Le comunità che accolgono bambini e ragazzi allontanati dalla propria famiglia e gli operatori dei Servizi sociali che fanno tali allontanamenti sono spesso tacciati di essere “ladri di bambini”. Non vogliamo entrare nella sterile diatriba ideologica dei pro e dei contro, ma crediamo sia importante portare esperienze concrete su cui ragionare per arrivare a conclusioni che tengano al centro il benessere del bambino.
In occasione della Giornata mondiale dei diritti dell'infanzia e dell’adolescenza vogliamo allora raccontare l’esperienza del Visiting Advocacy, presente da ormai dieci anni nelle comunità della cooperativa sociale “La casa davanti al sole”.
L’ascolto dei bambini e dei ragazzi e la loro partecipazione ai processi decisionali che li riguardano sono sempre più riconosciuti come temi cruciali nella definizione degli interventi per la loro tutela e nella definizione delle politiche sociali per la protezione dell’infanzia. Anche gli appuntamenti istituzionali che in questi giorni stanno celebrando la Giornata dell’Infanzia puntano su questo tema. La Convenzione internazionale sui Diritti dei Fanciulli del 1989, all’articolo 12, sancisce il diritto dei minori, in accordo con la loro capacità di discernimento, ad esprimere le proprie opinioni liberamente, ogni volta che si debba prendere una decisione che li riguardi. Lo stesso articolo prevede il corrispondente dovere degli adulti che hanno responsabilità decisionali sulla vita dei minori di ascoltare l’opinione dei diretti interessati e tenerne debitamente conto.
La sfida della partecipazione dei bambini, così come delle loro famiglie, è ancora più decisiva quando i piccoli sono allontanati e collocati in comunità o in affido. È in queste situazioni che gli operatori sono chiamati a fare ancora più attenzione a non escludere dai processi riflessivi e decisionali coloro per i quali si deve decidere.
Tuttavia nell’esperienza di lavoro dei servizi di tutela minorile, l’ascolto e la partecipazione dei bambini sembra essere un obiettivo non ancora raggiunto: si rilevano infatti difficoltà nella partecipazione dei bambini ai processi decisionali gestiti dai servizi di tutela minorile e nella realizzazione dei progetti a tutela dei più piccoli (Agia, 2019). La sfida della partecipazione dei bambini, così come delle loro famiglie, è ancora più decisiva quando i piccoli sono allontanati e collocati in comunità o in affido. È in queste situazioni che gli operatori sono chiamati a fare ancora più attenzione a non escludere dai processi riflessivi e decisionali coloro per i quali si deve decidere.
Le indicazioni normative rappresentano il bambino non solo come destinatario di provvedimenti di tutela, ma come persona con competenze cognitive e sociali in grado di dire cosa lo aiuta a stare meglio e cosa invece è difficile da accettare. Ne consegue la responsabilità degli educatori delle comunità e degli operatori degli enti affidatari di predisporre tutte le condizioni necessarie affinché i bambini e i ragazzi possano esprimere i loro pensieri e le loro preoccupazioni liberamente. Questo significa creare uno spazio dialogico che sia a misura di bambini, aiutarli a esprimere il loro punto di vista, ascoltare quanto hanno da dire e considerare seriamente il loro punto di vista nel processo decisionale.
Il lavoro del Portavoce in comunità si concretizza nell’aiutare i bambini a comprendere le informazioni sul loro progetto di collocamento in comunità e tutela, riflettere sulle preoccupazioni relative al nuovo contesta di vita, comprendere coma potrebbero andare meglio le cose dal proprio punto di vista e decidere consapevolmente cosa riferire agli operatori tenuti a intervenire per la loro tutela.
A livello internazionale vi sono numerose esperienze di pratiche strutturate per la partecipazione di bambini e ragazzi alla definizione degli interventi per il loro benessere, anche negli interventi di allontanamento. L’advocacy professionale indipendente è una di queste e ha visto la sua introduzione in alcuni servizi di tutela minorile italiani fin dal 2012. La sperimentazione di questa figura professionale, che in Italia ha preso il nome di “Portavoce professionale indipendente”, è stata possibile grazie alle prime esperienze di lavoro avviate circa dieci anni fa dalla cooperativa sociale “La Casa davanti al sole” con l'affiancamento metodologico del Centro di ricerca Relational Social Work dell’Università Cattolica di Milano.
La cooperativa ha lavorato con i bambini e i ragazzi accolti presso le proprie comunità per sperimentare il progetto di Visiting advocacy con la presenza quindicinale di un Portavoce in comunità. Il lavoro del Portavoce in comunità si concretizza nell’aiutare i bambini a comprendere le informazioni sul loro progetto di collocamento in comunità e tutela, riflettere sulle preoccupazioni relative al nuovo contesta di vita, comprendere coma potrebbero andare meglio le cose dal proprio punto di vista e decidere consapevolmente cosa riferire agli operatori tenuti a intervenire per la loro tutela. L’agire professionale dei portavoce professionali è guidato da alcuni principi: indipendenza, centratura sul punto di vista dei bambini, riservatezza, empowerment (Calcaterra, 2014; 2015). L’ausilio di un Portavoce non solo risulta utile per rendere concreto il diritto dei bambini ad essere ascoltati autenticamente, ma anche per dare modo agli operatori tenuti a decidere per la loro tutela di comprendere meglio gli elementi di criticità e le risorse disponibili che possono orientarli nella costruzione di percorsi di aiuto concreti.
I bambini e i ragazzi che nel corso di questi anni hanno potuto fruire del supporto di un Portavoce hanno dimostrato di comprendere chiaramente come poter sfruttare questa opportunità di partecipazione e riferiscono di un generale beneficio. Cosa ci dicono i ragazzi?
«Avevo paura a dire che volevo tornare a casa con mio padre e il portavoce mi ha aiutato» (Luca, 7 anni)
«Prima mi sentivo nervoso, adesso sono più calmo. La portavoce mi ha aiutato più di tutto e tutti, mi ha aiutato a dire che voglio stare di più con il mio papà» (Alessandro, 8 anni)
«Vivere in comunità è faticoso, ci sono tante persone, tutte che cercano di darti il meglio per il tuo futuro. A volte quello che gli altri pensano sia meglio per te non è quello che vuoi. In questi casi devi farti sentire e dire “non voglio che succeda questa cosa”. E quando non ti ascoltano hai bisogno di un portavoce» (Giovanni, 13 anni)
«Mi è stata vicina e mi ha dato conforto prima dell’incontro. Durante l’incontro se non riuscivo a spiegarmi mi ha dato una mano per farmi capire. Ora so che se avessi bisogno potrei chiederle una mano. L’educatore dà consigli ma deve riferire quello che gli dici, il portavoce invece tiene le cose per sé» (Micaela, 17 anni)
Dall’esperienza ormai decennale della cooperativa “La Casa davanti al sole” è nata l’Associazione “Advocacy. Tutela e voce dell’infanzia” che ora conta tre sedi operative nel nord d’Italia e che con la cooperativa promuove progetti di formazione alla pratica dell’advocacy e accompagna le comunità e i servizi interessati a introdurre la figura del Portavoce.
Riferimenti bibliografici
- AGIA (2019), Segnalazione dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza sul sistema di tutela minorile ai sensi degli art. 3 e 4 della L. 112/2011
- AGIA (2020), Il diritto all’ascolto delle persone di minore età in sede giurisdizionale. Indagine relativa alle modalità messe in atto sul territorio nazionale dai tribunali per i minorenni, tribunali ordinari e relative procure della Repubblica, Roma, Istituto degli Innocenti
- Calcaterra V. (2014), Il Portavoce del minore. Manuale operativo per l’advocacy professionale,
- Trento, Erickson
- Calcaterra V. (2015) “Il visiting advocacy in comunità di accoglienza. La voce dei bambini e dei
- ragazzi”, Lavoro Sociale, vol. 15, n. 4, pp. 55-79
- www.lacasadavantialsole.org
- info@lacasadavantialsole.org
- www.associazioneadvocacy.it
*Giammatteo Secchi è referente della tutela minorile della cooperativa sociale "La Casa davanti al sole"
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