«Avia uno sciccareddu, davveru sapuritu, a mia mi l’ammazzaru, povero sceccu mio». Sono i versi di una popolare canzone siciliana che si tramanda da generazioni e racconta dell’amore sconfinato di un contadino verso il suo asinello che è stato ammazzato. Un canto straziante intervallato dal ritornello Ih oh, Ih oh che racchiude l’anima della Sicilia autentica, in questo caso quella dei siciliani che si ribellano alla mafia in un comune dell’entroterra della provincia di Enna, a Troina.
Qui ad ottobre del 2017 il Comune è riuscito a riappropriarsi degli ultimi 1300 dei 4200 ettari di un terreno che apparteneva al proprio demanio, ma che negli anni era stato indebitamente sottratto da alcune famiglie mafiose del luogo che qui avevano fatto il loro business con fondi dell’Unione Europea destinati all’agricoltura.
In quei vasti appezzamenti di terreni, dalla primavera del 2019, c’è l’allevamento di 115 asini ragusani e di 18 cavalli sanfratellani dell’azienda speciale Silvo-Pastorale del comune di Troina che dopo essersi rimpossessata dei propri terreni ha già cominciato a rigenerare un territorio, dando occupazione a otto giovani troinesi che si prendono cura degli animali e avviando una produzione che varia dalla mortadella al salame d’asino ai cosmetici, sapone e creme per il viso realizzati con quel latte che è un elisir della giovinezza.
Un esempio concreto in Italia di come lo Stato, in questo caso un piccolo comune di nemmeno settemila abitanti, può sconfiggere la criminalità organizzata che qui ha i suoi connotati più antichi, essendo una mafia dei pascoli, arcaica, ma ancora viva.
La rinascita di Troina si racchiude nella vicenda privata e pubblica di un giovane sindaco, Fabio Venezia, 38 anni, che da sette vive sotto scorta.
Eletto a giugno 2013 per la prima volta, dopo essere stato già consigliere comunale, con la sua giunta approva all’indomani delle elezioni un regolamento per incentivare gli agricoltori a denunciare i furti e gli atti incendiari che avvenivano nella campagne: «Installavamo un geo-localizzatore sui mezzi agricoli e dotavamo le aziende che decidevano di denunciare di un sistema di videosorveglianza», racconta a Vita il sindaco. Un provvedimento che segue la costituzione già nel 2011 dell’associazione antiracket, le passeggiate della legalità tra i boschi nel giorno di Natale. I cittadini troinesi non si sentono più soli e il Comune li affianca dal momento della denuncia alla costituzione come parte civile nei processi.
In un paio di anni i furti, gli atti intimidatori nelle campagne vengono azzerati: «Siamo passati da un furto ogni due, tre giorni a un’occasionale furtarello di galline» e scattano le prime operazioni antimafia: la Discovery 1 e la Discovery 2 che oggi contano condanne definitive in Cassazione. Per arrivare a questi risultati eccellenti il sindaco chiede l’informativa antimafia sui contratti in via di scadenza degli affittuari dei terreni comunali: «14 su 15 appezzamenti di terreno erano riconducibili a famiglie mafiose, non soltanto, ma due di quei terreni erano intestati alle mogli di due mafiosi rispettivamente condannati al 416 bis e all’ergastolo». A Troina si era creato un vero e proprio sistema criminale, poi diffuso in altre parti d’Italia, dalla Calabria al Piemonte attraverso gli incentivi dell’Unione Europea che andavano a valorizzare terreni rurali periferici indipendentemente dalla capacità produttiva. E così le famiglie dei clan Troinesi, affittuarie “legali” tramite la complicità di amministratori locali dell’epoca, si arricchivano, comprando a loro volta altri terreni.
Da dicembre 2013 il sindaco di Troina vive sotto scorta: «Avevo chiesto in prefettura che venisse omesso il mittente nell’informativa antimafia, ma il nome del sindaco appariva in bella vista e quelli sono balzati dalla sedia».
Dopo essersi riappropriato dei terreni che appartenevano al proprio demanio pubblico il sindaco Venezia incentiva economicamente l’attività dei privati per prenderli in gestione: «Ma la risposta era sempre la stessa, mi dicevano guardi sindaco ma ammia cu mu fa ffari», che in siciliano significa a me chi me lo fa fare. Nell’estate del 2018 il sindaco Fabio Venezia viene rieletto primo cittadino con oltre il 77 percento dei voti e davanti al rischio «di vincere la battaglia, ma perdere la guerra» perché i privati gli riconsegnavano i terreni, trasforma l’azienda pubblica Silvo-Pastorale in azienda agricola che oggi ha un Cda formato da tre componenti: Angelo Impellizzeri, Angelo Barbirotto e Giovanni Ruberto, che sono poi anche i compagni di lotta del sindaco.
Il progetto “Legalità di razza” sui Nebrodi che salvaguarda specie protette come l’asinello ragusano e il cavallo sanfratellano ha già dato occupazione a otto giovani del territorio che ogni giorno si prendono cura degli animali. «E ci siamo dotati di una sala mungitura meccanizzata per la produzione del latte d’asino», spiega il più giovane dei consiglieri Giovanni Ruberto, 27 anni: «Stiamo realizzando un Geo-resort attraverso la ristrutturazione di un antico rifugio che era usato indebitamente dalle stesse famiglie mafiose come stalla e stiamo collaudando una serie di attività escursionistiche e sportive». Tra le attività dell’azienda pubblica troinese c’è un’attenzione particolare al legno con un progetto che prevede il taglio di piante di cerro e faggio dalla cui estrazione si otterranno 2300 tonnellate di legname, producendo pellet e altri prodotti per il commercio.
La Rete delle Fattorie sociali della Sicilia supporterà l’azienda Silvo Pastorale nel riconoscimento del certificato Bio e nell’installazione di un ampio sistema elettrico dotato di pannelli fotovoltaici. E metterà a disposizione un furgone per commercializzare i prodotti nel territorio siciliano. «L’azienda speciale Silvo-Pastorale del comune di Troina è un chiaro esempio di cosa significa bioagricoltura sociale: un sindaco, una collettività che dicono no alle mafie e rigenerano un territorio», spiega Salvo Cacciola, presidente della Rete delle Fattorie Sociali della Sicilia.
Il 25 aprile 2020, in piena emergenza Covid, nell’azienda agricola Silvo-Pastorale di Troina è nata un’asinella che è stata chiamata Italia: «Hanno i nomi più vari, per i primi nati abbiamo attinto dalla tradizione normanna, quindi abbiamo Tancredi e Busilla, ma poi i nomi storici stavano terminando quindi abbiamo optato per i più comuni come Marta, Giovanna o Agata», racconta Angelo Barbirotto.
Dall’anno della costituzione dell’azienda agricola pubblica non sono mancati gli atti intimidatori: «Hanno manomesso la rete idrica, forzato le recinzioni e ci hanno sfidato facendo passeggiare le vacche sui nostri terreni nello stile delle Vacche Sacre della ‘ndrangheta. E purtroppo sono spariti anche alcuni dei nostri animali», aggiunge Angelo Impellizzeri.
I protagonisti di questa vicenda che racconta una storia antica e presente si professano testardi come i loro asinelli: quando si arrabbiano battono forte i loro zoccoli e ragliano.
Dall’unione di un asinello ragusano e un cavallo sanfratellano qui presto nascerà il primo esemplare di mulo troinese. E si aspetta maggio per assistere all’antico rito della transumanza, da dicembre 2020 patrimonio Unesco. I 115 asinelli tutti in fila lasceranno l’azienda a valle dove si trovano adesso e risaliranno fino a raggiungere i 1600 metri d’altezza. Per dire ancora no alla mafia ragliando. Così: Ih, Oh. Ih, Oh.
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