Not Consumed published by Daylight Books.
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