«Grande stima per la piccola Greta! Lei è brava, motivata, coerente, studia e non la fermerà nessuno. D'altronde… se non ora, quando? Quanto dovevamo aspettare per vedere milioni di ragazzi in piazza protestare per una buona causa? A coloro che animano i gossip attorno a lei, vorrei ricordare le parole di Eleanor Roosevelt: “menti piccole parlano di persone, menti mediocri parlano di fatti, grandi menti parlano di idee…” e muovono il mondo. Lei sta facendo la sua parte egregiamente. Ora tocca tutti gli altri – e sono, anzi siamo milioni – non solo diffondere il verbo e manifestare, ma rimboccarci le maniche e cambiare, perché non c’è più tempo!».
Bolognese, classe 1980, laurea in International Business, imprenditrice, Sara Roversi, fondatrice del Future Food Institute è New York per il Summit sul Clima dell’Onu, dove il 27 settembre presenterà lo stato di avanzamento di “Food for Earth” e l’Earth Regeneration Toolkit, nato dai tre training fatti quest’estate dal Future Food Institute insieme alla FAO e alla Future Food for Climate Change Initiative, per formare una quarantina di “Climate Shaper” provenienti da tutto il mondo.
Partiamo da Greta…
In Future Food la seguiamo da prima che il mondo accendesse i riflettori su di lei, perché mappiamo e cerchiamo di scovare e supportare quei giovani talentuosi che con piccole azioni dal grande impatto stanno cambiando il mondo, proprio come fa lei. Dal 2015 abbiamo una Young Talent Academy per intercettare studenti delle scuole superiori con progetti che partono dalle scienze per risolvere challenge molto ambiziosi, su Google Science Faire può vedere la complessità dei progetti realizzati proprio da ragazzini giovanissimi. Da lì ci siamo messi a disposizione di giovani, prof, scuole che avessero voglia di trasformare le competenze in qualcosa di tangibile: li portiamo in missione, qualcuno lo incubiamo, il fatto di faciliare l’incontro con il metore che domani ti porterà a cambiare la vita è qualcosa di grandissimo valore, l’ho visto su di me. Essere parte di un ecosistema che ti espone a incontri ed esprienze eccezionali significa accendere una miccia che può cambiare il corso della vita. Fra tutti i progetti e i personaggi che abbiamo intercettato, c’era anche Greta, fin dall’epoca del suo primo strike.
Non dobbiamo pensare che sia solo una loro responsabilità o che sarà qualcun altro a salvarci: questa è davvero una sfida globale ed una responsabilità di tutti.
Sara Roversi
Greta ha l’indubbio merito di aver coinvolto i giovanissimi, dandogli per la prima volta nella loro vita l’orizzonte di una battaglia comune, di sentirsi parte di una generazione e di una comunità. E anche quello di strigliare senza remore la politica e i leader mondiali, come ha fatto ieri. Ma non serve più concretezza e più proposta per il cambiamento?
Per troppo tempo abbiamo dato per scontato che i grandi leader della terra avessero la consapevolezza di ciò che sta accadendo: ancora ci sono politici molto influenti a livello mondiale che non credono ai dati scientifici che dimostrano lo stato deterioramento della salute del nostro pianeta. Se non sapremo influenzare, ispirare, sorprendere e indurre al cambiamento i grandi leader economici e politici sarà difficile raggiungere gli Obiettivi 2030. Logicamente non basta parlare, ma dobbiamo essere coerenti nelle nostre azioni e agire. E soprattutto non dobbiamo pensare che sia solo una loro responsabilità o che sarà qualcun altro a salvarci: questa è davvero una sfida globale ed una responsabilità di tutti.
Lei viaggia moltissimo. Nessuna demonizzazione dell’aereo, come ha fatto Greta?
Viaggio moltissimo, è vero. Connettere mondi e saperi e costruire ponti tra l’Italia ed il mondo è parte della nostra missione: sarebbe molto difficile farlo senza viaggiare. La relazione personale, l’incontro con quelle persone “ordinarie” capaci di imprese straordinarie che cambiano le vite di intere comunità, e la condivisione di esperienze sul campo, sono per me fondamentali per comprendere l’origine dei problemi e quindi facilitare la nascita di soluzioni capaci di affrontare le grandi sfide che il mondo sta vivendo. È così davvero! Per ogni volo che faccio, io calcolo l’impatto che genero su https://co2.myclimate.org, così posso decidere se e come compensare le emissioni di CO2 che ho procurato. Il tema ci sta talmente a cuore che da qualche mese anche il Future Food Institute ha cominciato a calcolare l’impatto e abbiamo deciso di investire e supportare una startup Carbon Credit Consulting che proteggendo foreste in Brasile emette crediti certificati per la compensazione delle emissioni di carbonio. Credo che il vero punto di partenza non sia demonizzare l’aereo in sé, ma aiutare le persone a prendere consapevolezza dell’impatto che generano: per questo ringrazio Greta per la scossa che saputo dare alle coscienze della collettività, oggi grazie a lei e al suo messaggio potente tutti hanno capito che con le nostre azioni quotidiane possiamo fare tanto per invertire la rotta.
Qual è il comportamento individuale che dobbiamo cambiare davvero tutti, per dare un contributo? Qual è la prima cosa che ha cambiato lei?
Credo che il primo comportamento che dovremmo tutti allenare sia l’approccio all’apprendimento costante e alla ricerca delle verità delle informazioni che ci vengono somministrate spesso inconsapevolmente dai nuovi media. Tutto parte dalla conoscenza, perché quando prendiamo consapevolezza di ciò che sta accadendo poi possiamo decidere le azioni da intraprendere. Quando ho cominciato ad esplorare questo mondo, anch’io ho provato una grande frustrazione: “È un problema troppo grande! Non riusciremo mai a risolverlo! È una catastrofe!”, mi dicevo. Poi ho capito che cominciando con piccole azioni potevo innescare il cambiamento, se non altro nella mia micro comunità – la casa – e soprattutto ho pensato che se questo cambiamento fosse diventato contagioso, l’impatto sarebbe potuto essere esponenziale.
Il vero punto non è tanto demonizzare l’aereo in sé, ma aiutare le persone a prendere consapevolezza dell’impatto che generano: per questo ringrazio Greta per la scossa che saputo dare alle coscienze della collettività, oggi grazie a lei e al suo messaggio potente tutti hanno capito che con le nostre azioni quotidiane possiamo fare tanto per invertire la rotta.
Sara Roversi
Come ha cominciato a interessarsi di ambiente, clima, sostenibilità?
Credo fosse il 2013. Io e mio marito Andrea – ci conosciamo da quando siamo nati e siamo entrambi imprenditori fin dai tempi dell’università, prima nel digital ed emotional marketing, dal 2006 nel food che poi è diventato il cuore di tutto – fummo coinvolti per la prima volta nel G20 dei Giovani Imprenditori e in quel momento mi sono resa conto che noi come imprenditori avevamo responsabilità molto maggiori di quel che avevo sempre percepito e che potevamo davvero fare la differenza, a maggior ragione nel food. In quei gruppi di lavoro, quale che fosse la tematica – energia, commodity, ambiente, salute, trade… – la filiera alimentare era l’unica ad essere sempre coinvolta. Questa era una grande opportunità, abbiamo inziato a farci domande per cercare di capire come potevamo cambiare le cose e lavorare sugli impatti di ogni nostra scelta. Da lì è nato il Future Food Institute, dal voler lavorare in maniera lucidamente orientata a generare un impatto che non fosse solo sulla dimensione economica, ma olistico. Adesso dal design thinking sta emergendo questa onda del prosperity thinking, per cui occorre pensare a creare prosperità a 360 gradi, non solo ricchezza.
Diceva del cambiamento che comincia con piccole azioni. Davvero?
Cambiare le piccole azioni quotidiane sembra una cosa banale e facile, ma non lo è affatto perché sono azioni che condizionano tutto il nucleo familiare. Io ho due maschi di 12 e 15 anni, che sono i miei superpoteri: in casa nostra questa evoluzione è costante e ognuno di noi ogni tanto propone un’azione nuova. Abbiamo cominciato dalla spesa: quanto compriamo? cosa compriamo? da dove proviene il cibo che portiamo in tavola? è di stagione? Poi siamo passati alla gestione del pattume: la raccolta differenziata, è stata una rivoluzione nella gestione degli spazi in cucina. Poi c’è l’inverno, io sono freddolosa, ma gli uomini di casa mi dicono “abbassiamo di due gradi il riscaldamento, tanto tu non ci sei mai e quando ci sei puoi metterti un maglione in più!”. Poi è arrivato il momento di cambiare macchina: abbiamo scelto l’ibrida. Poi arrivano i saldi… Ancora vestiti? Ne abbiamo davvero bisogno? Cosa fa il brand che sto acquistando per l'ambiente? Non è facile cambiare gli stili di vita, ma un passo alla volta ci abitueremo! Così anche nelle summer school di Future Food for Climate Change: al termine chiediamo a tutti i partecipanto di impegnarsi a una “Climate Action”, c’è che propone un progetto imprenditoriale e c’è chi si impegna ad andare a scuola a piedi invece che usare il motorino…
Sta emergendo questa onda del prosperity thinking, per cui occorre pensare a creare prosperità a 360 gradi, non solo ricchezza. Future Food Institute è nato dal voler lavorare in maniera lucidamente orientata a generare un impatto che non fosse solo sulla dimensione economica, ma olistico
Sara Roversi
Uno dei capisaldi del suo impegno è la convinzione che il food (inteso anche come identità, cultura, energia, vita) sia uno strumento chiave per “curare il mondo”. È per questo che ha fondato il Future Food Institute? In che modo il cibo può curare il mondo? Abbiamo sentito tanto parlare della necessità di limitare i consumi di carne per l’alto impatto che l’allevamento ha sull’ambiente, degli insetti come cibo del futuro… è questo o anche altro?
Future Food Institute è nato dall’aver preso la consapevolezza che siamo nel mezzo di una grande rivoluzione culturale e sociale e che lavorare nel settore agroalimentare è una dono e al contempo una grande responsabilità. Questa responsabilità si è trasformata in una missione vera e propria. Future Food è nato da un percorso di ricerca personale che poi si è concretizzato prima con la nascita nell’Istituto, poi dell’intero ecosistema. Studiando il cibo, sia dal punto di vista della fruizione sia dal punto di vista culturale, abbiamo cominciato a mappare i luoghi in cui questa rivoluzione sta avvenendo, abbiamo cominciato a vedere nel food uno strumento di rigenerazione sociale e culturale potente capace di connettere industrie, culture e politiche; abbiamo cominciato a studiare le dinamiche, cercando di cogliere opportunità capaci di valorizzare il potenziale della tecnologia e le nuove conoscenze generate dai dati. Future Food oggi è un ecosistema composto da un’anima filantropica che vuole creare nuovi modelli e cultura, alimentando progetti di ricerca, promuovendo programmi formativi, diffondendo conoscenza, ed un’anima imprenditoriale che sulla base delle conoscenze acquisite alimenta progetti innovativi capaci di generare impatti tangibili sulla salute dell’uomo e del pianeta.
Le aree focus di ricerca, studio e sviluppo imprenditoriale per l’ecosistema Future Food sono sei: innovare i modelli di produzione degli alimenti in armonia con l'ambiente nei mari, nel suolo e fuori dal suolo; nuovi cibi capaci di nutrire in modo sano, preservando gli aspetti culturali ed aggiungendo valore all’esperienza d’uso; nuovi luoghi e nuovi metodi di consumo; soluzioni per combattere la malnutrizione; nuovi strumenti per garantire la sicurezza e la salubrità dei cibi dal campo alla tavola; innovazioni per il benessere; nuove tecnologie per la trasformazione, domestica ed industriale, degli alimenti, creazione di nuovi strumenti di conoscenza attraverso lo studio dei dati e intelligenza artificiale; formazione ed educazione e piattaforme digitali e communities per favorire la diffusione della conoscenza e la creazione di consapevolezza.
Come gli hamburger fatti al 100% di proteine vegetali, che però hanno l’aspetto e il sapore della carne…
Il tema dei nuovi cibi e delle fonti di proteine alternative è sicuramente uno dei più caldi al momento, tanto che una delle nostre pubblicazioni più recenti è proprio “The Future of Proteins”. Dobbiamo imparare a mangiare meno e meglio, informandoci bene su come viene prodotto il cibo che acquistiamo, per poi fare quelle scelte consapevoli che impattano sulla nostra salute e sulla salute del pianeta che ci accoglie. Tanti sono i nuovi cibi che stanno arrivando sul mercato offrendo valide alternative a chi vuole ridurre il consumo di proteine di origine animale. Migliaia sono le specie vegetali edibili non sfruttate, oltre alla ricca offerta di alghe e microalghe. Scarti valorizzati e portati a nuova vita. Cibi fermentati provenienti da tradizioni millenarie. Creatività, differenti identità alimentari e nuovi gusti spesso influenzati da fattori esterni, stanno portando sulle nostre tavole anche cibi più sostenibili e non consueti, come per gli insetti. Sicuramente cambiare le nostre abitudini alimentari è la prima azione concreta che chiunque potrebbe compiere per far fronte a questa crisi climatica in atto.
Nella sua biografia la parola ricorrente è disruptive: con il poco tempo che abbiamo a disposizione, essere disruptive è un imperativo. A suo giudizio, questo assoluto cambio di paradigma è arrivato/sta per arrivare o è ancora lontano?
Questo cambiamento è arrivato e sarà in continua crescita ed evoluzione. Ma mi soffermerei sull’essere disruptive e sulla parola accelerazione che spesso la accompagna e che tanto ha caratterizzato questi ultimi anni di innovazione. Essere di disruptive oggi richiede un cambio radicale di mentalità e di approccio alla vita. Un approccio “circolare”, di rigenerazione e non di sola accelerazione. Nell’epoca in cui viviamo il pianeta sta lanciando forti segnali all’umanità. Le risorse scarseggiano e dobbiamo implementare rapidamente modelli di economia circolare in ambito domestico ed industriale, dobbiamo preservare e valorizzare il patrimonio naturale e culturale che ci circonda, dobbiamo creare nuovi modelli economici e strumenti di misurazione che sappiano tener conto, non solo dei fattori economici, ma anche degli impatti ambientali e sociali generati.
Quest’estate lei è stata in Islanda con dei ragazzi. Chi sono i Climate Shapers e qual è l’idea a cui state lavorando?
Assieme a Claudia Laricchia, mia inseparabile compagna di viaggio, che coordina il programma Future Food For Climate Change, abbiamo appena terminato l’ultimo dei nostri training in Islanda, venuto dopo quello di New York e Tokyo. Abbiamo fatto tre programmi formativi, parte integrante del Joint Program siglato dal nostro Future Food Institute con la FAO. Si tratta di summer schools e bootcamps che valorizzando il patrimonio di conoscenza messo a disposizione delle piattaforma e-learning FAO e l'approccio formativo del Future Food institute, per formare “Climate Shapers” ossia giovani, ricercatori, innovatori, policy makers, cittadini attivi e imprenditori che vogliono conoscere quali sono gli strumenti per far fronte alla crisi climatica in atto e soprattutto passare all’azione e farsi agenti del cambiamento. Ne abbiamo formati una quarantina quest’estate, di cui una quindicina italiani. L’intuizione forte è stata quella di creare gruppi molto diversi fra loro, mettendo insieme anche persone che non si aspettano di poter apprendere qualcosa l’uno dall’altro. A NY per esempio c’erano due neodiplomati, un artista, tre PhD, il presidente di un’azienda con 20mila dipendenti… Nella nostra esprienza educativa stiamo sempre in contesti omogenei, i compagni più o meno vengono dallo stesso contsto, magari sono di un altro Paese ma hanno la nostra stessa età… Il primo giorno la gente si chiedeva “perché io dovrei imparare da un ragazzino?”, alla fine i feddback più incredibili hanno riguardato proprio la positività di questa grande diversità. Per le sfide di cui parliamo questo è fondamentale, dobbiamo cercare di capire come affontarle mettendo insieme punti di vista e saperi diversi.
Qual è il libro assolutamente da leggere o il talk da sentire per trarre ispirazione e motivazione? Qual è stato per lei e quale consiglia a tutti?
In questo momento sto leggendo Possiamo salvare il mondo prima di cena di Foer, lo consiglio per la profondità con cui narra la crisi climatica in atto mischiando ricordi personali, dati e fatti, con passione e realismo. Come lui dice, “il clima siamo noi”. Tendenzialmente però amo leggere storie di leader coraggiosi che hanno creato ecosistemi capaci di generare prosperità per migliaia di esseri umani, uno di questi è Gunter Pauli, un mentore per me, un imprenditore seriale visionario, economista, padre di sei figli, globetrotter, storyteller e impact investor di grande successo. È stato nostro ospite nella Summer School di Tokyo ed è stato fonte di grandissima ispirazione per i nostri Climate Shapers. Tra i vari libri scritti da Gunter consiglio il suo best seller Blue Economy.
Al Summit sul Clima che cosa dirà?
Sarà un momento importante per incontrare i numerosi partner con cui stiamo portando avanti progetti ambiziosi e dove soprattutto, il 27 settembre, presenteremo lo stato di avanzamento di “Food for Earth” e il nostro Earth Regeneration Toolkit. È uno strumento nato durante i training che il nostro Future Food Institute ha organizzato assieme alla FAO e la Future Food for Climate Change initiative coordinata da Claudia Laricchia, per studiare l’impatto dei cambiamenti climatici sulle aree urbane, aree rurali e oceani, ed il ruolo del food come strumento di rigenerazione in cinque aree di azione specifiche: food diplomacy, circular living, climate-smart ecosystems, food identities e prosperity.
Porterete in Italia il primo Hub internazionale sul climate change, in autunno: di che si tratta?
Abbiamo di recente siglato un accordo con il Youth Climate Leader Network che proprio presso il nostro Living Lab a Bologna apre il suo primo hub europeo. Una partnership strategica che ha come framework d’azione i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite e mira a formare nuove competenze e nuovi mestieri, e facilitare l’implementazione di vere e proprie “Climate Actions”.
Foto di copertina Remo Casilli/Ag.Sintesi, Roma marzo 2019, studenti in piazza per il 'Global climate strike'
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