Al cinema

Human Forever, il film che sta cambiando lo sguardo sulla demenza

di Daria Capitani

Arriva in Italia, grazie alla Diaconia Valdese, il documentario più visto nella storia delle sale cinematografiche olandesi. Il regista Jonathan de Jong ha girato il mondo insieme all'attivista Teun Toebes per raccontare come viene affrontata la demenza in 11 Paesi e cosa possiamo imparare l'uno dall'altro: «È un film sulla speranza, non sulla perdita»

Come si vive in una struttura residenziale per anziani o per persone con demenza? Routine consolidate e fitti programmi di attività, sì, ma tra una visita e l’altra, gli ospiti che cosa fanno? Cosa si dicono? E come si svolge la loro quotidianità? C’è un ragazzo olandese di 25 anni, studente di Infermieristica, che non soltanto lo sa, lo ha provato in prima persona. Si chiama Teun Toebes e per tre anni ha vissuto nel reparto chiuso di una casa di cura, non come operatore o come assistente familiare: da coinquilino. Ne è nato un libro, Coinquilini appunto, e nel 2023 il film indipendente Human Forever. È il diario di viaggio di un giro intorno al mondo per esplorare come viene affrontata la demenza in altri Paesi e cosa possiamo imparare l’uno dall’altro per rendere il futuro più inclusivo. Presentato al vertice del G20 sulla demenza, è già un caso: è il documentario più visto nella storia delle sale cinematografiche olandesi, con oltre 80mila spettatori e un tripudio di premi in Festival internazionali.

Una fotografia dal film. In Danimarca: «Ci sediamo sulla mia giacca, e lei si appoggia contro di me mentre il sole cambia colore. Non è bello?».

Nei titoli di coda, è citata anche una realtà italiana: il Rifugio Re Carlo Alberto, una rsa specializzata in Alzheimer e demenze, gestita dalla Diaconia Valdese in provincia di Torino, sulla collina di Luserna San Giovanni. Una struttura nata in un’area che siamo abituati a pensare come periferica ma che è in grado di guardare al mondo: lavora e collabora con partner ed enti internazionali che hanno permesso di portare al suo interno metodologie e know how innovativi e rivoluzionari nel trattamento del decadimento cognitivo, dall’inizio della diagnosi alla malattia. Proprio grazie a queste connessioni, la Diaconia Valdese è entrata in contatto con l’autore del film (i diritti sono stati acquisiti dal canale tv culturale franco-tedesco Artè) e ha deciso di portarlo in Italia, sostenendo la realizzazione della versione con sottotitoli in italiano.

In collaborazione con il Museo del Cinema di Torino e Piemonte Movie, martedì 8 e mercoledì 9 aprile, alle 21, rispettivamente al cinema delle Valli a Villar Perosa e al cinema Massimo di Torino, si potrà assistere alle due prime italiane a cui parteciperà anche il regista. L’obiettivo è quello di sensibilizzare la popolazione, il settore socio-sanitario e tutti coloro che prendono decisioni sulle politiche di salute pubblica: secondo l’ente ecclesiastico senza scopo di lucro che si occupa di anziani, minori e giovani, disabilità, adulti in difficoltà, migranti e attività di volontariato, Human Forever è «uno strumento fondamentale per promuovere la consapevolezza e il cambiamento riguardo alla demenza».

Da sinistra, il regista Jonathan de Jong e l’attivista Teun Toebes.

Il regista della pellicola è Jonathan de Jong. Insieme all’attivista Toebes ha scritto il bestseller da cui è tratto il documentario e con lui ha viaggiato in 11 Paesi e quattro continenti alla ricerca di risposte per migliorare la qualità della vita delle persone con demenza. Lo abbiamo intervistato alla vigilia della sua partenza per Torino.

Human Forever è già distribuito in venti Paesi. Ora approda in Italia. Che cosa significa arrivare anche qui?

Per me personalmente, è davvero bello. E non lo dico sempre. Dell’Italia amo tutto: il cibo, la cultura, il paesaggio. Ma soprattutto sono felice che questo documentario, che è uscito nel 2023, continui a girare il mondo a un anno e mezzo di distanza. È travolgente e sorprendente, soprattutto perché questo è un film sulla speranza, qualcosa di molto diverso da ciò a cui le persone sono abituate a pensare quando sentono la parola demenza. La narrazione dominante ruota sempre attorno alla perdita, a ciò che le persone non possono più fare nella vita. E invece c’è ancora un mondo da vincere, si può portare avanti una narrazione diversa, che metta al centro la speranza, o meglio, la persona e non la malattia. Si può fare se cambiamo prospettiva: anziché “parlare delle” persone con demenza, sedersi e “parlare con” loro. Quando ero all’università, nei fine settimana facevo le pulizie in un centro diurno: ho conosciuto un sacco di persone, alcune di loro mi hanno raccontato storie molto tristi, di come si sentivano escluse. Quando sono entrato in contatto con il protagonista del documentario, che a 21 anni aveva deciso di andare a vivere in una struttura e ci ha trascorso tre anni e mezzo, è stato immediato condividere con lui il sogno di portare sulla scena mondiale l’altro lato della storia. La demenza non appartiene all’assistenza sanitaria, ma alla nostra società. Il documentario è frutto di ricerche e incontri in tutto il mondo, un viaggio che è durato quattro anni.

Il documentario ha riscosso un enorme successo, non soltanto in termini di pubblico, ma anche per i numerosi riconoscimenti a livello internazionale. Vi aspettavate un risultato simile quando siete partiti?

Il grandissimo successo del libro è stato una prima conferma del fatto che le persone hanno bisogno di una narrazione nuova. E così abbiamo pensato di portare il nostro percorso a un livello successivo: mostrare un’immagine più sfumata della demenza, raccontata o mostrata dalle stesse persone che la vivono. Il numero delle diagnosi è destinato a crescere nei prossimi 20 anni, quindi questa ricerca non è un desiderio, è un’urgenza. Quanto ai riconoscimenti, sono importanti sì, ma soprattuto perché danno risonanza al film e ci permettono di farlo vedere a sempre più persone.

L’attivista Teun Toebes in una struttura Belgio.

Quante strutture avete visitato?

La ricerca è durata un anno e mezzo: soltanto in Olanda abbiamo visitato 50 centri e servizi, anche se non tutti sono stati inseriti nel documentario. In totale, ne abbiamo visti all’incirca 150.

Quale Paese vi ha sorpreso di più?

Nessuno parla di Africa. Mi sono chiesto: perché? Ero davvero curioso di vedere come vengono vissuti lì l’invecchiamento e la demenza. Quello che ho visto è che in Africa non c’è un’etichetta da appiccicare alla persona, semplicemente ci si occupa gli uni degli altri: se al supermercato incontri il vicino di casa e noti che si comporta in modo strano, lo riaccompagni a casa e ti accerti che stia bene. Nel documentario compare la figlia di un uomo anziano che dice: “Sono contenta di essere io di occuparmi di mio padre, è mio dovere certo, ma ne sono anche felice”. Il film si chiama Human Forever perché c’è l’uomo al centro, c’è l’empatia. Si pensa che l’Occidente abbia a disposizione le metodologie più innovative, ma non è sempre così. In ogni Paese in cui sono stato ho invitato a non copiare pedestremente le abitudini di un altro luogo: è molto più importante chiedersi che cosa si intenda per qualità della vita in quel posto e provare a realizzarla. L’obiettivo di un governo e della sua assistenza sanitaria deve essere quello di rendere le persone felici ed è soprattutto nell’interazione umana, nel vedere gli esseri umani oltre i pazienti, che si possono rendere felici le persone.

In Sud Africa.

Le strutture residenziali rischiano di rimanere isolate dal mondo esterno. Che cosa in particolare non era sotto gli occhi di tutti e avete svelato?

Penso che con questo film abbiamo rivelato che si può cambiare ogni sistema, che c’è speranza in ogni sistema… Non diciamo che le strutture siano cattive, per niente, ma sono così nascoste che non fanno parte di una comunità. Diciamo che, quando c’è bisogno di una struttura residenziale, assicurati che faccia parte della società.

In Corea del Sud.

Quali sono le caratteristiche essenziali per una struttura residenziale che funzioni?

Nel film mostriamo alcune realtà in Norvegia e in Belgio dove la qualità della vita è ottima. Il segreto sta nella visione, in un rapporto di fiducia tra direttore e operatori e nell’atteggiamento dello staff: si comporta con gli ospiti esattamente come farebbero con il loro padre o la loro madre.

Pensate di aver cambiato lo sguardo delle persone?

Si è creato un intero movimento nei Paesi Bassi. Ci sono molte strutture che aprono le loro porte, il governo ci chiede consiglio e molte persone ci chiamano per chiederci: cosa possiamo fare per cambiare il sistema? E succede in tutta Europa, in ogni Paese in cui andiamo ci troviamo a parlare con il governo, le parti interessate, le strutture. C’è un vento positivo che soffia sull’assistenza sanitaria: il film innesca un dialogo. Questa era la nostra speranza. Ci sarebbe così tanta speranza da cogliere se soltanto imparassimo a guardare in modo diverso. Nel mondo esistono tantissime persone che da decenni lottano per avere una visione diversa: abbiamo dato loro le luci della ribalta.

Guardando una partita di calcio.

Un’immagine che si porta dentro da questa esperienza.

Un giorno abbiamo proiettato il film di fronte a 700 studenti di Medicina nei Paesi Bassi. Al termine del documentario, un ragazzo di 19 anni si è alzato e mi ha detto: “Amico, mi hai cambiato la vita per sempre. Ora ho un’idea completamente diversa delle persone anziane, di quanto siano preziose. Vado subito ad abbracciare mia nonna“.

Le fotografie sono tratte dal film Human Forever.

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