Imparare a guardare “con gli occhi puliti”, scevri dal pregiudizio, la disabilità. Questo ci insegna il pilota di motociclismo paralimpico Emiliano Malagoli. La gamba che ha perso in un incidente in moto nel 2011 non la rivorrebbe mai e poi mai indietro. Perchè: «Grazie a un evento apparentemente tragico, oggi sto vivendo i migliori anni della mia vita». Solo un anno dopo l’incidente risale in moto. Nel 2013 fonda l’associazione Di.Di Diversamente Disabili, è Brand Ambassador di BMW Motorrad. Protagonista del film diretto da Michelangelo Gratton, “50.000 passi”, in cui racconta la sua epica impresa: correre la maratona di New York nel 2019. «Riesco a completare i 42,195 km dimostrando così che il limite più grande spesso è quello che ci diamo noi stessi». E lo scorso giugno ha pubblicato il libro “Continua a correre. Un'incredibile storia vera” (Paesi Edizioni) dove ripercorre gli ultimi anni della sua vita e spiega perché – prima dell’incidente – della vita aveva capito ben poco.
30 luglio 2011. Cosa ricordi della notte del tuo incidente?
Stavo tornando a casa dal lavoro. Sono salito sulla mia moto. Quella strada la conoscevo bene e non andavo piano, ma neanche fortissimo. Mi trovavo a Montecarlo, un paese a 15 km da Lucca. Era notte, e non so se ho preso una buca o cosa. Ma ho perso l’anteriore della moto, ho cercato fino all’ultimo di tenerla in piedi, di tenermi in piedi, ma era impossibile. Sono caduto e la pedana della moto mi si è conficcata nella gamba e mi ha strappato l’arto. Poi sono rotolato per diversi metri e ho sbattuto forte la gamba sinistra ad un cartello stradale, stavo per perdere anche quella. Non so come sia stato possibile ma ho visto il mio incidente in diretta, in terza persona. Mi sono visto a terra, mi sono visto dall’alto: io che cadevo, io che rotolavo sull’asfalto. Come se la mia anima si fosse staccata dal mio corpo. Poi sono rientrato in me e mi sono ritrovato a pancia in giù in un piccolo dirupo. Era buio e dalla vita in giù non muovevo niente. Riuscivo solo a pensare: “Sono rimasto paralizzato”. Ho preso il cellulare dalla tasca e ho chiamato i soccorsi, sono rimasto 45 minuti a terra ad aspettare che mi trovassero. Ad un certo punto ho sfilato il casco dalla testa. Una cosa che non si dovrebbe mai fare, ma io non respiravo più. Stava cominciando a mancare il sangue. Quando sono salito in ambulanza ero ancora cosciente. Avevo 36 anni e quando mi sono risvegliato non avevo più una gamba.
Il mondo della disabilità è un pianeta parallelo che la maggior parte delle persone non conosce affatto
Emiliano Malagoli
Come hai reagito quando l’hai scoperto?
Quando sono arrivato all’ospedale di Pescia avevo un litro e mezzo di sangue nel corpo. Hanno iniziato le trasfusioni e poi mi hanno tenuto in coma farmacologico per tre giorni. Mi sono risvegliato all’ospedale di Firenze e mi hanno detto che non avevo più un arto. Ho riso, ho riso molto. Ridevo perché non avevo un a gamba ma ero vivo. E mi sono detto “ok, ci sta. Quando uno ha un incidente in moto di solito muore”. Io no invece, ero vivo. Non mi sono concentrato sul male vissuto, ma sul bene che potevo trarne.
Non hai mai avuto un momento di abbattimento?
In ospedale ero allettato ma mi ero fatto portare i pesi per allenare le braccia, mi dicevo “almeno quelle le tengo in forma”. Poi un mese dopo l’incidente i medici mi hanno detto che probabilmente avrebbero dovuto amputare anche l’altra gamba. E ho pensato che tutti quei sacrifici, le cure, il dolore fossero stati vani. Mi sono dettp “potevano tagliarla subito, almeno mi risparmiavo il dolore”. Poi alla fine l’hanno salvata.
Dopo quanto tempo sei tornato in moto?
Ad agosto del 2012. Un anno dopo l’incidente. E nel gennaio del 2013 ho fondato l’associazione Di.Di. diversamente disabili Onlus. Perchè ho visto che era possibile fare le cose, qualunque cosa, senza una gamba. O anche senza un braccio, o anche in carrozzina. E quindi ho fondato questa onlus per dare alle ragazze e ai ragazzi che come me avevano avuto un incidente la possibilità di rimettersi in sella. É un percorso impegnativo sia dal punto di vista economico perché le vetture devono essere modificate, ma anche dal punto di vista emotivo, non è facile superare la paura. Anch’io ero pieni di paura. Quando mi sono tornato in moto mi è passata e ho capito che anche tutte le cose della vita quotidiana avrei potuto continuare a farle. Le paure sono una cosa che riguarda tutti, non solo i disabili e ci limitano. Nella vita, sul lavoro, nei rapporti. L’incidente mi ha aperto gli occhi. Noi non abbiamo la minima consapevolezza di quello che possiamo fare come essere umani.
Nel tuo libro autobiografico “Continua a correre” hai scritto: “La fortuna è un’esplosione contemporanea, una sommatoria di azioni compiute in precedenza, mentre il destino è solamente la reazione alle decisioni che noi stessi abbiamo preso. Non voglio tornare alla condizione precedente”. Non rivuoi indietro la tua gamba?
Se potessi tornare indietro cambierei tante cose della mia vita. Non l’incidente. É stato l’incidente che mi ha salvato la vita, non lo cancellerei mai. Anzi, adesso ho la vita più bella che potessi desiderare. Quella notte mi ha tolto una gamba e in cambio mi ha dato una consapevolezza incredibile. Mi ha fatto riflettere sulla felicità: essere orgogliosi di alzarsi la mattina, di esserci. Abbracciare la tua compagna, i tuoi figli, portare a spasso il cane. Non ci sappiamo godere la vita. Rischiamo di arrivare alla fine del percorso, guardarci indietro e chiederci cosa abbiamo fatto. Per cosa ci siamo affannati. Cosa non ci siamo goduti. Quindi ancora no, non tornerei indietro. Non rivorrei la mia gamba. Perché prima dell’incidente non ero concentrato sulla felicità. Grazie a un evento apparentemente tragico, oggi sto vivendo i migliori anni della mia vita. Perché non è importante cosa accade, ma solo come tu reagisci. L’incidente che mi ha portato via un arto, ad esempio, mi ha dato la possibilità di ricominciare daccapo e oggi non vorrei mai tornare alla condizione precedente, perché questo significherebbe tornare a ciò che ero e alla vita che vivevo. Sarebbe un passo indietro, mentre la vita è come un calendario e non si può che andare avanti.
Se potessi tornare indietro cambierei tante cose della mia vita. Ma non l’incidente, quello mi ha salvato
Emiliano Malagoli
Cosa non sappiamo della disabilità, perché non la sappiamo guardare secondo te in quali luoghi comuni rimaniamo incastrati?
Ho avuto la grande fortuna di conoscere il bellissimo mondo della disabilità, un pianeta parallelo che la maggior parte delle persone non conosce affatto. Qui ho trovato donne e uomini, giovani e anziani, che hanno fatto del loro problema la propria forza, e le cui testimonianze sono un monito e un inno alla vita. Perché dalla loro sofferenza e rinascita si comprende come la nostra esistenza sia la cosa più bella che abbiamo, il più grande regalo che Dio ci ha donato, e che troppo spesso diamo per scontato. C’è un’enorme differenza fra handicap e disabilità. La disabilità è la fotografia di una condizione: per esempio, a me manca una gamba. Mentre l’handicap è la possibilità o meno di fare determinate cose senza quella gamba. Quando cavalco una moto oggi, l’handicap è pari a zero perché faccio le stesse cose di un normodotato. Durante la Maratona di New York il mio handicap era pari a zero, perché ho potuto correre come tutti gli altri. Dunque, per rendere migliore la vita di un disabile bisogna solo ridurre gli handicap anzitutto mentali e poi fisici e, dopo, la vita sarà come quella di tutti gli altri. La mia è cambiata il giorno che ho iniziato a pormi degli obiettivi: ogni settimana, ogni mese, ogni anno. La gente parla di disabilità, ma mi chiedo se sappia fino in fondo cosa sia. Ci vuole una grande apertura mentale per avvicinarsi al tema.
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