Cultura

I pupi antimafia: un teatro sociale che parte dalla Sicilia e gira il mondo

di Gilda Sciortino

Magica, capace di trasportare con il cuore e la mente in tempi e luoghi lontani, l'Opera dei Pupi rappresenta l'identità culturale siciliana. Ancor di più con i Pupi Antimafia, pensati e creati da Angelo Sicilia che dal 2002 porta sul palcoscenico le storie di quanti hanno sacrificato la loro vita nella cruenta lotta contro le mafie. Un'avventura che ha avuto inizio con Peppino Impastato

Nascono a casa Impastato i pupi antimafia di Angelo Sicilia. Era l’11 maggio del 2002 ed ecco, durante un’intensa chiacchierata con Felicia, la mamma di Peppino, la scoperta della grande passione del figlio per i pupi. Sin da bambino. Vincente, la storia poi lo dimostrerà, l’idea di unire la passione per l’opera dei pupi con la militanza antimafia. Fu, infatti, da quel momento che i personaggi dell’impegno antimafia, magistrati, sindacalisti, attivisti, donne che hanno fatto scelte coraggiose, hanno preso vita calcando i palcoscenici di tutta Italia, ma non solo.

A cominciare da Peppino Impastato, la lista è lunga perché la Compagnia Marionettistica popolare siciliana fondata da Sicilia ha raccontato le gesta di personaggi come Pio La Torre e Placido Rizzotto, Rosario Livatino, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il piccolo Giuseppe Di Matteo, Felicia Bartolotta Impastato sino a padre Pino Puglisi tra gli ultimi  arrivati. Senza dimenticare la storia della deportazione e il confino di 45 omosessuali siciliani alle isole Tremiti durante il fascismo.

Siamo teatro civile e lo dimostra la forza del racconto di storie di vita legate all’impegno antimafia

– Angelo Sicilia, fondatore della Compagnia Marionettistica popolare siciliana

I giovani incontrano i pupi antimafia di Angelo Sicilia (foto gentilmente concessa da Angelo Sicilia)

«Quest’ultima narrazione fa parte del progetto “Vite al confino. L’isola degli arrusi”», – racconta Angelo Sicilia -,   «performance di teatro civile. Andando, poi, alle nefandezze compiute durante la guerra, abbiamo anche raccontato la storia di Calogero Marrone, un siciliano di Favara deportato nel campo di concentramento di Dachau in Germania, dove morì nel febbraio del ’45. La sua è la storia di un siciliano esemplare a cui è stata riconosciuta l’onorificenza di “Giusto tra le Nazioni”. Abbiamo sperimentato in questi 25 anni che i pupi, questa forma di teatro antichissimo di figura che nasce con l’uomo, è in grado di raccontare forse meglio di altre tecniche marionettistiche la realtà che ci circonda e che abbiamo vissuto. Rivendichiamo, quindi, con forza che siamo teatro civile e il fatto che un segnale forte lo mandino i pupi siciliani, che nell’immaginario collettivo sono tutto il contrario e cioè folclorismo e nulla di impegnativo, è veramente significativo. È come dire ai siciliani: svegliamoci».

Uno dei laboratori in cui i ragazzi imparano l’arte dei pupi (foto gentilmente concessa da Angelo Sicilia)

Qual è la storia più richiesta?

«Peppino Impastato ce lo chiedono ovunque »,– aggiunge il direttore artistico del Museo dei pupi antimafia, la cui sede è al Castello di Carini, all’interno del quale aleggia la storia della famosa baronessa che ha ispirato una delle prime fiction televisive, come pure uno degli spettacoli del ricco cartellone della compagnia-, «ma  ancora di più quella di padre Puglisi. Poi ci sono Natale Mondo, agente della Squadra Mobile di Palermo che fu decimata dalla mafia. Negli ultimi anni ho cominciato a raccontare anche la storia delle donne vittime di mafia e ‘ndrangheta o protagoniste della lotta alla mafia come Lia Pipitone, Lea Garofalo e Felicia Impastato».

Una scelta azzardata quella che fa rinunciare a una carriera professionale sicura per dedicarsi a un progetto che all’inizio sembrò un salto nel vuoto.

«Vero. A un certo punto ho deciso di mettere da parte la laurea in Economia e Commercio che mi avrebbe portato all’insegnamento per dedicarmi a questo progetto teatrale, in realtà nato nel 1988». – continua Sicilia -. «Ho cominciato con la scuola di teatro del Teatro Massimo. Mio giovane compagno di corso era Salvo Ficarra. Siamo partiti assieme cercando qualcosa che ci desse la possibilità di essere un po’ più rigorosi anche nella vita, trovando sfogo nel teatro. Poi lui ha fatto un tipo di percorso, all’inizio legato al cabaret e al teatro comico, per diventare quel grandissimo attore che è oggi. Io, invece, ho preferito la nicchia, non per questo meno importante, del teatro tradizionale delle marionette del meridione d’Italia, facendo l’ ulteriore scelta dell’impegno sociale e civile, antimafia. Ho tolto le armature ai pupi e li ho vestiti con i nostri stessi abiti,  raccontando le storie di nuovi paladini che non sono più Orlando, Rinaldo, Carlo Magno, che mi piacevano tanto e che mi piacciono tuttora».

I pupi antimafia in classe (foto gentilmente concessa da Angelo Sicilia)

Cosa rappresentano oggi i pupi antimafia?

«Sono sicuramente uno strumento importantissimo in un momento in cui di antimafia se ne parla o troppo o troppo poco e comunque in maniera sbagliata. Noi siamo diventati un antidoto a quella leggerezza che sta di fatto cancellando tutte le voci critiche e di riflessione. Se esagerata, infatti, può avere conseguenze negative, come tutte le mostruosità nei confronti dell’ambiente e degli altri esseri umani a cui stiamo assistendo. Non siamo più abituati a riflettere su quello che siamo stati e che siamo oggi».

Proclamata nel 2001 dall’Unesco capolavoro del patrimonio orale e immateriale dell’umanità, l’Opera dei pupi è diventata nel tempo una delle espressioni più significative della memoria storica e dell’identità culturale della Sicilia, soprattutto nei ceti più popolari. I pupi antimafia, però, sono altro perché raccontano l’epicità di una storia più contemporanea.

Esiste una sorta di rivalità con i pupari tradizionali?

«Nessuna rivalità perché facciamo cose talmente diverse che nessuno invade il territorio dell’altro. I pupi antimafia sono un unicum nel teatro di figura europeo; nascono, continuano con me e spero proseguiranno anche dopo di me».

Una compagnia, la Marionettistica popolare siciliana, fondata da Angelo Sicilia, della quale fanno parte anche ragazzi provenienti da percorsi di vita non sempre semplici.  

«Ad agosto abbiamo concluso all’Istituto penale per minorenni “Malaspina” di Palermo la quinta edizione del progetto “Muoviamo i fili: i pupi antimafia”, affrontando quest’anno la figura di Danilo Dolci con la sua educazione alla non violenza, il suo metodo maieutico.  I giovani allievi hanno portato in scena “Chi tace è complice: storia di Danilo Dolci”, risultato di un percorso che li ha fatti appropriare di un mezzo espressivo capace di allontanarli dalla triste realtà della malavita. Se abbiamo potuto e possiamo fare questo lavoro, lo dobbiamo a tutti quelli che ogni anno ce lo permettono: il Centro di Giustizia Minorile della Sicilia, il valoroso team degli educatori e professionisti dell’IPM guidati da Clara Pangaro, la responsabile del progetto Maria Mercadante, gli agenti di Polizia Penitenziaria guidati dal Comandante Francesco Cerami. Un lavoro importante che ha colpito molto i ragazzi. La dimostrazione è data dal fatto che uno di quelli che seguivo in carcere mi è stato affidato e oggi fa parte della compagnia. Il teatro, quello che facciamo noi, è l’occasione per dare un’alternativa di riscatto sociale. Nel passato abbiamo avuto anche ragazzi immigrati e oggi la mia compagnia è orgogliosa di offrire tanto lavoro a ex disoccupati di lunga durata: la dinmostrazione che in Sicilia, se si vuole, si può lavorare nel mondo della cultura e dell’impegno civile. Bisogna crederci».

Cosa colpisce i giovani che incontrate?

«Un ragazzo mi disse che finalmente aveva capito di cosa solitamente si parla quando si affrontano determinati temi. Questo anche perchè i pupi, come le marionette del teatro di figura, hanno una componente magica, straordinaria, che ti accompagna nella storia: ti ipnotizzano e ti portano con loro, riuscendo a parlare al cuore e al cervello».

Oggi cosa vuol dire parlare di antimafia?

«C’è uno iato molto forte tra noi e le istituzioni, ma la grande salvezza è il pubblico dei giovani e il mondo della scuola che ci accoglie sempre con un entusiasmo incredibile. Questo succede anche al di fuori dal nostro Paese. Abbiamo portato le nostre storie  in Svizzera, Germania, Francia, Israele, Korea del Sud, Russia, dove amano le storie di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, come anche quella di padre Pino Puglisi».

Un percorso che non si ferma.

«A parte le scuole, dove torniamo con l’inizio del nuovo anno scolastico, andremo a fare la stagione teatrale in Calabria; poi ci aspettano gli spettacoli che faremo in giro per la Sicilia con  il Museo delle Marionette “Antonio Pasqualino”. Svilupperemo il catalogo nuovo del ciclo antimafia con oltre cinquanta storie, tra cui quella del missionario laico Biagio Conte scomparso qualche mese fa. Abbiamo introdotto anche la digital art, tecnica nuova sperimentata anni fa, che vede i pupi andare in scena senza teatro, ma con scenografie rappresentate da immagini proiettate dietro di loro».

Dicevamo all’inizio, basta leggerezza.

«Siamo diventati troppo leggeri. Io mi metto sempre dalla parte dei giovani -, conclude Angelo Sicilia»«ai quali diamo sempre un’immagine parziale della realtà. Noi siamo appartenuti alla parte di siciliani più coraggiosi che l’hanno scritta la realtà dando la loro vita. Dobbiamo, quindi, sforzarci per essere punti di riferimento. Sarà un discorso antimoderno, ma va fatto».

In apertura Angelo Sicilia con il pupo raffigurante padre Pino Puglisi (foto gentilmente concessa da Angelo Sicilia)

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