Alessandro Fusacchia è una delle voci che si sono confrontate con noi sul numero del magazine in edicola, dedicato al lavoro. È nato nel 1978 e ha vissuto in campagna fino alla fine del liceo. Poi Gorizia, Parigi, Ginevra, Bruges, Firenze, Roma, Bruxelles. È tra i fondatori di RENA, un’associazione per mobilitare le comunità del cambiamento. Ha scritto tre romanzi, l’ultimo si intitola I solitari. Per tre anni è stato capo di gabinetto al MIUR (il più giovane del Governo): ha lasciato a dicembre 2016. Da ieri è segretario politico di Movimenta, un'associazione politica legata ad Emma Bonino. Professionalmente, dopo quattro mesi “sabbatici” riparte da H-Farm: sarà il consigliere strategico per la nuova area education.
Che lavoro farà esattamente?
Lavoriamo su tutta la filiera, dall’età di 3 anni all’alta formazione, creando programmi formativi che aiutino i bambini a diventare adulti nel mondo di oggi, dove servono competenze relazionali e non solo tecniche. Con l’idea che un modello formativo “italiano” possa anche essere portato con successo in alcune grandi metropoli all’estero. Ci sono già molti progetti per i ragazzi più grandi e ne stiamo sviluppando di nuovi per gli adulti.
L’internazionalità, l’istruzione e l’innovazione sociale: è riuscito a “riconciliare” tutto in un lavoro solo?
Ho sempre provato ad “indirizzare” cose più grandi di me. Sapendo che l’unico modo per riuscirci è non farlo da solo. L’innovazione sociale non può essere considerata la novità di una nicchia: o sperimentiamo nuove forme di convivenza – professionale e sociale – o finiremo tutti ai margini. In Italia abbiamo il mito del “genio”, ma è sempre meno vero che un singolo individuo riesca ad ottenere risultati straordinari. C’è sempre una micro-comunità in cui ognuno fa un pezzo indispensabile del lavoro. Quando andavo a scuola io ti dicevano tutti “non far copiare!”, ma oggi per diventare davvero bravo devi anzitutto imparare ad usare la testa degli altri, insieme alla tua. Anche nel mondo del lavoro, per quella parte di mestieri più creativi, può a volte essere riduttivo pensare “c’è questo lavoro: o lo faccio io o lo farai tu”, come se fosse un gioco a somma zero. Certi lavori riesci a farli e a generarli solo se collabori invece di competere. Nei prossimi anni molti posti di lavoro semplicemente non esisteranno più, non saranno più né mio né tuo. Ma tu ed io potremo sempre di più, in futuro, unirci per dar vita a qualcosa che magari di posti di lavoro ne crea per noi due… e anche per qualcun altro.
L’innovazione sociale non può essere considerata la novità di una nicchia: o sperimentiamo nuove forme di convivenza – professionale e sociale – o finiremo tutti ai margini. In Italia abbiamo il mito del “genio”, ma è sempre meno vero che un singolo individuo riesca ad ottenere risultati straordinari. C’è sempre una micro-comunità in cui ognuno fa un pezzo indispensabile del lavoro. Quando andavo a scuola io, dicevano tutti “non far copiare!”, ma oggi per diventare davvero bravo devi anzitutto imparare ad usare la testa degli altri insieme alla tua.
Quali sono le competenze necessarie per il futuro?
Anzitutto esiste un problema di alfabetizzazione. Il linguaggio digitale non è una competenza tecnica, ma è l’equivalente di ciò che leggere, scrivere, e fare di conto ha rappresentato nel secolo scorso. Chi non parlerà questa lingua rischia seriamente di restare fuori, non solo dal mondo del lavoro, ma dalla vita di tutti i giorni. Tra dieci anni gli analfabeti digitali faranno fatica a pagare una multa, o a fare la spesa. Allo stesso tempo, in un mondo con tanti robot, l’unica maniera per governare i processi è diventare “più umani”, sviluppare più empatia, essere emotivamente intelligenti. Le competenze che sono state più importanti per me e che non ho dubbi continueranno ad esserlo sono due, e non le chiamo nemmeno competenze. Sono la capacità di generare fiducia, e la capacità di gestire la complessità. E poi bisogna rendersi conto che le competenze più importanti saranno ibride: il futuro appartiene a chi saprà mettere insieme mondi che oggi sono apparentemente distanti. Archeologia e design, tanto per fare un esempio. Però servirà essere bravissimi in tutte e due le cose, non accontentarsi di un po’ di conoscenza in entrambe.
Bisogna rendersi conto che le competenze più importanti saranno ibride: il futuro appartiene a chi saprà mettere insieme mondi che oggi sono apparentemente distanti. Archeologia e design, tanto per fare un esempio. Però servirà essere bravissimi in tutte e due le cose, non accontentarsi di un po’ di conoscenza in entrambe.
Scuola, università e formazione hanno o no il problema di ripensarsi per essere all’altezza della sfida del lavoro?
Dobbiamo uscire dalla sindrome del “ripensarsi”. Perché lascia intendere che quando ti sei ripensato il lavoro è fatto una volta per tutte. Purtroppo non funziona così. Oggi serve ripensarsi sempre, non possiamo più permetterci periodi in cui “ci rilassiamo”. Dobbiamo disegnare istituzioni e sistemi formativi che abbiano una enorme capacità evolutiva e adattativa. Anche perché lo skills mismatch non è un problema di compartimenti stagni: anche in questo caso, da figli del Novecento pensiamo ancora che le aziende chiedano alcune figure professionali mentre la scuola formi altri profili, non sempre richiesti. Mentre invece è più complicata di così e non basta ricalibrare i pesi: x professionisti in più di questo, y professionisti in meno di quest’altro. Perché questo è il modello che avevo in mente io a 17 anni, quando fui tentato da iscrivermi a matematica ma poi desistetti perché non vedevo cosa mai avrei potuto fare dopo con quella laurea. In Italia abbiamo troppi laureati in giurisprudenza? Vero. Ma è assolutamente vero se tutti pensano di fare gli avvocati divorzisti o penalisti. Meno vero se capiamo che un numero crescente di mestieri richiede competenze giuridiche e uno può occuparsi di diritto senza mai vedere un tribunale. Serve diventare ibridi ad un certo punto. I lavori del futuro saranno il risultato di connessioni inesplorate.
Gli strumenti messi in campo, a cominciare dall’alternanza scuola lavoro, sono sufficienti?
Non bisogna accontentarsi mai, ma va pure detto che sull’alternanza è stata fatta una rivoluzione. Adesso è obbligatoria e devono farla tutti: non è più una “bella esperienza” da far fare ai ragazzi se e quando c’è tempo, ma uno dei pilastri del loro percorso di formazione e crescita. L’obbligatorietà va gestita, perché non tutti sono pronti e attrezzati: non tutte le scuole, non tutti i docenti. Per questo conta moltissimo l’accompagnamento. Le leggi sono scritte più o meno bene. Ma nessuna legge – nemmeno perfetta sulla carta – funziona se non c’è questo accompagnamento in fase di attuazione.
Lo skills mismatch non è un problema di compartimenti stagni: non basta ricalibrare i pesi, x professionisti in più di questo, y professionisti in meno di quest’altro. In Italia abbiamo troppi laureati in giurisprudenza? Vero. Ma è assolutamente vero se tutti pensano di fare gli avvocati divorzisti o penalisti. Meno vero se capiamo che un numero crescente di mestieri richiede competenze giuridiche e uno può occuparsi di diritto senza mai vedere un tribunale.
Proviamo a immaginare gli snodi in cui bisogna scegliere: cosa consiglia a un quattordicenne oggi? A un diciottenne? A un ventiquattrenne?
A un quattordicenne direi di non aver fretta di conoscersi, di essere più curioso del mondo che di se stesso: perché dalla progressiva conoscenza di ciò che uno ha intorno a sé arriverà la comprensione di ciò che uno ha dentro di sé.
A un diciottenne direi di non avere paura di sbagliare, di decidere anche quando non ha tutte le informazioni necessarie per farlo. All’inizio non sai come fare, ma con gli anni scopri che anche scegliere è una questione di allenamento.
A un ventiquattrenne, invece, il consiglio che darei è di essere veloce, e di non pensare di aver finito di imparare. Se va bene, a ventiquattro anni hai appena finito di capire come si impara nella vita. E gli direi di guadarsi intorno, per vedere con chi fare almeno un pezzo del viaggio che comincia a quell’età.
Cosa consiglia invece a un docente?
Fare qualsiasi cosa pur di uscire dall’isolamento. Ho visto molti docenti bravi fare rete dentro la stessa scuola, o anche costituire reti tematiche. Ma sarebbe bello vedere “reti neuronali” da cui passano scosse elettriche, non solo contenuti, fatte di docenti che hanno una forza di volontà – e una capacità di non arrendersi alle difficoltà – decisamente superiore alla media. Sono loro il patrimonio più prezioso della scuola italiana, indipendentemente dalla scuola o dalla città in cui insegnano. Molti professori sono e si sentono eccezioni, ma io ripeto sempre che a forza di mettere insieme le eccezioni si forma una nuova regola.
Foto di copertina www.h-farm.com
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