Diciassette docenti su 22 (due purtroppo hanno dovuto rinunciare all’ultimo momento), di sabato e domenica, pagando di tasca propria, senza guadagnarci nemmeno un credito formativo. Per di più il tema della due giorni di formazione non era uno di quelli accattivanti argomenti ipertecnologici piuttosto in voga oggi, bensì l’antichissimo – e solo apparentemente banale – ruolo educativo dei docenti.
I protagonisti del “mezzo miracolo” sono gli insegnanti della scuola secondaria di primo grado dell’Istituto Comprensivo Viale Lombardia di Cologno Monzese, nell’hinterland milanese e gli educatori di Fondazione Exodus, che con questa scuola collaborano da due anni con il progetto DonMilani2.
«Quando sono arrivata in questa scuola, tre anni fa, ho trovato un grosso problema di insuccesso scolastico, con alti tassi di bocciatura, specialmente nelle prime e diversi alunni pluriripetenti», ricorda la dirigente, Eleonora Galli, che proprio in questa scuola di periferia ha iniziato la sua esperienza da dirigente, dopo aver insegnato latino e greco in un liceo classico di Milano. «Il grosso dei nostri iscritti viene dalle scuole primarie del nostro stesso istituto comprensivo, sono bambini che hanno avuto un percorso scolastico nella norma e che improvvisamente si ritrovavano dinanzi a questo violento stop in prima, dove con la bocciatura venivano bollati come “poco capaci”, non abbastanza abili per la secondaria di primo grado. Vero è che fino ad ora chi ha scelto la nostra scuola è perché non ha scelto, nel senso che le famiglie che fanno scelte selettive hanno portato i figli altrove, la scuola era considerata una cattiva scuola, per via dell’utenza e di ambiente poco accogliente», spiega.
Che fare? «È stato subito chiaro che la scuola da sola non poteva far fronte a un problema così grosso», ammette la dirigente, che così si mette in cerca di «qualcuno che potessero aiutarci»: l’incontro con Exodus e il DonMilani2 avviene così, in maniera un po’ fortuita, cercando su internet a partire dal suggerimento di una collega. Ma che cosa c’entra Exodus – forse nota ai più per il suo fondatore don Antonio Mazzi e per le sue comunità di recupero per tossicodipendenti – con la scuola? In realtà è dal 2010 che Exodus ha avviato un progetto dedicato a quei ragazzi che nella scuola tradizionale non si sentono a loro agio (o la rifiutano esplicitamente) e di cui la scuola tradizionale non è riuscita a tirar fuori competenze, capacità, sogni… ma soprattutto autostima. Il centro del progetto DonMilani2 – partito nel 2010 a Quarto Oggiaro a Milano e ad Africo in provincia di Reggio Calabria – è la relazione educativa: solo se c’è quella si può poi riaccendere una passione e ricostruire un percorso che porti – questo è l’obiettivo concreto – al diploma di terza media. La strada per arrivarci passa però per una relazione uno a uno, spesso lontano dalle aule, ma sempre in sinergia con la scuola e i docenti, che restano i responsabili della formazione del ragazzo. Un modello inedito, ma che funziona.
Il primo anno il progetto DonMilani2 a Cologno Monzese coinvolge sei ragazzi, tutti pluriripetenti: gli educatori li portano fuori dalla scuola, fanno alcune ore di attività educativa e altre ore di discipline, con i docenti che li raggiungono. Cinque su sei superano l’esame. La sesta ragazza in realtà è stata inizialmente agganciata al percorso, ma non lo ha mai frequentato. L’anno successivo si resta dentro la scuola, coinvolgendo venti ragazzi di seconda e terza media, «con l’obiettivo di rimotivarli alla scuola e all’impegno» ma soprattutto per far fare loro l’esperienza che «la loro presenza a scuola non era un ostacolo o un fastidio, ma una cosa positiva, che aveva un senso per loro e per gli altri», spiega la dirigente. Nel secondo anno, lavorando dentro il contesto scuola, «si è posto di più il tema delle relazioni fra educatori e docenti, oggi devo dire che ci siamo amalgamati molto bene».
L’ultimo tassello della collaborazione fra la scuola di viale Lombardia e Exodus è il bando ScuolaAlCentro, che quest’estate ha consentito l’apertura di 400 scuole in Italia: qui le attività sono partite a fine agosto e sono in corso ancora, con quattro laboratori – street art, fumetto, fotografia e giardinaggio creativo – che coinvolgono circa 45 studenti, condotti sempre in coppia da un docente della scuola e da un educatore di Exodus. «Quei laboratori per me sono un piccolo seme che però dà subito un fiore, sono il segno visibile della rinascita della nostra scuola», spiega la dirigente: «il laboratorio per me è la modalità ordinaria del fare scuola, dove ciascun ragazzo possa trovare posto e percepirsi come una presenza che arricchisce tutti. Purtroppo non è sempre così. Però il nuovo anno, che si apriva con questi laboratori, doveva essere l’inizio di una rinascita per la scuola».
L’esigenza fondamentale era quella di fare gruppo tra noi, un gruppo che si identificasse nel medesimo compito condiviso, che è quello di portare avanti i ragazzi stimolando in loro ciò che nemmeno sanno di avere dentro
Eleonora Galli, dirigente scolastica
Ci ha scommesso molto la dirigente. Tanto da accogliere anche la proposta un po’ anomala arrivata da Exodus: una due giorni via insieme, cucinando insieme, lavorando con i mandala sul team building. «La scuola però è in un momento critico, ha bisogno di ritrovarsi come corpo unito, che si concepisce e agisce in maniera unita, non dispersiva», racconta ancora la dirigente. Per di più molti insegnanti di ruolo, gli insegnanti “anziani”, a giugno hanno chiesto il trasferimento: «l’esigenza fondamentale era quella di fare gruppo tra noi, un gruppo che si identificasse nel medesimo compito condiviso, che è quello di portare avanti i ragazzi stimolando in loro ciò che nemmeno sanno di avere dentro».
E così, nel primo week end di ottobre si parte, 15 docenti più la dirigente più il team di Exodus. Una villa fuori Verona, una mattinata passata a cucinare insieme, poi i lavori sul fare gruppo, la riflessione con un pedagogista sulle caratteristiche del buon docente, i giochi la sera, la domenica mattina a riflettere sul compito educativo degli insegnanti e sugli strumenti che possono aiutare a mettersi in gioco in questo modo… Uscire da scuola ha messo in atto dinamiche differenti, e la richiesta «di mettersi in gioco, di compromettersi a livello personale come normalmente la scuola non chiede di fare» ha portato gli insegnanti anche a sentire di avere la libertà di dirsi fra loro cose mai dette prima. «È andata bene, direi, anche se non abbiamo ancora i risultati dei questionari di soddisfazione che abbiamo consegnato ai partecipanti», afferma Marina Gesmundi, referente del progetto DonMilani2 per Milano e provincia: «Abbiamo appena partecipato ai consigli di classe per portare il nostro punto di vista sui ragazzi che frequentano i laboratori, c’è stata un’accoglienza particolare, si è un po’ rotto un muro, c’è ascolto reciproco davvero», racconta.
Dopo quel week end di formazione abbiamo partecipato ai consigli di classe per portare il nostro punto di vista sui ragazzi che frequentano i laboratori. C’è stata un’accoglienza particolare, si è un po’ rotto un muro, c’è davvero ascolto reciproco
Marina Gesmundi, referente Exodus
«La coesione fra i soggetti educanti è fondamentale, lo sappiamo tutti. Fare gruppo tra docenti è importante sia perché i ragazzi avvertono benissimo il contrario sia perché è un bene per noi, se so di poter contare sui colleghi è un bene, perché tutti sappiamo quanto sia faticoso il mestiere dell’insegnare. Scambiarsi idee, supportarsi, fare un colloquio in due o tre con i genitori quando c’è una situazione difficile… è un enorme aiuto», conclude la dirigente.
Quanto al compito educativo dell’insegnante, «è un obiettivo difficile, non scontato e nemmeno tanto condiviso. Ma concepirsi come educatori significa innanzitutto avere negli occhi il volto di ciascun ragazzo, non il programma o il registro o l’attività che abbiamo programmato. Il nostro obiettivo è far crescere quei ragazzi come persone, ciascuno di loro, stimolando ciascuno a dare il meglio che può. È difficilissimo fare 23 didattiche personalizzate, ma è altrettanto vero che continuare a concepire la didattica come un prof in cattedra che somministra sempre a tutti la stessa minestra, tutti i giorni, non solo è inefficace è anche insensato, i ragazzi “non ti calcolano” neanche lontanamente…».
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