Giovani

Giustizia riparativa, a Porto Torres i ragazzi si rigenerano in barca

di Luigi Alfonso

La Gps, un'associazione di promozione sociale, sta ottenendo importanti risultati attraverso due progetti e il coinvolgimento di tante istituzioni. Una rete che si allarga sempre più e chiama a raccolta la comunità educante del territorio. I racconti di alcune mamme e dei loro figli

«Ho denunciato mio figlio. Per amore. Ho dovuto farlo per salvarlo da se stesso. Non me ne pento, non c’era altra via d’uscita». Franca è una mamma coraggiosa di Sassari. Ha gli occhi lucidi ma la voce ferma, mentre racconta ciò che era accaduto al primogenito. Una storia come tante altre, o forse no: perché non tutti i genitori hanno il coraggio di fare una scelta così difficile. Un’adolescenza burrascosa, quella di Antonio (nome di fantasia). Dalla cannabis all’uso di altre sostanze molto più forti, poi gli sbalzi d’umore sempre più acuti. E tante bugie. Un giorno Franca ha rinvenuto in un armadio del figlio una busta contenente droga: lì ha capito che era arrivata al classico bivio.

«Non potevo lasciare che mio figlio andasse alla deriva in quel modo. Prima mi sono rivolta al Serd, poi abbiamo fatto un percorso alla comunità di San Patrignano, ma non è arrivato il risultato in cui speravo. Così sono andata in questura e ho sporto denuncia. Mi è costata una grande fatica. Lui mi ha definita infame, mi ha detto che volevo rovinarlo. Ma noi genitori non dobbiamo essere complici delle malefatte dei nostri figli. Anzi, dobbiamo provare a fermarli in tempo. La vera svolta è arrivata quando, una sera di settembre, si sono presentati a casa i carabinieri: lo avevano arrestato per spaccio. La prima cosa che ho detto loro è stata: “Grazie, finalmente lo avete fermato. Accomodatevi, vi stavo aspettando”».

Questa è una storia che è andata a finire bene. I risultati che sono arrivati dopo passano per un’esperienza speciale, fatta attraverso due progetti della Gps, un’associazione di promozione sociale di Porto Torres. Uno si chiama “A scuola per mare” ed è stato selezionato dall’impresa sociale “Con i bambini” nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa (l’iniziativa coinvolge adolescenti di entrambi i sessi residenti in Sicilia, Lazio, Lombardia, Sardegna e Campania); l’altro è denominato “Futuro blu”, è complementare al primo ed è finanziato dalla Fondazione di Sardegna.

«Oggi posso dirmi veramente fiera di mio figlio, sono orgogliosa di tutto il percorso che ha fatto sinora. Desidero ringraziare lui e tutti gli operatori della Gps che hanno tracciato la sua rotta di vita».

«Franca è una donna straordinaria», è il commento di Alessandrina De Vita, ex insegnante di sostegno pugliese trapiantata da anni in Sardegna. È la presidente e fondatrice della Gps. «Noi educhiamo in mare a bordo di una barca a vela, rivolgendo i nostri progetti educativi, riabilitativi e inclusivi a minori in difficoltà ma anche a persone con disabilità fisica o cognitivo-relazionale. Dal 2010 interveniamo sul disagio giovanile, navigando per mare come laboratorio di conoscenza, formazione e crescita personale e di gruppo, e come opportunità formativo-professionale. Lo scopo è tessere reti e ancorare la comunità educante verso la costruzione di alleanze e modelli educativi. Mettiamo insieme l’Ussm (l’Ufficio di servizio sociale per i minorenni, ndr), la famiglia, la scuola e tutte le istituzioni che contribuiscono a recuperare questi ragazzi. Non hanno commesso reati particolarmente gravi, infatti non arrivano da un carcere minorile, ma sono estremamente a rischio. La valorizzazione della navigazione a vela, della barca come aula decentrata e del mare come laboratorio naturale dal quale pescare opportunità, pone al centro la persona e aiuta a crescere. I due progetti prevedono un percorso triennale, al termine del quale non ci fermiamo perché c’è sempre il forte rischio di una recidiva. I programmi di coaching individuale e di mentoring stanno dando risultati incoraggianti».

L’entusiasmo di De Vita è contagioso. Ha messo insieme una rete di contatti e collaborazioni con numerose realtà isolane e nazionali: il Dipartimento e il Centro di Giustizia minorile di Cagliari, l’Ussm di Sassari, alcune scuole del territorio (su tutte l’Istituto d’istruzione superiore “Mario Paglietti” di Porto Torres e l’Istituto Alberghiero di Sassari), i servizi sociali dei Comuni di Sassari, Porto Torres, Sorso, Stintino e Castelsardo, le cooperative e le comunità accoglienza per minori (in particolare Adelante Airone Porto Torres, La Fenice e Casa Gina di Sassari), tante imprese che operano nella blu economy e una serie di attori inclusivi in tema di giustizia riparativa.

«I protagonisti sono i ragazzi», precisa la presidente. «Gli operatori li affiancano cercando di fare emergere le loro potenzialità spesso sommerse. Siamo partiti tredici anni fa con il progetto “Se-Stante”, che ha tracciato una nuova strada per i ragazzi in difficoltà e ci ha permesso di rimotivarli, mostrando loro percorsi formativi alternativi. Alcune scuole hanno capito l’importanza di derogare rispetto al tetto delle assenze di questi adolescenti, che sono in dispersione scolastica: loro stanno in mare per 80 o addirittura 100 giorni, ma lavorano e studiano, in barca, e poi affrontano un esame finale. Molti di loro non solo si sono messi al passo con i compagni, ma hanno raggiunto medie dell’otto o del nove. Non mi sembrano risultati marginali».

«Ho conosciuto questa associazione attraverso il Tribunale», spiega il 19enne Edoardo. «Ho accettato di fare questa esperienza e sono partito in barca per tre mesi. Mi ha cambiato la vita, mi considero fortunato. Ho avuto il tempo per riflettere». Marco, 17 anni, ammette: «All’inizio non avevo capito bene in che cosa consistesse il progetto. I primi giorni sono stati difficili, era un ambiente totalmente diverso dal solito. Ma in barca ho conosciuto degli operatori che mi hanno aiutato a superare momenti bui». Michele, 16 anni, riconosce di essere stato fortunato: «Sono salito a bordo al momento giusto. Stavo per infilarmi in una strada senza uscita. Qui ho imparato a relazionarmi con le persone». Ma c’è anche chi, come Salvatore, ha capito che «il mare non fa per me, sto meglio a terra e così ho potuto fare un’esperienza formativa in un cantiere navale, al porto, che potrebbe darmi delle chance di occupazione grazie ai contatti della Gps». Filippo ha già raggiunto i 20 anni, è stato uno dei primi a dire sì ad Alessandrina. «Sono cresciuto molto sotto tanti aspetti, questa esperienza mi ha fatto maturare. Ho terminato gli studi e oggi ho le idee più chiare», dice con lo sguardo fiero.

Piera è una volontaria di 30 anni. «Andare per mare è una delle esperienze più belle che abbia mai fatto», commenta. «Grazie all’esperienza cominciata nel 2010, oggi sono la donna che sono». Elisabetta è invece una mamma che ha avuto un conflitto interiore, quando il figlio è salito sulla barca della Gps. «Vederlo partire per tre mesi, a 16 anni, non è stato facile», racconta. «Mi spaventava il pensiero del distacco, ma anche sapere a quali rischi si va incontro in mare. Oggi posso dire che è stata la cosa migliore per lui: lo vedo cambiato, è migliorato molto nel rendimento scolastico. Si è aperto tantissimo e ora mostra una sensibilità che non gli riconoscevo». Patrizia ha provato le stesse perplessità iniziali, ma pure lei oggi è felice di quella scelta: «Grazie all’Ussm, siamo arrivati alla Gps, che subito ci ha accolti benissimo e accompagnati in questo percorso», dice. «Sono ormai passati due anni da quando mio figlio ha terminato questa straordinaria esperienza, che porteremo sempre nei nostri cuori».

«Sono comandante di una barca a vela da trent’anni, con equipaggi con caratteristiche diverse, e credo che la navigazione rappresenti una rottura con il proprio passato», commenta Marco Tibiletti, presidente dell’Unione italiana Vela solidale. «Dobbiamo creare un villaggio del mare, un luogo sicuro e formativo che non può esistere senza una rete a terra fatta di associazioni, istituzioni, famiglie e aziende. Una comunità educante che si impegni per dare ai ragazzi che sbarcano istruzione e lavoro, che per loro vuol dire avere un posto nel mondo».

«L’idea è di restituire alla giustizia riparativa un compito pedagogico e miscelare i fattori comuni delle buone prassi educative», conclude Alessandrina De Vita. «Perché l’intervento educativo abbia un buon risultato, è necessario che gli attori del processo non siano solamente i ragazzi e le loro famiglie».

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