Centimetri di comunità

Fra Padova e Rovigo, un grande patrimonio frutta inclusione e cultura

di Giampaolo Cerri

Poco più di un milione di persone su due province, Padova e Rovigo, eppure l'ente nato dalla storica Cassa di risparmio ha il quarto bilancio più importante d'Italia. Fra valutazione dei progetti e investimenti Esg, Palazzo Monte di Pietà è sempre meno semplice erogatore e sempre più propulsore e partner di progetti condivisi. Parla il presidente Gilberto Muraro

«Come lei sa, sono almeno 60 milioni di euro all’anno che stanziamo, a cui si aggiungono poi anche residui, per cui navighiamo tra i 60 e i 70 milioni annuali su un territorio di questa dimensione, è un apporto importante»: Gilberto Muraro è il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo (Fondazione Cariparo), che ha sede nello storico Palazzo del Monte di Pietà nel cuore del centro patavino. A metà del suo secondo mandato, rinnovato nell’aprile di due anni fa, «all’unanimità» come riporta una nota di allora, guida una grande fondazione in un territorio non enorme e non troppo popolato: il Padovano e il Rodigino insieme non arrivano a 1,15 milioni di abitanti.

Professore di Scienza delle finanze, rettore dell’antico ateneo patavino all’inizio degli anni ’90, guida infatti un ente che ha il quarto patrimonio netto d’Italia, 2,196 miliardi, posizionato subito dopo le tre big: Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo e Fondazione Crt. Muraro presiede cioè una di quelle realtà perfette per questa serie, Centimetri di comunità, che vuole proprio raccontare il ruolo delle fondazioni bancarie nelle città e nei territori medio piccoli.

Professore, dunque il vostro ruolo è avvertito dalla società civile.

Sì, anche perché noi curiamo sempre le collaborazioni col settore pubblico, col Terzo settore e quindi (rispetto alle erogazioni, ndr) esercitiamo anche un effetto leva, che moltiplica, quantomeno aumenta, quello che è l’impatto poi sul territorio.

Professore, però voi siete sempre più una fondazione che non è meramente erogativa: siete propulsori voi stessi di progetti, di progettualità, insomma siete sempre più operativi.

Noi ci muoviamo a 360 gradi, a volte con azioni dirette, per esempio un corso di cittadinanza attiva chiamato Segnavie, che abbiamo organizzato in proprio.
Abbiamo ormai molti anni di esperienza in campo artistico – promuoviamo mostre a Padova e, soprattutto, a Rovigo – e musicale, con la rassegna di musica, teatro, danza Musiké. Abbiamo creato poi la Fondazione Oggi e domani, per le azioni nel campo della disabilità (dopo di noi, ndr). Quindi ci muoviamo anche volentieri in proprio, però la maggior parte della nostra attività si esprime attraverso il sostegno ad attività di terzi. Cerchiamo sempre di trovare la modalità più efficace.

Noto che avete una predilizione per la parte storicamente più debole del vostro territorio, ossia il Rodigino.

Privilegiamo Rovigo e lo facciamo in piena trasparenza, con l’approvazione anche dei consiglieri padovani, perché Rovigo ha effettivamente più bisogni di Padova. E quindi nel capoluogo polesano abbiamo concentrato anche certe attività che a Padova sarebbero utili ma non essenziali, perché c’è una presenza culturale già forte nella città e nell’università.

Per esempio?

Per esempio le grandi mostre che facciamo a Palazzo Roverella e a Palazzo Roncale. Negli ultimi tre anni quelle di maggior successo sono state le mostre su Renoir, Kandinsky e, l’ultima, su Toulouse-Lautrec.

La mostra di Kankdinsky organizzata da Fondazione Cariparo a Rovigo

C’è qualche progetto che più esemplifica il vostro modo di concepire e di valorizzare il Terzo settore?

Per fortuna abbiamo ereditato dai nostri avi veneti un grande patrimonio che abbiamo l’orgoglio di aver conservato e moltiplicato e questo ci consente di essere incisivi. Noi siamo amministratori molto transitori…

Protempore, come si diceva una volta.

…esatto, di un grande patrimonio che ha un significato ovviamente materiale ma anche un significato morale, che è frutto delle pratiche del risparmio dei nostri progenitori.

Cosa ne consegue?

Che sentiamo molto il dovere di essere presenti e forse l’inclusione sociale, tra i sette grandi capitoli di attività in cui si esplica la nostra missione, è quello che ci dà più soddisfazione, perché vediamo più tangibili i risultati che riusciamo a ottenere, sia attraverso l’aiuto concreto che diamo per certe iniziative che senza il nostro aiuto non si potrebbero realizzare, sia attraverso la crescita. Perché ogni volta che parliamo di inclusione sociale, al centro poi troviamo il volontariato. Dobbiamo tenere presente che, in aggiunta a quello che si fa materialmente, c’è anche questo input etico, che noi immettiamo nella società e che raddoppia, me lo lasci dire in maniera approssimativa, il risultato della nostra azione. Ecco, nel campo dell’autonomia sociale abbiamo anche esperimenti in atto che ci sembrano promettenti e comunque li prendiamo come sfide da affrontare con forte determinazione.

Facciamone il dettaglio.

Il primo è l’attività della Fondazione Oggi Domani, che menzionavo prima. È stata chiamata proprio a operare assieme alle famiglie nel campo della disabilità, in particolare della disabilità mentale, che è una sfida enorme, ma che dobbiamo veramente accettare. E qui abbiamo iniziato, dopo i primi passi già significativi nella creazione di sportelli e nella realizzazione di corsi, abbiamo avviato una serie di pubblicazioni di aiuto ai caregivers nel campo delle disabilità, insieme a un bando impegnativo anche sul piano finanziario: si chiama “Autonomia Più” e punta a promuovere e realizzare percorsi di vita personalizzati, che accompagnino gradualmente la persona con disabilità intellettiva verso l’autonomia.

Andiamo avanti, presidente.

Poi abbiamo il progetto “Sostegno all’imprenditoria sociale” che si rivolge in particolare alle cooperative e alle imprese sociali, a cui non diamo erogazioni dirette però aiutiamo a ottenere credito a tasso agevolato da parte della banca, noi paghiamo gli interessi e aggiungiamo poi alla fine del progetto una premialità in denaro, in caso di risultati occupazionali significativi. E poi…

E poi?

E poi stiamo per partire – qui naturalmente come dire, butto il cuore oltre all’ostacolo, prefigurando l’attività che non è ancora realizzata – ma abbiamo una forte determinazione da parte degli organi sociali per essere presenti in un progetto per gli stranieri minori. Praticamente il contenuto potrebbe essere espresso con “integrazione scolastica dei minori stranieri”.

Che tra l’altro Padova, lo abbiamo raccontato spesso su VITA, ha una bella tradizione.

Secondo me è una partita decisiva, perché in quel segmento di attività ci giochiamo il futuro. O riusciamo a trasmettere valori, a integrare, i minori stranieri, altrimenti avremo dei potenziali nemici, diciamo la verità. Quindi siamo consapevoli della delicatezza e dell’importanza strategica di questa operazione che, ripeto, stiamo elaborando da un po’ di tempo e spero che presto veda la traduzione in progetti operativi. Siamo inoltre presenti, da tanto tempo, nell’housing sociale, che ultimamente è anche esploso come uno dei problemi della società italiana.


Sulla valutazione dei progetti che linea vi siete dati? A volte i bandi hanno sollecitato e aiutato gli enti del non profit a farsi una cultura della misurazione della valutazione.

Ha detto bene che c’è anche necessità di farsi una cultura della valutazione. Il non profit, da questo punto di vista, forse era un po’ viziato.

In che senso?

Nel senso che le buone intenzioni parlano da sole e senza bisogno di risultati.

Invece?

Invece bisogna abituarsi e abituare gli altri a misurarsi con i risultati delle nostre azioni, se è possibile misurarli e incrementarli. Noi siamo molto rigorosi non solo nella rendicontazione finanziaria, perché vogliamo assolutamente che anche i nostri sostegni siano trasparenti. Quindi non soltanto la rendicontazione finanziaria, corretta ed esaustiva, ma anche una rendicontazione dell’impatto delle attività che noi sosteniamo. Il primo livello è quello dell’output, i risultati generati: se fai uno spettacolo, quante persone sono venute? Se fai un programma di inclusione sociale, quante famiglie si è riusciti ad assistere? Con che modalità? Un livello più ambizioso, che abbiamo sempre a mente, ma che è impegnativo anche sul piano organizzativo scientifico, è quello della valutazione di impatto in senso tecnico.

Spieghiamolo bene.

Lo stiamo effettuando in alcuni progetti sperimentali, con l’aiuto di vari esperti, alcuni appartenenti all’Università di Padova. In termini organizzativi bisogna creare un gruppo di controllo, stabilire dei protocolli abbastanza rigidi per poter poi rendere comparabili i risultati raggiunti rispetto alla situazione ex-ante.

Come ha visto cambiare anche in questi anni, il mondo del non profit? Siete in una città che ha una vocazione storica (Civis, Fondazione Zancan, Oic, l’opera del professor Ferro)…

Mi faccia fare una piccola ricostruzione storica.

Prego.

Noi abbiamo sempre avuto, per motivi anche religiosi, una tradizione di beneficenza nella nostra società, che poi nel secondo Dopoguerra si è trasformata in un’azione politica importante ed efficace, per la creazione dei diritti sociali. C’è stata in quella fase, se vogliamo dire fino in fondo la verità, un po’ un’eclisse del volontariato, perché sembrava quasi che mangiasse terreno a quella che era la lotta per la dichiarazione e la realizzazione dei diritti di piena cittadinanza. Dopodiché lo Stato ha creato lo “Stato sociale” e penso sia una gran bella pagina per l’Italia e per tutti gli altri Stati occidentali. Successivamente, però, si è trovato anche con problemi finanziari veramente gravi, che hanno indotto un po’ a sacrificare certe prospettive di crescita ulteriore del benessere organizzato proprio nell’ambito pubblico. Cosa che ha fatto esplodere il concetto di sussidiarietà: non basta più quella che è l’azione diretta dello Stato e delle pubbliche amministrazioni in senso stretto, bisogna che tutta la società civile si organizzi per generare azioni di solidarietà. Quindi si è passati dal welfare state alla welfare community.

In tutto questo il Terzo settore?

Da questo punto di vista c’è stato un ritorno importantissimo del Terzo settore e del volontariato in particolare. Noi ci sentiamo rappresentanti, anche se non lo siamo formalmente, del Terzo settore, nel senso di essere protagonisti della sua filiera. Le nostre azioni sono dirette essenzialmente a dire che ciascuno di noi può fare qualcosa per il bene comune e, potendolo fare, lo deve fare. E noi siamo lì ad aiutare questa crescita. Ultimamente il Terzo settore è passato attraverso un processo di riorganizzazione, imposto in maniera anche intelligente, attraverso la creazione del Runts, del registro unico, che ha posto anche delle condizioni di trasparenza, di organizzazione interne, che hanno creato un forte stimolo a crescere, a volte anche con effetti dolorosi, perché certe piccole organizzazioni non ce l’hanno fatta a inserirsi in questi albi. Però credo che la crescita organizzativa sia stata significativa. In questo panorama, l’unico dato che viene letto da alcuni in maniera preoccupante, è la leggera diminuzione del volontariato che si è registrata nell’ultima rilevazione Istat.

Che idea se ne è fatto?

Ma io credo che ci siano stati anche effetti un po’ ritardati di quello sbandamento determinato dal Covid. Sono convinto che il volontariato rimanga una delle grandi forze del nostro Paese, uno dei pochi settori in cui non sfiguriamo rispetto agli altri Stati con cui usiamo di solito paragonarci. Lo vedo ancora vitale, lo vedo sempre più importante in una società dove i bisogni si moltiplicano, e dove le risorse strettamente pubbliche, per via della resistenza alla tassazione, sono poche e quindi c’è sempre più bisogno, appunto, della welfare community. Ognuno deve fare qualcosa per il Bene comune e noi siamo lì per aiutare.

Avete un patrimonio importante. C’è una parte del vostro investimento mobiliare che tenga conto dei criteri Esg? O ci sono investimenti nella finanza responsabile?

Le dirò che la nostra Fondazione crede fermamente nella necessità di partecipare a questo grande spazio collettivo per avere un’attenzione sempre maggiore verso gli Esg, verso questi aspetti ambientali, sociali, di governance del nostro tessuto produttivo e sociale. Quindi nel nostro campo ci siamo dati da fare per essere a posto con questi paradigmi nuovi. Naturalmente non possiamo dire che gli Esg siano l’unica nostra guida, perché abbiamo la necessità ovviamente di incrementare e far fruttare il nostro patrimonio per poter poi fare le erogazioni che sono l’elemento distintivo e più efficace per la nostra azione. In ogni caso, non solo cerchiamo di evitare le cose che siano appunto pericolose sotto questi profili, ma anche di creare un piccolo parco investimenti che sia esemplare.

In che modo, presidente?

Da un lato misuriamo, da quasi 10 anni, il punteggio Esg degli investimenti in portafoglio e in particolare le emissioni di anidride carbonica. Dall’altro, sperimentiamo.

Per esempio?

Abbiamo deciso di creare un portafoglio sperimentale espressamente dedicato al contrasto del cambiamento climatico, che finanzia soluzioni per settori come l’agroalimentare, i trasporti, le infrastrutture energetiche potenzialmente capaci di cambiare il contesto in cui operano. Facciamo anche investimenti di impatto in Italia (transizione energetica, rigenerazione urbana, digitalizzazione delle Pmi). Chiaramente qui gli importi in gioco devono essere ben controllati (per ora puntiamo a 90/100 milioni) perché sperimentare si porta dietro un rischio maggiore di quello che ci concediamo per il “grosso” degli investimenti finanziari, giustificato dal fatto che si investe per affrontare sfide ambientali e sociali importanti. Ci siamo dati due mete ambiziose.

Quali?

Quella comunitaria, di avere l’emissione zero del portafoglio finanziario entro il 2050, e quella, che per il momento è l’obiettivo più vicino e più stringente, di dimezzare l’emissione del nostro patrimonio mobiliare entro il 2030.

(Gli attiviti finanziari di Fondazione Cariparo, a valori di mercato, ammontano a 3,5 miliardi, investiti per un terzo in Intesa Sanpaolo, ndr).

Quest’anno il mondo Acri ha trasferito oltre un miliardo a settori più importanti del Paese. Pochi mesi fa, però, in coda alle tensioni che hanno accompagnato l’uscita di Fabrizio Palenzona da Fondazione Crt, Giuseppe Guzzetti ha dovuto rintuzzare, a colpi di lettere sui giornali, i ritorni di Giulio Tremonti. È sembrato che fossimo di nuovo intorno al 2000, con l’attacco della politica all’autonomia delle fondazioni. Tutto tranquillo o lei teme che la politica torni, prima o poi, ad accampare diritti di scelte, di gestioni più o meno dirette?

Cerco di non essere troppo ingenuo ma penso che la battaglia che allora il presidente Guzzetti fece, con una dedizione totale e una grande intelligenza, sia stata vinta. E credo che le fondazioni abbiano una base giuridica solida, come rappresentanti delle libertà sociali e quindi come corpo intermedio assolutamente riconosciuto, ma credo anche che si siano conquistate di diritto “un posto al sole” nella società italiana attraverso comportamenti che non sempre sono stati esemplari –ne sono consapevole – ma che negli ultimi periodi effettivamente sono stati caratterizzati da molta trasparenza e da notevole efficacia ed efficienza. Per quanto riguarda la Fondazione Cariparo, devo dire che il nostro rapporto con la politica è assolutamente trasparente, rispettoso e proficuo. Gli enti designanti segnalano terne al cui interno il Consiglio della Fondazione fa la propria scelta, nomina dei rappresentanti che però diventano rappresentanti della Fondazione, non più dell’ente di designazione. E poi naturalmente l’altro rapporto che abbiamo con la politica è quello in termini di sostegno, di sussidiarietà.

In che modo?

Come dicevo prima, vogliamo essere campioni della sussidiarietà, che significa rivolgerci alle istituzioni, oltre che agli enti del Terzo settore, per capire cosa fanno e capire come possiamo integrare. Quindi è un rapporto quotidiano quello che abbiamo con le istituzioni politiche, però è un rapporto all’insegna della trasparenza, della correttezza, ognuno fa il proprio ruolo e rispetta il ruolo altrui.

E poi mi sembra che i rapporti siano molto buoni anche con la controllata, Intesa Sanpaolo. Nel senso che Carlo Messina continuamente elogia le fondazioni azioniste.

Noi siamo stati investitori stabili come ci si aspettava che fossero le fondazioni e di questo Intesa Sanpaolo ci dà ampio appunto riconoscimento ed esprime grande soddisfazione. Noi a nostra volta siamo molto soddisfatti di un management che si è dimostrato all’altezza sotto ogni profilo e che continua a dare un flusso di dividendi che per noi è essenziale per fare bene alla nostra attività erogativa. Quindi è veramente un rapporto win-win.

Le foto del servizio sono di Andrea Verzola per Fondazione Cariparo. In apertura, una delle attività di lavoro nel carcere Due Palazzi di Padova, sostenuta dai bandi sull’inclusione sociale dell’ente.

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