2016-2020. Quattro anni che hanno visto una legge importante, quella sui minori stranieri non accompagnati; uno scandalo, Bibbiano, che ha posto sotto attacco un po’ tutto il sistema di protezione dei minori; i trent’anni della Convenzione Onu sui diritti dei bambini e degli adolescenti. E adesso una pandemia, in cui bambini e ragazzi sono stati invisibile… Filomena Albano, la seconda Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza del nostro Paese (l’Autorità è stata istituita nel 2011), ha concluso il suo mandato il 28 aprile e tecnicamente è “in prorogatio”, in attesa che i Presidenti del Senato e della Camera individuino il prossimo titolare della Autorità. Ecco un bilancio di questi anni.
Cosa ricordare di questi quattro anni?
Ricorderei innanzitutto gli sguardi, le parole e anche i silenzi dei bambini e dei ragazzi incontrati, soprattutto in alcuni contesti vulnerabili. E il lavoro incessante per definire gradualmente e non senza difficoltà il ruolo dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, un’istituzione giovane nel nostro Paese. Sono stati quattro anni di grande impegno, sia per lo sforzo di monitorare tanti ambiti (famiglia, salute, istruzione, giustizia, inclusione, protezione, promozione dei diritti e altri) sia perché è stato necessario destinare energie a strutturare sempre più l’Autorità che negli ultimi tre anni ha raddoppiato il personale, acquisendolo faticosamente, nel tempo, con comandi, da diverse amministrazioni e investendo sulla sua formazione. Vi è stato un grande sforzo per rendere sempre più visibile l’indipendenza, l’autonomia e la terzietà dell’Autorità e anche l’aver preferito l’utilizzo del termine Autorità a quello di Garante nazionale vuole proprio mettere in evidenza tali caratteristiche, che realizzano il disegno del legislatore italiano e internazionale. Si è lavorato, infatti, anche sul linguaggio, a partire dall’utilizzo dell’espressione “persone di minore età” in luogo di “minori” per sottolineare il concetto che bambini e ragazzi sono titolari di diritti: un lavoro concettuale che ha investito l’organizzazione dell’ufficio e si è riflettuto pure nella strutturazione per aree del sito dell’Autorità.
Fino ad arrivare al Coronavirus…
In questi ultimi mesi, la pandemia che ha travolto la vita di tutti ha segnato in modo particolare le fasce più vulnerabili dei minorenni, ha acuito i processi di impoverimento e fatto emergere le diseguaglianze. L’emergenza sanitaria è però stata anche l’occasione per far comprendere che i bambini non possono essere dimenticati e che l’infanzia e l’adolescenza devono essere poste al centro delle decisioni. Ma in questi quattro anni c’è stato anche molto altro: sono state approvate leggi – come quella sul cyberbullismo e sugli orfani per crimini domestici – che ci hanno impegnato nei relativi pareri e sono stati aperti cantieri di lavoro su diversi temi, dall’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni per i diritti sociali e civili dei minorenni alla tutela contro ogni forma di violenza nei confronti dell’infanzia. Sono poi state formulate numerose raccomandazioni – precedute da studi e approfondimenti che hanno coinvolto esperti di diverse discipline, associazioni e società civile – finalizzate a migliorare il funzionamento di delicati settori. Ricordo, in particolare, le più recenti sulla tutela degli orfani per crimini domestici, fondate sul lavoro di un gruppo di esperti della Consulta delle associazioni e delle organizzazioni, presieduta dall’Autorità garante. Come ricordava, l’arrivo nel 2016 di tanti ragazzi soli da Paesi lontani ha portato il Parlamento ad approvare, nel 2017, la legge 47 sui minori stranieri non accompagnati. Le nuove competenze in tema di tutori volontari hanno condotto all’elaborazione di linee guida per la selezione e formazione di aspiranti tutori, alla diretta realizzazione della formazione dei cittadini in alcune regioni e alla nascita del progetto di monitoraggio e supporto della tutela volontaria. L’Autorità ha inoltre presentato una proposta organica di riforma del sistema della tutela minorile contenente misure per superare le criticità emerse anche da fatti di cronaca che hanno scosso le coscienze. I trent’anni della Convenzione hanno poi rappresentato l’occasione per sottolineare sia i traguardi raggiunti sia l’esigenza di individuare nuovi diritti, a partire dall’ascolto dei bambini e dei ragazzi.
Restiamo un attimo all’attualità. In questi mesi i bambini e gli adolescenti sono stati invisibili. Anche ora l’approccio non è centrato tanto sui loro diritti ma su cosa è più funzionale per gli adulti (genitori o insegnanti, vedi il dibattito sulla scuola). Lei ha chiesto un esperto di infanzia nella task force per la fase 2 e non è stato inserito. Perché la politica e le istituzioni non hanno visto e poi non hanno voluto vedere i bisogni specifici dei bambini e dei ragazzi? E perché continuano a non volerlo fare?
È un dato di fatto, constatato da più parti, che l’emergenza ha prodotto l’effetto di mettere in secondo piano per un lungo periodo le necessità e i bisogni dei minorenni. Scontiamo l’approccio culturale che qualifica i bambini “minori” invece che “persone di minore età”, che li considera come una “appendice” dei genitori e più in generale degli adulti. Questo conferma che la strada per attuare pienamente la Convenzione di New York è ancora in salita. Ora, dopo la fase acuta dell’emergenza, non dobbiamo perdere l’occasione per rovesciare la prospettiva, puntando sui diritti e ponendo al centro le persone di minore età. Gli interventi dell’Autorità nel periodo Covid, anche quando inascoltati, hanno contribuito a creare il terreno culturale affinché i diritti dei bambini e dei ragazzi fossero presi in adeguata considerazione. È arrivato il momento di tenere conto di quanto questi ultimi mesi sono costati ai bambini e agli adolescenti in termini di compressione dei diritti, in particolare del diritto al gioco, alle relazioni, all’istruzione, allo sport, alle attività ricreative. Adesso aspettiamo di vedere se tali richieste troveranno risposte concrete per dimostrare che la prospettiva culturale della Convenzione è stata recepita nel sistema italiano.
È un dato di fatto che l’emergenza ha prodotto l’effetto di mettere in secondo piano per un lungo periodo le necessità e i bisogni dei minorenni. Scontiamo l’approccio culturale che qualifica i bambini “minori” invece che “persone di minore età”, che li considera come una “appendice” dei genitori e più in generale degli adulti. Questo conferma che la strada per attuare pienamente la Convenzione di New York è ancora in salita. Ora, dopo la fase acuta dell’emergenza, non dobbiamo perdere l’occasione per rovesciare la prospettiva, puntando sui diritti e ponendo al centro le persone di minore età.
Filomena Albano
Come sintetizzerebbe lei la situazione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia?
Sono stati fatti passi in avanti in questi anni. E anche significativi. Resta però ancora molto da fare. Non possono non preoccupare ad esempio – anche alla luce dell’emergenza Coronavirus – i numeri sulla povertà minorile. Ma ci sono anche altri aspetti che abbiamo segnalato di volta in volta e che ci sono stati ricordati pure dal Comitato Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Serve una distribuzione delle risorse finanziarie che tenga conto dei diritti dei minorenni più vulnerabili e occorrono interventi per la non discriminazione delle persone di minore età, in tema di educazione e istruzione (lotta alla dispersione scolastica, edifici scolastici sicuri e accoglienti solo per citarne alcuni) e in favore dei minorenni migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Risulta indispensabile inoltre introdurre un sistema nazionale di raccolta dati disaggregati in modo da coprire tutte le aree dei diritti tutelati dalla Convenzione Onu, dalla violenza contro i minorenni, alle disabilità, sino ai minori fuori famiglia. È necessario inoltre realizzare un sistema uniforme e integrato di servizi neuropsichiatrici per l’infanzia.
L’attuale ministro Vincenzo Spadafora, che l'ha preceduta in questo ruolo, per la sua ultima relazione scelse un titolo sferzante, “L’Italia delle parole: promesse mancate e futuro da inventare”. Lei nella sua ultima relazione parla dell’Agia come di una “realtà in divenire”. Cosa serve per rafforzare l’Autorità e così garantire una migliore tutela dei diritti delle persone di minore età? Lei ha elencato 12 punti, può indicare un paio di priorità?
Quella di assicurare una maggiore incisività ai compiti dell’Autorità garante e di assicurarle personale stabile, in armonia con le indicazioni del Comitato Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. L’organico dell’Autorità infatti andrebbe ora consolidato o potenziato a garanzia dell‘indipendenza e dell‘autonomia. Andrebbe, inoltre, introdotta la possibilità per l’Autorità di sostenere le persone di minore età che sono parte di un procedimento giudiziario e di intervenire liberamente in giudizio in qualità di amicus curiae o di interveniente. È poi urgente regolamentare il rapporto con le figure territoriali di garanzia, prevedendo un allineamento delle normative regionali tra di loro e con quella nazionale in merito ai requisiti di indipendenza, autonomia e competenza esclusiva e definendo in modo chiaro le competenze attribuite ai garanti territoriali e il raccordo degli stessi con l’Autorità nazionale.
Più volte è stato detto che un grosso problema in Italia è la frammentazione del tema “minori” fra Ministeri e competenze, così che alla fine non si sa a chi chiedere conto della mancata realizzazione di un impegno perché quasi non si sa a chi tocchi farlo. Un tema di governance quindi. Lei ha chiesto ad esempio che sia obbligatorio il parere preventivo dell’Autorità sulle leggi statali e sugli atti di amministrazione attiva del governo in materia di infanzia e adolescenza, oggi facoltativo e che il legislatore motivi la ragione per cui eventualmente si discosti dalle indicazioni o dalle raccomandazioni ricevute. Questo cambierebbe le cose?
Sì, cambierebbe le cose. Perché in questa maniera non si tratterebbe soltanto di iniziative di soft law, sporadiche, rimesse all‘iniziativa dell’Autorità, bensì di un modello di intervento nei procedimenti che, pur non vincolante, sarebbe comunque in grado di influenzare in maniera significativa i processi decisionali. L’indicazione delle motivazioni infatti consentirebbe di poter individuare, in modo partecipato e collaborativo, percorsi diversi che garantiscano, comunque, il raggiungimento del medesimo risultato che si propongono le varie iniziative: tutelare i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Lei ha cercato molto di coinvolgere i ragazzi, è un po’ la cifra del suo mandato. La partecipazione a tanti sembra una cosa un po’ naif, un “diamo parola” un po’ condiscendente e per non più di pochi minuti… Perché invece è un punto cruciale di approccio? Che esempio può citare di percorsi originali costruiti con questo approccio?
Prima di ogni altra cosa c’è stato lo sforzo di ascoltare la voce dei protagonisti, i bambini e i ragazzi. Cominciando, nel 2016, da quelli arrivati da Paesi lontani, collocati nei centri di accoglienza, che ho visitato dal Piemonte alla Sicilia, per finire nel 2019 con i ragazzi che sono “inciampati” nella giustizia e che scontano la pena in area penale esterna, divenuti poi protagonisti delle raccomandazioni contenute nel documento AgiAscolta. In mezzo, tantissime situazioni diverse, anche di cosiddetta apparente normalità come i bambini protagonisti dei progetti di mediazione e di diffusione della Convenzione di New York nelle scuole di ogni ordine e grado, i figli dei genitori separati, per i quali abbiamo scritto la Carta dei diritti, tradotta in inglese, spagnolo e tedesco. Devo dire che tutti hanno un posto nei miei ricordi anche se le situazioni di maggiore fragilità e solitudine sono indelebili e hanno rafforzato la motivazione di tutto l’ufficio, diventato negli anni sempre più reattivo. La partecipazione e l’ascolto sono fondamentali per intercettare i bisogni dei bambini e dei ragazzi e per trasformarli in richieste da portare all’attenzione delle istituzioni e quindi in diritti. Ho parlato di “ascolto istituzionale” come modo di operare dell’Autorità. Abbiamo promosso sempre occasioni di ascolto: con i minorenni fuori famiglia per formulare le proposte di riforma del sistema di tutela minorile e sostenendo la nascita del Care Leavers Network; con l’istituzione di una Consulta delle ragazze e dei ragazzi, un organo consultivo permanente dell’Autorità che ha permesso di arricchirne l’intervento a partire dalla voce dei diretti interessati. Non a caso, una delle raccomandazioni ricorrenti dell’Onu all’Italia è stata proprio quella di introdurre sistemi di partecipazione dei minorenni all’interno dei procedimenti e nelle decisioni che li riguardano. Indice che la strada che avevamo individuato è quella giusta per il completamento della rivoluzione culturale introdotta dalla Convenzione di New York. E per rendere i bambini e i ragazzi non più invisibili, partendo dall’ascolto della loro voce. Fondamentale ora è strutturare le modalità di ascolto nell’ambito dei processi decisionali che riguardano i minorenni. È importante anche per gli adulti, per allenarli all’ascolto e, più in generale, per rafforzare la solidarietà della comunità nel dialogo tra generazioni diverse.
La partecipazione e l’ascolto sono fondamentali per intercettare i bisogni dei bambini e dei ragazzi e per trasformarli in richieste da portare all’attenzione delle istituzioni e quindi in diritti. Ho parlato di “ascolto istituzionale” come modo di operare dell’Autorità. Per rendere i bambini e i ragazzi non più invisibili occorre partire dall’ascolto della loro voce. Fondamentale ora è strutturare le modalità di ascolto nell’ambito dei processi decisionali che riguardano i minorenni.
Filomena Albano
In tanti adesso chiediamo “Prima i bambini”, diciamo che mettere i bambini “al centro” è l’unico modo per ripartire davvero. Secondo lei c’è margine perché si avvii davvero una nuova grande stagione educativa con i diritti dei bambini e dei ragazzi al centro? A che condizioni?
Perché si realizzi una nuova stagione è opportuno partire dal basso e cambiare prospettiva. Ad esempio nella Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori abbiamo individuato dieci principi chiave che partono dal punto di vista dei più piccoli in un momento di trasformazione della famiglia. Questo lavoro può essere considerato un modello, una prospettiva da adottare ogni volta che si affronta un tema che solo apparentemente riguarda gli adulti. Solo così sarà possibile porre i bambini al centro in ogni decisione e promuovere un cambiamento culturale in questa direzione. Oggi che si deve ripartire, potrebbe essere l’occasione per iniziare a farlo in maniera sistematica. Spero che queste sollecitazioni siano recepite dall’Osservatorio nazionale per infanzia, che di recente ha ripreso la propria attività, a partire proprio dal prossimo Piano nazionale di azione e di interventi. Un piano che individua gli interventi strategici prioritari relativi all’infanzia e all’adolescenza, da attuare con cadenza biennale, unitamente alle modalità per il loro finanziamento, e sul quale l’Autorità garante sarà chiamata a esprimere il proprio parere.
Un tema che abbiamo molto seguito, con lei, è quello dei tutori volontari per MNA. Quali sono i numeri in questo momento? La formazione e le nomine proseguono o è un progetto che ha già sostanzialmente smesso di crescere?
Il progetto di monitoraggio della tutela volontaria è in corso e a breve l’Autorità sarà in grado di pubblicare gli esiti della seconda rilevazione dei dati, relativi al semestre 1° gennaio – 30 giugno 2019. Anche le nomine dei tutori da parte dei tribunali per i minorenni stanno proseguendo. Un primo monitoraggio è stato pubblicato a novembre scorso e ha permesso di conoscere, grazie alla collaborazione di 27 tribunali per i minorenni su 29, i dati aggiornati al 31 dicembre 2018. Risultavano già iscritti negli elenchi dei tribunali per i minorenni 3.029 tutori volontari di minori stranieri non accompagnati (Msna), di cui 505 provenienti da elenchi preesistenti all’entrata in vigore della legge 47 del 2017.
Quali sono ora i tempi e i passaggi per la nomina del suo successore?
Per la legge istitutiva l’incarico dura quattro anni e la possibilità di rinnovo è esclusa dall’articolo 23, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha uniformato la disciplina del mandato dei componenti delle autorità indipendenti, stabilendo la non rinnovabilità delle cariche di vertice in ossequio ai canoni di indipendenza e imparzialità. I quattro anni sono terminati il 28 aprile e allo stato sono in prorogatio in attesa che i Presidenti del Senato e della Camera, che hanno già pubblicato un avviso di manifestazione di interesse, individuino il prossimo titolare della Autorità.
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