Il 3 ottobre del 2013, undici anni fa, 368 persone persero la vita nelle acque del Mediterraneo, al largo di Lampedusa. Una tragedia immensa, di cui tutti portiamo nella mente l’immagine delle innumerevoli bare, appoggiate una vicino all’altra nell’hangar dell’aeroporto. A salvarsi, all’epoca, 153 persone, molte grazie ai pescatori dell’isola, onorati al nuovo “Giardino dei Giusti” di Lampedusa, creato dalla Fondazione Gairwo, che sarà inaugurato stasera. Tra i pescatori che hanno prestato soccorso ai naufragi quel giorno di inizio ottobre, anche Vito Fiorino, che ha tratto in salvo 47 migranti sul suo peschereccio.
Cosa è successo quel 3 ottobre di 11 anni fa?
L’imbarcazione era stata avvistata da due motovedette – così mi han detto i superstiti –, ma probabilmente pensavano di salvarli la mattina successiva, perché al molo Favarolo c’erano già 400 persone. Poi lo scafista si è accorto che nel vano motore entrava dell’acqua, ha dato fuoco a una maglietta. Un pezzo di stoffa infuocata è finito nel vano motore ed è scoppiato un incendio a bordo. Un ragazzo di quelli che ho salvato mi ha raccontato che le persone hanno iniziato a prender fuoco, così, spingendosi lontano dalle fiamme, hanno mandato la barca in rolling senza rendersene conto. L’imbarcazione si è capovolta; 153 persone si sono salvate, 368 sono morte.
E lei com’è andato a salvare queste persone?
Eravamo alla Baia della Tabaccara, dove stavamo pernottando sulla mia barca, su cui c’era una luce bianca che rimane sempre accesa. I naufraghi l’hanno vista e hanno cominciato a urlare tutti insieme. Il loro primo salvatore è stato il vento di scirocco, che ha portato le grida fino a noi. Io non ho sentito niente inizialmente perché dormivo sotto coperta, invece Alessandro, che era in cabina di pilotaggio, ha sentito le urla e ha dato l’allarme.
Come vi siete sentiti mentre andavate a salvare queste persone?
Quando ho visto i naufraghi ho provato tanta paura, perché sapevo di non poterli salvare tutti. Poi quando ho iniziato a salvarli non ho provato nessuna emozione: la reazione di un essere umano quando un altro chiede aiuto è liberare adrenalina e fare le cose quasi senza ragionare. Poi certamente, una volta che tutto è terminato hanno cominciato a uscire le emozioni, la gioia, il dolore, la rabbia nei confronti di chi non ha portato soccorso e di chi non ci ha permesso di trasbordare i salvati per salvarne altre.
Dopo più di dieci anni, la situazione nel Mediterraneo non è molto cambiata.
Diciamo anche che è peggiorata. C’è molta indifferenza, tutti vogliono bloccare i flussi, ma queste persone scappano da dittature, da povertà, da sfruttamenti. Qualcuno dice, per lavarsene le mani, di andare ad aiutarli a casa loro. Ma in che senso? A non sfruttarli? A non lasciarli nelle mani dei dittatori? Le persone che ho salvato io vengono dall’Eritrea, dove vivono sotto una dittatura. Forse a gennaio 2024 non avremmo dovuto ricevere il loro dittatore al Quirinale; forse non avremmo dovuto farlo entrare nemmeno in Italia. Trattiamo con queste persone perché vendiamo loro armi, perché andiamo a sfruttare i loro giacimenti e perché ci arricchiamo sulle spalle degli altri.
Quando ho visto i naufraghi ho provato tanta paura, perché sapevo di non poterli salvare tutti.
Cosa ha fatto dopo aver portato a bordo i naufraghi?
Li abbiamo portati con l’imbarcazione al molo Favarolo, sono scesi ed erano 47, 46 uomini e una donna. Li abbiamo lasciati lì e nei giorni successivi li abbiamo incontrati.
È rimasto in contatto con loro?
Con alcuni di loro, non con tutti, perché ognuno è andato in luoghi diversi dell’Europa, in Italia ne è rimasto solo uno. In questi giorni sono venuti qui a Lampedusa e due di loro stanno dormendo a casa mia. Possiamo dire che si è creata una grande famiglia.
C’è solidarietà da parte dei pescatori e degli abitanti di Lampedusa verso chi arriva?
Tanta. E anche molta voglia di aiutare. Sfatiamo i racconti che parlano di razzismo sull’isola; chi li fa dovrebbe vergognarsi.
Come si sente, ora che è passato del tempo, rispetto a quello che è successo e che purtroppo sta ancora succedendo?
Felice per le persone che abbiamo portato in salvo e addolorato per quelle che sono morte. Arrabbiato per quello che continua ad accadere. Non si vuole trovare una soluzione. I trafficanti vengono pagati prima, poi il viaggio vada come vada, a loro non importa.
E c’è anche una responsabilità politica.
Certo. Da parte di tutte le fazioni, di tutti i Governi che abbiamo, in Europa è nel mondo. Forse, rispetto ai migranti di oggi, stavano meglio gli schiavi che un tempo venivano portati in America dall’Africa, perché viaggiavano in imbarcazioni più sicure. Adesso sono più quelli che muoiono in mare di quelli che sopravvivono. Noi italiani dovremmo ricordarci più spesso di essere stati, e di essere tuttora, un popolo di migranti. I nostri ragazzi che vanno all’Estero per la maggior parte non sono turisti.
Noi italiani dovremmo ricordarci più spesso di essere stati, e di essere tuttora, un popolo di migranti. I nostri ragazzi che vanno all’estero per la maggior parte non sono turisti.
C’è chi dice che chi arriva in Italia non viene per lavorare…
Se per una settimana tutti i migranti occupati presenti in Italia dovessero incrociare le braccia, penso che ne risulterebbe una crisi finanziaria enorme.
Come la fa sentire il fatto che abbiano onorato i pescatori di Lampedusa nel nuovo Giardino dei Giusti?
È molto bello. È un segno di rispetto per la comunità di Lampedusa, ma anche per tutti i pescatori del Mediterraneo. Quando mi hanno nominato “Giusto” hanno detto che «chi salva una vita salva il mondo intero». Questa targa vale per tutti i pescatori e per tutte le famiglie che danno conforto, aiuto e salvezza alle persone in mare.
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