Gustamundo: ogni cena, una storia. C'è un'abusata citazione di J.D. Salinger dal Giovane Holden che fa così: «Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira». Ora, con un po' di immaginazione, applichiamo questa citazione a una cena, e nella fattispecie al desiderio di parlare con lo chef a fine serata. È quello che può capitare in un qualsiasi finale di cena con il progetto Gustamundo, nato con l'idea di creare inclusione sociale tramite la cucina, grazie alla collaborazione di alcune Onlus e Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria) che si occupano di emarginazione.
Cosa fa, in buona sostanza, Gustamundo? «Organizza cene multietniche preparate da uomini e donne, già cuochi e ristoratori, provenienti dai Paesi più disagiati», dice una breve descrizione sul sito, ma è molto più di questo, perché Gustamundo, partendo da un piccolo ristorante multietnico a Valle Aurelia, Roma, nato a gennaio del 2017, è diventato un progetto di integrazione tout court attraverso la cucina, e buona parte dei proventi di ogni serata (il prezzo di una cena è tra i 20 e i 25 euro a persona) va a sostegno di vari progetti delle associazioni coinvolte, per essere reinvestito in formazione professionale.
Non solo occasione di scambio culturale e confronto, quindi, ma un'iniziativa di sostegno vero e proprio, con la volontà di integrare e offrire opportunità lavorative. Così il cibo diventa un ponte tra culture, facendo emergere storie positive in una narrativa sull'immigrazione spesso travisata, fraintesa e letta esclusivamente in maniera negativa.
L'ideatore dell'iniziativa è il ristoratore romano Pasquale Compagnone (nella foto): «L'idea è quella di mostrare che l'inclusione è possibile anche attraverso la cucina, soprattutto in un momento in cui quando si parla di migranti sono spesso messaggi negativi, mentre qualcosa di positivo c'è. Occupandomi di gastronomia ho messo a disposizione la cucina del mio ristorante e da lì è partito il progetto», che ha coinvolto circa 60 chef migranti e rifugiati, provenienti da diversi Paesi del mondo: Senegal, Mauritania, Mali, Costa d'Avorio, Guinea, ma anche Siria, Afghanistan, Iran e Iraq. In Italia non esistono iniziative simili, spiega Compagnone: «Siamo i primi con questa organizzazione e questa dimensione. Esiste qualche iniziativa, ma spesso isolata, che organizza una serata, e non in maniera continuativa o strutturata». La condizione per l'inquadramento lavorativo è che «abbiano il codice fiscale rilasciato dalla prefettura, per consentire il regolare pagamento previsto secondo le normative di legge», aggiunge Compagnone.
Tra i vari percorsi di formazione, spiega ancora il ristoratore, «stiamo facendo anche tirocini per stare in sala, ma è chiaro che questi ragazzi non saranno mai preparati come se uscissero da una scuola alberghiera, non saranno mai in camicia bianca, perché ciò che li contraddistingue è la semplicità e spontaneità, i grandi sorrisi. Devono essere sempre e comunque loro stessi». Gustamundo, in ambito formazione, è stato inoltre riconosciuto dall'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo come progetto di formazione per i migranti. Tuttavia non c'è alcuna ambizione di esportazione del modello, ma la volontà di proseguire in questa direzione per continuare a fare qualcosa di buono: «Ci limitiamo a questo per il momento, cercando di mettere questi ragazzi in una condizione autonoma. Ora i ragazzi si appoggiano alla mia cucina, che è limitata, per cui cerchiamo una postazione fisica per riuscire a sistemarli quanto prima in un secondo ristorante autonomo gestito direttamente da loro. Questa è la conclusione naturale del percorso con coloro che dimostreranno maggiori capacità, perché non è facile mantenere un locale a Roma e non ci sono ambizioni di franchising o quant'altro».
Ovviamente, però, non si può pensare che un progetto di questo genere non trovi anche qualche ostacolo: «La difficoltà più grossa è stata mandare i cuochi una volta al mese in altri ristoranti della città, per affiancare al menù del ristorante un loro piatto tipico, ma ho trovato un po' di chiusura da parte dei ristoratori». Altra difficoltà è stata arrivare alle persone: «Abbiamo organizzato alcuni appuntamenti a domicilio in cui questi ragazzi passavano la giornata in una famiglia, dalla spesa fino alla preparazione della cena. Un'iniziativa importante, perché una giornata di inclusione passata in una famiglia vale molto di più di una passata in un centro di accoglienza. Questo è un aspetto su cui dovremmo lavorare, che mi ha dato davvero piacere», anche perché è proprio nella confidenza e nella fiducia che le storie lavorative e personali si intrecciano, come racconta Compagnone parlando ad esempio di Mohamed Elias, 56 anni, ristoratore bombardato nel Kashmir, dove ha perso la sua famiglia e dove cucinava per trecento persone al giorno, applicando nel suo ristorante una regola: ogni cinque persone paganti, faceva entrare un indigente che si sedeva al tavolo per mangiare insieme agli altri: «Per me è un esempio, un punto di riferimento».
L'idea è quella di mostrare che l'inclusione è possibile anche attraverso la cucina, soprattutto in un momento in cui quando si parla di migranti sono spesso messaggi negativi, mentre qualcosa di positivo c'è
Pasquale Compagnone
Un esempio e un riferimento proprio come Gustamundo, da cui è nato un ulteriore progetto di cuochi migranti da tutto il mondo che si chiama "In cammino… catering migrante", e punta a riunire venti cuochi, fra migranti forzati, rifugiati e richiedenti asilo, per formare appunto un servizio di catering con il cibo al centro; un progetto che ha come obiettivo la costituzione giuridica di una startup la cui gestione sarà dei cuochi, presumibilmente entro dicembre 2018. Un servizio, inoltre, sviluppato parallelamente a un programma di formazione che riguarda i prodotti italiani in ambito culinario, ma anche corsi di marketing, di lingua italiana, nozioni bancarie e rudimenti per avviare un'attività commerciale, con tutti gli oneri del caso, affinché questi cuochi di talento possano provare ad avere gli strumenti necessari per creare in Italia la loro attività.
Il progetto, promosso dalla Congregazione delle Suore Francescane della Santissima Maria Addolorata, da Humilitas, programma Ascs Onlus per la Missione Latinoamericana di Roma, e da Gustamundo, cofinanziato da Fondazione Cattolica Assicurazioni e con il patrocinio di Biblioteche di Roma, è stato lanciato ad aprile del 2018 ed è ancora nelle sue prime fasi di vita, pur avendo ottenuto già alcuni risultati in termini di riuscita del progetto e integrazione. Li racconta così Gaia Mormina, ideatrice e curatrice dell'iniziativa per conto di Ascs Onlus, con il programma Humilitas: «La nostra non è un'attività di formazione professionale, non facciamo assistenza, siamo un ponte tra cittadini e attività del Terzo settore. Credo che, come dice Papa Francesco: "La realtà è superiore all'idea", e dove vediamo contesti di possibile inclusione, proviamo a intervenire con programmi di accoglienza applicati al lavoro».
Mi piacerebbe che ci fosse una parola oltre alla parola migranti. Bisogna parlare di storia, talento e carattere
Gaia Mormina
La risposta dei venti ragazzi coinvolti finora «ha un bilancio positivo», dice Mormina, ma il percorso di inclusione è ancora lungo: «Mi piacerebbe che ci fosse una parola oltre alla parola migranti. Bisogna parlare di storia, talento e carattere. Il fatto di aver scoperto in questo mondo gastronomico talenti in cucina è stato un modo altro per parlare di persone, per questa ragione credo che stiamo contribuendo a migliorare importanti dinamiche in termini di integrazione». Dinamiche che qualche volta hanno necessità di essere scoperte o riscoperte, partendo da piccole cose; da un piatto, un dolce, una storia: «Abbiamo pensato ad un programma di formazione articolato in corsi di cucina italiana, pasticceria e cucina internazionale, con l’aggiunta di corsi di lingua specializzati nel lessico del cibo». Lo scopo ultimo del progetto, proprio come per Gustamundo, è rendere completamente autonomo il gruppo di cuochi e fare in modo che sappiano non solo cucinare e adattarsi al contesto italiano, ma anche gestire un'impresa, «da un lato creando nuovi spazi nel mercato del lavoro, dall’altro valorizzando direttamente i loro talenti», conclude Mormina.
Bene ha fatto allora Gustamundo a pubblicare sul suo sito una citazione di Marthin Luther King, che proprio in questi giorni ha festeggiato i 55 anni da "I have a dream": «Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli». Un'arte che va affinata nel tempo, con i giusti tempi di cottura, per essere servita in tutta la sua esplosione di sapori.
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