Pensate ogni anno a Londra circa 38mila persone attraversano correndo la città per arrivare primi al traguardo. Ma lo fanno mossi da un altro desiderio, quello della solidarietà. Ed è così sentito che, stando alle cifre diffuse, la maratona di Londra è diventata il principale evento di beneficenza del mondo: il totale delle donazioni ha toccato quota 315 milioni di dollari. E l’Italia? Nella cover del prossimo numero di Vita, che è proprio dedicata alla raccolta fondi, abbiamo provato a capire in che modo l’evento sportivo della maratona sta diventando sempre più anche nel Bel Paese uno “strumento” che le organizzazioni non profit possono utilizzare per raccogliere donazioni. Pensate che le associazioni che hanno aderito al charity program della Milano Marathon nelle ultime 10 edizioni hanno raccolto oltre 3 milioni di euro. O che all’Acea di Roma, per l’edizione 2018, si sono accreditate più di novanta onlus.
Così abbiamo chiesto a Giorgio Calcaterra, ultramaratoneta italiano, dodici volte vincitore alla 100 Km del Passatore, cosa succede quando ci si mette in moto, si corre, per solidarietà. Calcaterra, anche autore dei libri “Correre da Zero a Cento Km” e “Correre è la mia vita”, scritti con l’amico Daniele Ottavi, ne è convito: «Si corre anche per gli altri».
Giorgio, lei ha partecipato, lo scorso otto aprile, alla Maratona di Roma come ambasciatore del popolo dei runner e ha deciso di partire dall’ultimo posto…
Con la Maratona di Roma ho un rapporto speciale. Ho partecipato tante volte a quella gara. Durante la gara ho stretto almeno un centinaio di mani e qualcuno mi ha pure chiesto un selfie, anche se in corsa. Non è stata facile perché all’inizio ho corso un po’ troppo veloce e nel finale ho fatto fatica. Qualcuno mi ha anche sgridato perché non l’ho salutato, ma ero stanchissimo! È stata un’esperienza bellissima, una maratona completamente diversa dalle altre. Il messaggio che vorrei dare è che è bello correre in compagnia e non bisogna per forza andare sempre al massimo. Spesso, stando avanti, non vedo tutte le migliaia di persone che corrono la maratona, così domenica 8 aprile sono partito per ultimo proprio per cercare di vederne il più possibile.
L’unione tra maratone e sociale, che ne pensa?
Era ora che questa usanza anglosassone attecchisse anche in Italia. La condivido a pieno e più volte sono stato testimonial di diverse associazioni, prima tra tutte Sport Senza Frontiere, onlus che sostiene ragazzi che non hanno la disponibilità economica di praticare uno sport. E lo sport, invece, è sempre una ricchezza.
Qual è stata l’ultima maratona che ha corso per solidarietà?
La Roma Appia Run, lo scorso 15 aprile. Ho corso per Andrea, per realizzare il suo sogno: portare acqua in Etiopia. Andrea era un ragazzo di 15 anni investito e ucciso all’uscita dell’oratorio il 29 gennaio 2011. Il sogno di portare l’acqua in Etiopia lo aveva lasciato scritto nel suo diario. Da quel tragico giorno la mamma Elisabetta non ha perso un giorno senza provarle tutte per realizzare il desiderio del figlio. Abbiamo raccolto 10mila euro. Con questi fondi sarà inaugurato il 21esimo pozzo dell’iniziativa “Un pozzo per Andrea” realizzata dai missionari del Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo). Questa volta sarà il villaggio di Shebo nella regione del Gambella e garantirà l’accesso all’acqua potabile a circa 500 persone.
Legare la solidarietà all’evento sportivo della maratona funziona sempre?
Se il progetto per cui si invitano le persone a correre è valido sì, la maratona funziona sempre e funziona bene. Ovviamente deve esserci condivisione piena dei valori dell’associazione e prospettive concrete rispetto al modo in cui saranno utilizzati i fondi raccolti. Ecco io penso che ognuno di noi, anche con un piccolo contributo, possa fare la differenza. I recipienti si riempiono una goccia alla volta.
Perché la maratona è una buona occasione per raccogliere fondi?
In un ambito come in quello della corsa siamo più disposti ad aiutare. È un momento di riflessione e insieme di gioia dove tutti stiamo condividendo un obiettivo.
Che cos’è per lei la corsa?
La mia vita. Ho iniziato a correre a dieci anni, vedendo gli altri che correvano. Poi mi sono appassionato. E non ho più smesso. Corro da 36 anni e questa longevità è dovuta allo spirito con cui conduco gare e allenamenti (30 km al giorno ndr). Agonismo sì. Ma la corsa è prima di tutto uno strumento per stare bene. Quando sento ripetere che la corsa è fatica non sono d’accordo. L’eccesso della corsa è fatica. La corsa in sé è libertà.
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