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Famiglia & Minori

Ho scelto il cognome di mia madre, vittima di femminicidio

di Emiliano Moccia

La storia del giovane Alfredo Traiano raccontata nel documentario del regista foggiano Lorenzo Sepalone. Una storia che trasforma il dolore e la sofferenza per l’omicidio della madre da parte del padre, in voglia di riscatto, di speranza, in messaggio di nonviolenza

«Cambiare il cognome era un passo importante. Avevo deciso di staccarmi dal cordone ombelicale di mio padre. Mi faceva schifo avere il cognome di un assassino. Per questo, a 18 anni come regalo ho chiesto di cambiare il cognome e prendere quello di mia madre». Alfredo Traiano ha solo 25 anni, ma è come se avesse già vissuto più di una vita. Una vita che in questi anni non gli ha risparmiato dolore, sofferenza, ingiustizie. Lutti. Ben due. Di quelli gravi, pesanti, che possono segnare il cammino di una persona. Il femminicidio della madre e l’omicidio dello zio. Ma Alfredo ha trovato coraggio e in questo difficile percorso che lo ha travolto da quando aveva quattro anni, ha trovato la forza di trasformare il dolore in energia, la rabbia in voglia di migliorare la società. La sua comunità, quella di Foggia, in cui continua a vivere e lavorare e a diffondere un messaggio «di speranza, di educazione alla nonviolenza, di pace».

Da sinistra, Alfredo Traiano ed il regista Lorenzo Sepalone

Alfredo racconta la sua storia nel documentario “Nel cognome che ho scelto”, il documentario realizzato dal regista foggiano Lorenzo Sepalone, sempre attento ad approfondire con discrezione e sensibilità le storie delle persone, a scavare nelle dinamiche sociali che riflettono la vita di un territorio. In questo lavoro Alfredo si racconta. E parte dalla vicenda di sua madre Giovanna Traiano, uccisa dal marito il 21 febbraio 2003 all’età di 25 anni nella canonica della chiesa Beata Vergine Maria di Foggia. «Mia madre non poteva fare nulla. Non poteva decidere, pensare, avere un’indipendenza economica. Non poteva lavorare» spiega Alfredo Traiano. «Ogni decisione doveva essere approvata da mio padre. E quando lei iniziava a mostrare segnali di ribellione o cercava di fargli capire che stava sbagliando, lui toccava la cosa più importante per mia madre: il figlio. L’uomo che voleva salvare, era insalvabile».

Un’immagine del documentario “Nel cognome che ho scelto”

Traiano in questi anni ha incrociato tante storie simili alla sua, tanti ragazzi e ragazzi che come lui hanno perso di fatto entrambi i genitori: vittime e carnefici. «Ho incontrato altri ragazzi che hanno avuto la mia stessa sfortuna, che hanno avuto traumi pesanti. Bisogna intendere l’orfano speciale come un ragazzo che sta superando un muro altissimo difficilissimo, perché gli vengono a mancare due figure importanti nella sua vita, le colonne più forti che dovrebbero essere presenti nella vita di ognuno: la figura genitoriale del padre e della madre. Ho incontrato ragazzi che a causa di questo trauma hanno perso anche la parola. Parliamo di un dolore che ci oscura la vista, la vista del futuro. Vediamo solo dolore, sofferenza, le percosse a cui abbiamo assistito dei nostri genitori, in molti casi anche in qualità di testimoni dell’omicidio della propria mamma».

Di qui, la decisione di cambiare il cognome e prendere quello della mamma. «Con questo documentario non voglio spettacolarizzare la figura di mio padre, ma voglio far intendere a chi lo guarda, in particolare ai più giovani, che bisogna prendere le distanze dalla violenza, dalla criminalità, dal diventare una persona che uccide. Bisogna iniziare a distinguere il bene dal male, schifando la persona che impone il proprio pensiero attraverso la violenza, come lo è stato mio padre. Dobbiamo distanziarci da queste figure. La cosa che più mi è mancata da quando ero piccolo era non poter pronunciare più la parola mamma. Per fortuna, ho avuto dei supereroi che sono stati i miei nonni materni che mi hanno aiutato a superare la rabbia contro l’uomo nero che mi aveva sottratto la famiglia».

La locandina del documentario

Ma un nuovo dramma stava per toccare la storia di Alfredo. Un altro terribile fatto di sangue. Suo zio Francesco, con il quale era cresciuto e condivideva sogni e progetti, gli aveva proposto di aprire un’attività lavorativa insieme. Avevano aperto da poco il bar “Gocce di caffè” a Foggia, quando la mattina del 17 settembre 2020, quattro persone aggredirono brutalmente lo zio nel corso di una rapina. Francesco Traiano morì in ospedale dopo 22 giorni di agonia. Gli agenti della squadra mobile nell’ambito dell’operazione “Destino” arrestarono quattro giovani, tutti di età compresa tra i 22 e i 24 anni. Alfredo fu orfano per la seconda volta, avendo perduto anche lo zio a cui era molto legato.

Alfredo Traiano, impegnato in un’altra testimonianza con i ragazzi

Il documentario del regista Sepalone sofferma la macchia da presa su questo aspetto del racconto, facendo emergere la voglia di riscatto, di nonviolenza, di speranza che Alfredo continua a nutrire nei confronti della sua comunità. «Voglio far capire che è facile riconoscersi nelle storie di Gomorra, del guadagno facile e veloce, della criminalità, ed è più difficile vedersi in una società pulita e onesta. Il percorso della legalità è più tortuoso, complicato, ma ti dà la possibilità di essere libero, migliore. Il nostro territorio» conclude Alfredo Traiano «viene macchiato troppo spesso da episodi di violenza, di omicidi, si criminalità. Ma il messaggio che sto condividendo con le persone che incontro è di speranza, è un invito ad alzarci, a fare rumore, ad essere politica di cambiamento». Il documentario è stato prodotto da Sguardi Liberi per il progetto “Motore Ciak Azione”, organizzato dalla scuola media “Giovanni Bovio” di Foggia, in rete con la sede di Manfredonia dell’istituto Michele Lecce, vincitore del bando “Cinema e Immagini per la Scuola” promosso dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell’Istruzione e del Merito.

Foto di Lorenzo Sepalone


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