Paolo Setta

«Ho lasciato Roma per costruire il mio “mondo a parte” in Abruzzo»

di Elisa Cozzarini

Un progetto su cui nessuno avrebbe scommesso, venticinque anni fa, è diventato realtà e la Valle del Tirino è oggi una destinazione turistica. Offre opportunità di lavoro, e una visione di futuro, nell'Appennino colpito dallo spopolamento. Paolo Setta, della coop Il Bosso, attore nel film di Riccardo Milano "Un mondo a parte", racconta come è stato possibile

Poco a valle delle sorgenti, il fiume Tirino segna un meandro che sembra un dipinto: è uno dei luoghi più iconici del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Qui, nel cuore dell’Abruzzo, venticinque anni fa è nata la società cooperativa Il Bosso, dal nome dell’arbusto sempreverde tipico dell’area del Mediterraneo. Paolo Setta, socio amministratore e direttore del settore turismo, ricorda la solitudine degli inizi, quando nessuno si sognava di scommettere sul territorio per farne una destinazione di turismo esperienziale, nel rispetto dell’ambiente. Lui, invece, insieme ai fondatori e soci storici ancora presenti e tutti appassionatamente attivi, ci ha creduto così tanto da decidere di lasciare Roma, e una carriera di attore nel cinema e in televisione, per tornare nella sua amata Valle del Tirino. Ma non ha del tutto abbandonato il mondo dello spettacolo. Nel film di successo di Riccardo Milani, “Un Mondo a Parte”, infatti, recita la parte del maresciallo di paese. Il protagonista è un maestro elementare, interpretato da Antonio Albanese, che non ne può più della città e decide di trasferirsi in un paesino di montagna in Abruzzo: Rupe. Si trova a lottare anche lui, assieme agli ultimi residenti e alla coprotagonista, la vicepreside interpretata da Virginia Raffaele, per non far chiudere la scuola. Storie che si intrecciano, tra realtà e finzione, e accendono i riflettori su un’Italia che si spopola, ma non si rassegna.

Ci racconta i primi anni della società cooperativa Il Bosso?

Sono arrivato circa due anni dopo la fondazione, quando iniziava a muovere i primi passi nel campo dell’educazione ambientale e del turismo in natura. Era l’inizio del 2000, abitavo a Roma e d’estate tornavo al mio paese, Bussi sul Tirino. Esploravo la valle in bicicletta, tra Capestrano, Ofena, Popoli, Navelli, e vivevo il fiume in canoa, come si è sempre fatto, da queste parti. Dopo aver incontrato Cristian Moscone, biologo e tuttora presidente della cooperativa, e gli altri soci, ho iniziato a portare avanti quelle stesse passioni, cercando di tradurle in attività per i primi ospiti de Il Bosso. In quel momento, chi, come noi, si dedicava alla bicicletta e agli sport acquatici, girando in costume con persone al seguito, era considerato uno scansafatiche dalla stragrande maggioranza degli abitanti, uno che non faceva un lavoro “normale”. Qui si viveva di fabbrica o di agricoltura.

Paradossalmente, è stata proprio questa diffidenza, quasi denigrazione, a dare, a me e a tutto il gruppo, la forza di reagire e investire per un futuro differente. Sono stati anni di sperimentazione solitaria. Come guida, accompagnavo numeri ristrettissimi di persone. Erano più esploratori che turisti, allora. C’era gente di passaggio. Prima di riuscire a far diventare la Valle del Tirino una destinazione turistica, per più di dieci anni abbiamo lavorato gratis. È stato un sacrificio e lo rivendico con orgoglio. Abbiamo insistito. Quando tutto sembrava perso, o inutile, noi continuavamo a credere, investendo i nostri risparmi e il nostro tempo nel progetto de Il Bosso.

Come avete trovato la forza di andare ostinatamente controcorrente?

Quando credi in qualcosa, che sia una relazione sentimentale, un’attività professionale, un progetto culturale, o qualsiasi forma di intraprendenza sociale, vai avanti perché sei consapevole che prima o poi i risultati arriveranno. Continui perché senti, in qualche modo, che quella è la tua missione. Aggiungo anche una dimensione di incoscienza: come gruppo di lavoro e di amici, forse senza esserne esattamente coscienti, sapevamo dove saremmo arrivati. C’era un’energia che, anche nei momenti più bui, ci spingeva a non mollare. A distanza di venticinque anni, credo che l’elemento che contraddistingue la riuscita di questo progetto sia proprio il gruppo, con la sua eterogeneità, con i sui valori di sincerità, correttezza e rispetto profondo. Noi, assieme, siamo la chiave di successo, non solo per noi stessi, per le nostre vite e per le nostre carriere. Siamo stati di fatto l’innesco di un’esplosione di idee e iniziative turistiche oggi attive in questi luoghi.

In canoa sul fiume Tirino con Il Bosso. Foto di Elisa Cozzarini

Persone fortemente radicate sul territorio, compresi i giovani che oggi hanno raccolto il testimone e accompagnano i turisti in canoa sul Tirino…

Tutti noi abbiamo un forte legame con questa valle. I tantissimi collaboratori, i ragazzi che portano i visitatori in canoa d’estate, sono per lo più studenti universitari che tornano per le vacanze, come facevo io. La cooperativa offre loro un motivo per fermarsi tre, quattro mesi, anziché un paio di settimane. È un fenomeno sociale interessante, per un territorio colpito dallo spopolamento tipico delle aree interne. Noi formiamo i giovani, li coinvolgiamo, li facciamo sentire parte del progetto e loro si innamorano di questo lavoro, ne sono orgogliosi. Non basta dargli una casacca e farli andare in canoa, bisogna saper trasmettere passione e amore per questi posti e per le comunità che li vivono. I turisti che navigano con noi fanno un’esperienza profonda, non tanto ludica, quanto di approfondimento e contatto rispettoso con il fiume, di riconciliazione con l’ambiente e con se stessi.

Qual è il momento in cui avete capito che ce l’avevate fatta?

Dal 2010 in poi, abbiamo iniziato a ingranare, a crescere costantemente, anche diversificando le attività, facendo ricerca e progettazione. La redditività stagionale si completava via via con l’educazione ambientale nelle scuole d’inverno e la progettazione in ambito formativo e sociale. Oggi siamo una delle società di riferimento per il turismo e la formazione in Abruzzo, con risonanze a livello regionale e nazionale, per esperienze turistiche dal Gran Sasso alla Costa dei Trabocchi, passando per il Parco nazionale della Maiella e il Parco regionale del Sirente Velino, oltre chiaramente alla Valle del Tirino, dove tutto ha avuto inizio. Facciamo formazione professionale e continuiamo a fare educazione ambientale, anche con gruppi di lavoro su progetti europei.

E la scelta personale di lasciare il cinema, quando è arrivata?

Nel 2005 ho deciso di mettere la freccia e avventurarmi nel mio Abruzzo. Ma per farlo dovevo studiare e prepararmi. Mi sono iscritto a Economia ambientale all’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara, perché credevo, e credo, nell’importanza di coniugare economia e ambiente, nel modo più responsabile e attento. Non è un caso che abbiamo scelto la forma della società cooperativa, che prevede la mutualità, la redistribuzione degli utili e il reinvestimento sul territorio. Alla sostenibilità sociale e ambientale, uniamo anche quella economica.

Ma non ha abbandonato del tutto il mondo dello spettacolo…

Sono legato al regista Riccardo Milani da un rapporto di stima e affetto. Ho iniziato a lavorare con lui con “La guerra degli Antò”, film del 1999, sempre ambientato in Abruzzo. È stato una delle prime persone a cui ho parlato della mia decisione di andare via da Roma. Ho lasciato aperto uno spiraglio, ma il cinema, la tv non sarebbero più stati prevalenti. Lui ha rispettato la mia scelta, forse non condividendola, perché vedeva in me del potenziale. Per “Un mondo a parte”, Milani mi ha richiamato per tanti motivi, anche per il tema che affronta. Voleva che ci fossi perché sono abruzzese, ma soprattutto perché questo film parla di valori che fanno parte del mio impegno quotidiano con Il Bosso.

Paolo Setta con il regista Riccardo Milani

A livello nazionale, il film ha acceso i riflettori sulla situazione delle aree interne che si spopolano.

È una realtà che oggi coinvolge tutti quei luoghi lontani da forme di gigantismo: le grandi arterie stradali, i canali di comunicazione principali, le grandi città, i centri commerciali. Ciò che è fuori da queste rotte, negli ultimi anni, ha subìto e continua a subire una forte involuzione. I paesi si spopolano, i servizi essenziali sono sempre meno presenti e meno performanti, dalla scuola all’assistenza sanitaria, alla distribuzione dell’acqua potabile, alle arterie stradali… Questo film, seppur romanzando la realtà con dinamiche che difficilmente si possono ripetere, è un monito forte per tutti. Credo che resterà come un documento, ad affermare che in Italia, nel 2024, c’è un problema, con una varietà di declinazioni. Ci sono sempre meno bambini e famiglie numerose, c’è difficoltà a integrare gli immigrati e qualsiasi elemento esterno. Eppure, integrare gli stranieri significa ripensare, e forse salvare, il futuro dei piccoli luoghi. Inoltre, i modelli della sanità pubblica o della scuola non possono essere gli stessi che in città. Se si continua a ragionare solo in termini numerici, si fa un grave errore: la politica dovrebbe comprendere che il modello di scuola o di sanità che viene impostato su Roma, o su Pescara, non può essere riproposto in piccoli paesi come, ad esempio, Collepietro, che ha ottanta abitanti, o Carapelle Calvisio, e in nessuno dei micromondi dell’Appennino. Oggi purtroppo le scuole chiudono e così muoiono gli stessi borghi delle aree interne. Hanno chiuso anche a Barrea, uno dei paesi dove abbiamo girato. Il film non è riuscito ad impedirlo.

Tornando a Il Bosso, come vede il presente e il futuro della cooperativa e del territorio?

Quando siamo partiti, da queste parti c’era solo un ristorante per paese, non si viveva di turismo. Oggi lungo il Tirino sono spuntati locali, agriturismi, bed & breakfast, affittacamere… Da operatore che ha iniziato a muovere i primi passi nel deserto, vedere questa animazione, in termini di erogazione di servizi, mi fa dire che ce l’abbiamo fatta non solo per noi, ma anche e soprattutto per le comunità e per questi luoghi. Per il futuro, l’impegno è continuare su questa strada, cercando di tenere sempre alta la motivazione, lavorare sulla qualità, innovarsi e rinnovarsi. Dobbiamo saper trarre dalle piccole grandi evoluzioni che viviamo, non solo gratificazione, ma la forza e l’energia per guardare avanti. Dobbiamo anche affrontare la sfida della concorrenza, a volte sleale, per la mancanza della cultura del rispetto. Improvvisazione, abusivismo, speculazione potrebbero compromettere tutto ciò che di buono è stato fatto.  Veniamo messi alla prova, ma dobbiamo difendere lo stile, la storia e la reputazione che abbiamo costruito in venticinque anni, facendo de Il Bosso una garanzia in ambito turistico e non solo. Abbiamo sviluppato un senso di responsabilità nei confronti di questo territorio, perché siamo noi ad aver innescato il cambiamento e adesso abbiamo il dovere di difenderlo e rafforzarlo.

Le foto sono state fornite dall’intervistato

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