La Federazione lombarda delle Bcc compie oggi 60 anni. Su Vita magazine di giugno, uscito nei giorni scorsi, ospitiamo un’intervista al presidente Alessandro Azzi, quella che trovate di seguito ne è la versione estesa.
Alessandro Azzi da Montichiari (Brescia), avvocato. Per decenni è stato il volto del Credito cooperativo nazionale, alla guida di Federcasse, quella «banca differente» di cui a un fortunato spot che entrò nella testa degli italiani. Ci riuscì perché pubblicitariamente azzeccato ma certamente anche perché quell’acronimo, Bcc, era familiare a milioni di persone. Incontriamo Azzi a Milano, nella sede della Federazione lombarda delle Bcc, la più grande d’Italia, che guida dal 1991 e che il 14 giugno compirà 60 anni di storia.
Presidente, è cambiato il mondo ed è cambiato il mondo delle banche. Voi continuate a essere una banca legata ai territori, legata alla comunità…
Un movimento di banche.
Grazie di questa puntualizzazione. Ho detto banca perché, anche io come molti, ho ancora in testa quello slogan: “La mia banca è differente”. E allora, è ancora possibile essere un movimento di banche legato a territori e comunità? Come si può fare, ancora oggi, dopo le varie Basilea?
Avrei una osservazione sull’“ancora”, perché “ancora” mi fa vedere un’impostazione di residualità che, invece, è smentita dai numeri, in crescita. Non sono in crescita solo quest’anno o l’anno scorso, ma sono in crescita forse da quando il Testo Unico bancario, quindi del 1993, di fatto aprì la concorrenza nel settore e ci tolse le limitazioni, che qualcuno confondeva con le nicchie protettive.
Non lo erano?
Erano anche protettive, ma in realtà erano, in qualche modo, impeditive di una crescita. In sostanza, questa crescita continua, sui settori tipici dell’economia italiana: abbiamo quote di mercato, per gli impieghi, che superano il 23%. Parlo di turismo, agricoltura, imprese con meno di 20 addetti, artigianato, che sono le caratteristiche e imprese della nostra economia. Quindi anziché “ancora” direi “sempre più”, se potessi sostituire l’avverbio.
Sostituiamolo, ma mi dica le ragioni di questo successo?
Il segreto è che abbiamo saputo adeguare le modalità operative, anche nell’epoca del digitale, che comporta davvero una messa in discussione del tradizionale modo di relazionarsi col cliente, con l’efficienza dei prodotti, dei servizi che vengono dati dalle due capogruppo (Iccrea e Cassa Centrale). Quindi siamo moderni e avanzati quanto la concorrenza su questi fronti – cioè chi opera con noi, anche come impresa, oltre come cliente sofisticato, trova risposte adeguate alla concorrenza – in più, rispetto alla concorrenza, abbiamo saputo mantenere e valorizzare l’identità, l’ispirazione, i valori che sono percepiti dalla clientela, che ci riconosce banca di comunità e magari è disposta anche ad accettare non sempre le migliori condizioni sul mercato. Questo ci dà una capacità di fidelizzazione della clientela, quella che si sente partecipe e coinvolta e che le altre banche evidentemente non hanno, perché tendenzialmente hanno una clientela più volubile.
Che vuol dire?
Vuol dire che è magari attratta dal brand, ma pronta anche a cambiare casacca o cambiare banca, se ci sono migliori condizioni. Il nostro cliente è un cliente fidelizzato. I numeri, a livello nazionale, sono 1,5 milioni di soci e circa 7 milioni di clienti. Quindi il segreto è il connubio tra identità ed efficienza credo.
Una sfida impegnativa, immagino.
Sì, lo facciamo dando risposte, anche non solo sul fronte economico, alle esigenze nuove delle persone e delle comunità. Attraverso le associazioni mutualistiche, il welfare aziendale, il crowdfunding e così via.
Alla fine dell’800, ai primi del 900, quando le prime casse rurali sono nate, c’era un tipo di società che, quasi naturalmente, esprimeva una responsabilità comune: mettiamo in piedi una banca…
La Rerum novarum che spinge i cattolici a darsi da fare…
Certo, che spinge i Tovini, i Toniolo a costruire banche, a istituire università. Oggi viviamo tempi diversi e mantenere viva quella stessa tensione al bene, non è affare da poco…
Le rispondo con una battuta che faccio spesso in assemblea, quando dico che a noi piacciono gli anniversari, perché ci ricordano da dove veniamo. Ho festeggiato con una Bcc bresciana il 130° e la mia stessa Bcc del Garda (Bs), di cui sono stato presidente per molto tempo, li compirà l’anno prossimo. Il mese scorso eravamo a Carugate (Mi) per festeggiare un 70mo della Bcc di Milano, anche se qualche settimana fa ero a Napoli, dove la Bcc festeggiava i 15 anni. Ci piacciono gli avversari e le autodefinizioni: ci eravamo chiamati “banca contro corrente”. Noi lo sappiamo bene. Poi ci chiamiamo “banche di comunità”, più che di territorio, perché evidentemente la comunità è una cosa, fisica e oggettiva. Ci siamo chiamati – Sergio Gatti lo ha scritto un libro – “banca con l’anima”. A me, che sono più prosaico di Gatti essendo bresciano, piace dire “banca che serve”, perché se non ci fosse, ci sarebbero solo banche tutte uguali.
Stiamo allora sulla “banca che serve”.
Serve perché è al servizio della comunità, non ha grandi azionisti da soddisfare e quello che guadagna – perché deve guadagnare, intendiamoci, sennò non c’è sicurezza dei depositi – lo reinveste totalmente nel patrimonio aziendale e quindi è di proprietà di tutti. Ma potremmo anche dire molto più.
Diciamolo, presidente.
Molto più che una banca. Una banca perché, per stare sul mercato, dobbiamo fare la banca con la stessa efficienza e rapidità di tutte le banche tradizionali, ma molto più che una banca, perché riteniamo di dover contribuire a dare risposte alle nuove esigenze della comunità, che nascono da problematiche in parte acuite dai tempi difficili.
Facciamo qualche esempio?
Penso alla sanità, penso alla previdenza integrativa e oppure a quella tradizionale. Questo impegno, che finora svolgevamo già nell’ambito della banca stessa ma abbiamo pensato di costituire soggetti ad hoc che sono emanazione dalle Bcc. Le chiamiamo mutue di comunità, sono associazioni mutualistiche che hanno come finalità, appunto, quella sanitaria previdenziale, ma anche sportiva, culturale, educativa e di sostegno alle famiglie. Tutto quel che si può fare per dare risposte alle esigenze delle persone, creando soggetti ad hoc, perché così è più facile coinvolgere il Terzo Settore, il volontariato in senso lato, che evidentemente non potrebbero entrare nel consiglio di amministrazione della banca, ma che si sente più coinvolto e più partecipe, più protagonista, entrando magari nel consiglio dell’associazione mutualistica.
Cosa mettete in campo in più?
Il patrimonio della banca ma fino a un certo punto, mettiamo in campo la credibilità e l’esperienza maturata, di generazione in generazione, mediamente in più di 100 anni, da parte di chi, con serietà e impegno, ha sempre custodito, prima di tutto, i depositi, la raccolta, i risparmi della gente. E ovviamente siamo stati capaci di farlo anche rispondendo alle rigorosissime richieste dei regolatori europei. Questo soggetto o l’emanazione di questo soggetto, si propone di coinvolgere tutti, senza presunzioni di egemonia, per gestire insieme le risposte alle esigenze delle comunità.
Come lo fate?
Lo facciamo con l’associazione mutualistica, col welfare aziendale e poi, scoperta di questi ultimissimi anni, con il crowdfunding, che noi in Lombardia abbiamo un po’ impostato secondo la nostra visione, e chiamiamo community funding, appunto.
Meglio “comunità” di “folla”, giustamente.
Nei giorni scorsi, nella mia Bcc, dove sono a oggi in consiglio di amministrazione, la Garda a Montichiari, abbiamo analizzato l’andamento degli ultimi due anni, ed è straordinaria la risposta: ci sono state, credo, una trentina iniziative – asili, associazioni, cooperative e via dicendo – che hanno partecipato all’iniziativa promossa dalla Bcc e hanno raccolto più di 500mila euro per sviluppare i propri progetti.
Lo fate con un player sperimentato, la società bolognese Ginger. La banca va a integrare?
Sì, in diversa misura, la banca – oltre a finanziare la formazione delle associazioni coinvolte e l’accesso alla piattaforma – a seconda dei progetti e, in funzione del target, fa da moltiplicatore delle donazioni raccolte. Ma al di là delle cifre…
Aldilà delle cifre?
Aldilà delle cifre, colpisce il coinvolgimento della gente: chi ha messo 50 euro, poi vuol vedere come è andata e quindi si interessa e si sente protagonista di un’iniziativa collettiva. Una mia figlia frequenta una scuola paritaria, dove hanno realizzato un’iniziativa col community funding e ora tutti i genitori vogliono sapere com’è andata, cosa si farà. Sono cioè in movimento. Inoltre l’uso della piattaforma richiede una formazione, in cui spesso si vedono diverse generazioni di volontari assieme. È talvolta l’innesco di un cambiamento interno. A volte il budget da raggiungere è il meno. E le dico la verità…
Prego.
Ero scettico, non tanto sul modello: la mia Bcc era stata una delle prime a partire e poi avevo visto Milano con ottimi risultati. Il mio scetticismo riguardava i numeri: 20-30mila euro, mi dicevo, cosa spostano?
E invece?
E invece non avevo considerato il coinvolgimento della gente, il protagonismo delle persone, il valore aggiunto e quello ed è straordinario.
Senta presidente, lei faceva poco fa l’episodio dei cittadini vedono che i denari della banca finire nel laboratorio della scuola. C’è, ed è sempre più ampia, una sensibilità per come e dove vengono investiti i risparmi: tutto il tema dell’investimento etico. È un tema di chi ha l’operatività bancaria, dunque Iccrea e Cassa centrale, ma lei che ne pensa?
Allora, prima di tutto, per definizione, le Bcc hanno adottato codici etici e non finanziano settori armieri, per esempio. Non solo, fanno finanziamenti in genere già anticipatori degli Esg. Ci sono codici etici dell’uno e dell’altro gruppo al riguardo, oltre che della Federazione. Per fare un esempio, conosco in maniera particolare le iniziative “green”, dei mutui di giovani e comunque finalizzati all’acquisto di case con rating energetici “a” o “a-b” massimo “c” e ci sono condizioni di tassi veramente vantaggiose.
Ma lei, presidente, ci crede a quest’idea che circola e cioè che spetti alla finanza guidare queste grandi trasformazioni all’insegna della sostenibilità? Goldman Sachs e questi mondi lo hanno in qualche modo quasi statuito, per esempio, sul cambiamento climatico. De-finanziando le aziende che usano ancora il fossile e che non hanno in programma di riconvertirsi.
Io non credo al primato della finanza, per prima cosa. Pur trovandomi da tanti anni a gestire o co-gestire attività finanziarie, non credo al primato della finanza. Credo però che la finanza sia un’infrastruttura indispensabile e quindi penso che ognuno debba fare la sua parte e certamente la parte della finanza è molto importante.
Quindi?
Quindi, senza pretese di primazia al riguardo, anche la finanza deve muoversi, con sincerità di accenti e di obiettivi, perché greenwashing sappiamo che cos’è, ma c’è anche il socialwashing, per esempio. E lungi da me il pensiero di dire noi siamo più sinceri e veri degli altri su questa materia. Ognuno deve fare la sua parte, la finanza anche e, nell’ambito della finanza, ognuno metta in campo le sue carte. Non so se ci si debba far concorrenza anche su questo. Spero di no. Quindi non primato della finanza ma concorso della finanza anche su questo obiettivo.
Azzi, veniamo al rapporto col sociale, che sta nella vostra storia. Assistiamo, proprio nel mondo bancario, a una un’attenzione crescente al mondo non profit. Citavamo prima Intesa Sanpaolo, ma c’è anche Bper che è molto attiva. Voi che l’avete sempre fatto, non vi sentite in qualche modo scavalcati? O vi fa piacere, viceversa, che siano venuti in tanti laddove eravate già.
La Caritas in veritate dice che non va bene la logica dei due tempi. Faccio guadagni comunque e poi faccio beneficenza. Ma la vera finanza, quella etica, deve farlo nel durante.
Strutturalmente, lei dice.
Perché se no facciamo la filantropia all’americana: mi arricchisco per una vita e poi dopo mi guadagno il paradiso erogando. La nostra strada è quella di cercare di fare credito, di tutelare i risparmi della nostra gente, che è il primo scopo per cui siamo nati.
Fare credito e tutelare i risparmi della nostra gente è il primo scopo per cui siamo nati
Alezzandro Azzi
Perché altri, anche popolari, i risparmi li hanno fatti finire male, a volte.
Certo. Tutelare i risparmi della gente e erogare prestiti a chi li merita e auspicabilmente li restituirà – perché non sono soldi del consiglio di amministrazione, ma sono soldi, di chi li ha depositati. Tutto questo facendolo, certamente con un’attenzione alla sostenibilità, al conto economico della banca, ma con modalità non aggressive, cioè di vicinanza, di condivisione. Questo è il primo modo per raggiungere eticamente la propria finalità. In ogni caso è buona cosa che arrivino quattrini e energie a sostegno del sociale e ognuno fa alla sua maniera.
Veniamo alla federazione della Lombardia. Un anniversario importante, questo 60mo. Qual è lo stato dell’arte?
La storia del Credito cooperativo è stata sempre accompagnata da profezie di sventura, perché secondo il mainstream – che c’è sempre stato – avere la pretesa di conciliare la gestione del denaro con i valori non aveva prospettive. «È un assurdo economico», disse Maffeo Pantaleoni alla fine dell’800. Le profezie di sventura ci hanno sempre accompagnato, ci hanno portato bene, visto che siamo qua, in discreta salute. L’ultima fase delle profezie di sventura è stata la riforma del 2016-2018, quella che per le popolari è stata sostanzialmente una selezione: l’apertura ai mercati, la competizione e quindi l’ingresso delle grandi popolari in altri soggetti
Voi invece?
Noi l’abbiamo superata quella fase complicata, è l’ultima fase della mia presidenza nazionale. Nati i gruppi, portate le Bcc ad aderire ad una capogruppo, perché non si poteva fare più diversamente, sembrava fosse arrivata l’ora della scomparsa o della marginalizzazione delle federazioni, cioè della componente associativa. E anche questa Federazione, che è la più importante, numericamente, si era posta questa domanda, la cui risposta non era scontata. Abbiamo ritenuto che ci fossero ragioni di sopravvivenza.
Allora la federazione che cosa offre alle Bcc, oltre a quello che danno le capogruppo?
Tutto quello che non è bancario, che non è una cosa “appiccicata”, perché abbiamo appena finito di dire c’è tutto un mondo, di molto più che banca, da affrontare, con cui dare risposte alle richieste delle comunità e su cui essere più competitivi rispetto alla concorrenza. Quindi il percorso è continuato, trovando anche nuove ragioni, nuove motivazioni e dando delle ulteriori prospettive di originalità nel futuro per il verso il futuro.
Per esempio?
I giovani. Noi abbiamo il problema di come fare il passaggio generazionale ai giovani che non dialogano più con i mezzi nostri delle mie generazioni o anche con sì alla mia, ma con nuove modalità. Perché, se non lavoriamo su questo, lì diventiamo indistinti. Invece noi dobbiamo riuscire a comunicare coi giovani e coinvolgerli nelle iniziative che hanno bisogno di un entusiasmo e un disinteresse tipico dei giovani. E quindi questa ispirazione, che risale all’800 ha le carte in regola per candidarsi e anche verso il futuro.
Senta, quell’“ancora”, che non le è piaciuto giustamente, vale un po’ per la mutualità in generale. Il mondo cooperativo, produttivo e sociale, che è una forma che ancora corrisponde all’uomo dell’anno 2024.
Ci sentiamo innestati in questa in questa società, così piena di complicazioni, perché abbiamo le nostre carte da giocare e la nostra coerenza da realizzare. Perché è un fattore di coerenza e di ispirazione quello che si dice nel nostro straordinario articolo 2 dello Statuto, di straordinaria attualità perché parla di impegno delle Bcc: “(…) favorire i soci e gli appartenenti alle comunità locali nelle operazioni e nei servizi di banca, perseguendo il miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economiche degli stessi e promuovendo lo sviluppo della cooperazione e l’educazione al risparmio e alla previdenza nonché la coesione sociale e la crescita responsabile e sostenibile del territorio nel quale opera”.
Una micro-costituzione.
Sì e vorrei farle notare che il miglioramento delle condizioni economiche è solo al terzo posto!
La foto in apertura, di Gian Vittorio Frali, come le altre foto sono della Federazione lombarda Bcc.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.