Proponiamo la traduzione italiana dell'intervista esclusiva concessa oggi a Vitainternational.media e Afronline.org. I media di Vita Group che parlano inglese
Il Mar Mediterraneo, assieme alla zone saheliana, sono diventati cimiteri a cielo aperto per i migranti africani che vogliono approdare nell’eldorado europeo. Dove inizia e dove si ferma la responsabilità dell’Unione Europea nel salvare vite umane e nel gestire i flussi migratori provenienti dall’Africa, e quella dei paesi africani?
È una responsabilità che va condivisa. Salvare vite umane è la priorità principale dell’Unione Europea. La missione Frontex ha salvato centinaia di migliaia di vite nel 2015. A fine luglio abbiamo lanciato l’operazione navale europea contro i trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo. Da allora, le navi di questa operazione hanno salvato più di 5mila persone e sequestrato decine di beni appartenenti ai trafficanti di esseri umani nelle acque internazionali. Ma è solo una parte degli sforzi che stiamo portando avanti.
Da quando ho assunto le funzioni di Alto Rappresentante dell’Unione Europea, ho sempre pensato che non potevamo limitare la nostra attenzione alle frontiere europee e chiudere gli occhi su tutte le altre rotte migratorie. Nel giugno scorso, ho iniziato a lavorare con i ministri degli Affari Esteri del Sahel per lottare contro le reti criminali internazionali e rafforzare i controlli di questi paesi, favorendo nel contempo lo sviluppo nell’insieme della regione. Questi obiettivi sono indissociabili tra loro, è nel nostro interesse comune. Le responsabilità che oggi vanno condivise richiedono una partnership rinnovata tra l’Africa e l’Europa.
Il Summit di La Valletta sembra minacciato dalla contrapposizione a volte molto dura tra europei ed africani. Si parla di pressioni esercitate da alcuni Stati membri UE per condizionare gli aiuti allo sviluppo alla capacità dei governi di frenare i flussi migratori e accettare i rimpatrii; altre fonti evocano una certa indifferenza da parte di numerosi paesi africani, troppo occupati a gestire crisi come il terrorismo e la povertà. O ancora, si dice che l’UE ha instaurato un monologo anziché un dialogo con l’Africa sulle migrazioni. Quali sono al vigilia del Vertice i principali punti di scontro tra le due parti? Non c’è il rischio che la montagna partorisca il solito topo?
Questo summit è stato preparato in collaborazione con i nostri partner africani, sappiamo tutti che le migrazioni sono una sfida che chiama in causa sia l’Africa che l’Europa e sulla quale dobbiamo collaborare. Un obiettivo strategico del Summit di La Valletta è riaffermare il nostro partenariato con l’Africa sulle migrazioni. Le due parti si aspettano da questo vertice risposte concrete e operative, basate su iniziative già implementate. Non reinventeremo di certo la ruota, ma il summit dovrebbe consentirci di dare un nuovo slancio all’impegno comune sulle migrazioni.
È importante ricordare che il nostro partenariato con l’Africa risale ad alcuni decenni fa. Con oltre 20 miliardi di euro di aiuti all’anno, l’UE e i suoi Stati Membri sono di gran lunga il più grande donatore internazionale del continente africano. Inoltre, abbiamo di recente deciso di istituire un Fondo fiduciario per l’Africa con l’obiettivo di lavorare insieme per lottare contro le cause più profonde della povertà e della migrazione irregolare. Questo strumento ci consentirà di fare da leva per ottenere fondi supplementari, ma anche di essere più flessibile, con interventi mirati.
Dal canto suo, la Commissione europea mette a disposizione 1,8 miliardi di euro, un budget che gli Stati Membri sono chiamati ad alimentare con fondi aggiuntivi. Sono soldi veri che saranno iniettati nell’economia reale dell’Africa, contribuendo così a finanziare opportunità di lavoro, soprattutto per i giovani e le donne; ci consentirà di rispondere alle crisi alimentari più urgenti del continente, con un’attenzione particolare agli sfollati che ormai rappresentano una parte importante della popolazione africana. Il fondo sosterrà anche progetti sulla buona governance. Insomma, penso che il Fondo fiduciario per l’Africa dimostri la nostra volontà di lavorare insieme sulle cause più profonde della povertà e della migrazione irregolare.
Detto questo, il Summit di La Valletta affronterà anche le sfide di breve termine. La crisi attuale dei rifugiati ha suscitato molte emozioni – positive e negative, un misto di compassione e di paura. Il nostro dovere in quanto politici è di agire razionalmente anche quando le emozioni sono forti. Dobbiamo immaginare e mettere in piedi un meccanismo per la mobilità umana adatto al 21° secolo. Per questo, sono necessarie procedure di asilo migliori, canali giuridici più solidi per la mobilità dei lavoratori, così come dei sistemi di riammissione efficaci e una lotta costante contro le reti criminali e i trafficanti di esseri umani. Sia l’Europa che l’Africa possono trarre beneficio dalla mobilità, a condizione però che venga implementata in tutta sicurezza e legalmente, e non trasformando il Mediterraneo e il Sahara in vaste fosse comuni.
In ogni occasione si è instaurato un vero dialogo con i partner africani, non certo un monologo.
Federica Mogherini
A riguardo, ho recentemente lanciato dei dialoghi di alto livello con il Niger e l’Etiopia sulle migrazioni. Abbiamo inoltre organizzato con successo assieme all’UNHCR una conferenza sui rifugiati somali in Kenya. Sono stata poi invitata al Summit del G5 Sahel, previsto per la prossima settimana, per rafforzare la nostra cooperazione con i paesi della regione. Ho anche avuto lunghe discussioni con il Presidente della Commissione dell’Unione Africana, Dlamini Zuma. Posso dire che in ogni occasione si è instaurato un vero dialogo, non certo un monologo. È per me molto chiaro e importante che un dialogo serio e costruttivo con i nostri partner africani è indispensabile, se vogliamo che La Valletta e la nostra collaborazione siano un successo. E le risposte che ho avuto dal Presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, dal Primo ministro etiope Hailemariam Desalegn e da Dlamini Zuma sono estremamente positive.
Infine, quando affrontiamo problemi legati alla sicurezza, gli interlocutori africani che ho incontrato di recente hanno condiviso le stesse preoccupazioni che sussistono nell’Unione Europea. Questo dimostra che esiste davvero un’agenda comune. Dobbiamo di conseguenza rafforzare gli strumenti che condividiamo per lavorare efficacemente, insieme.
Tra i suoi interventi, ha dichiarato che «è necessario agire con i paesi [africani] per trovare delle soluzioni su tutti gli aspetti delle crisi migratorie». Ma come può l’UE pretendere sforzi e solidarietà da parte dei paesi africani, già soggetti a flussi migratori intra-regionali nettamente superiori rispetto ai flussi verso l'Europa, quando gli Stati Membri europei fanno una fatica immensa a spartirsi qualche centinaia di migliaia di richiedenti asilo? In che misura l’Europa può servire di esempio all’Africa sulla protezione dei migranti, quando in Europa dell’Est migranti e rifugiati subiscono la repressione delle forze dell’ordine?
Sin dall’inizio di questa crisi, ho ripetuto a molte riprese che la credibilità esterna dell’Europa dipende dalla nostra capacità di difendere i nostri valori in seno all’Unione Europea. Dobbiamo concentrare i nostri sforzi nel rafforzare le opportunità che andrebbero concesse a tutti, e non sulla costruzione di muri. Dobbiamo anche riconoscere che una serie di paesi africani danno prova di grande solidarietà accogliendo attualmente un numero elevato di rifugiati e di migranti. L’Etiopia, dove mi sono recata di recente, è un esempio da seguire perché accoglie oltre 700mila rifugiati, il che ne fa il più grande paese in termini di accoglienza del continente africano. È una realtà che gli europei tendono a dimenticare, è di mia responsabilità ricordare a tutti i cittadini europei che la circolazione è un fenomeno mondiale, non riguarda soltanto l’Europa.
Nel contempo, non dovremmo sottovalutare il cambiamento enorme che si è verificato negli ultimi mesi, non soltanto nell’approccio politico dell’UE nei confronti delle migrazioni, ma anche nelle mentalità. Un anno fa, molti erano coloro che pensavano che la migrazione e la crisi dei rifugiati riguardassero soltanto alcuni Stati costieri o qualche isola del Mediterraneo. Oggi abbiamo tutti capito che questo fenomeno riguarda tutta l’Europa e che va gestito in quanto europei, insieme, mettendo in piedi strumenti comuni che non sono stati implementati in passato. Abbiamo anche riconosciuto, tutti insieme, che avevamo bisogno di solidarietà, e che le responsabilità vanno condivise. Si tratta di una svolta importante che è sopraggiunta in tempi rapidi. Molti dei nostri Stati membri non avevano mai fatto l’esperienza dell’immigrazione. Il meccanismo di ricollocazione che stiamo creando può sembrare poco ambizioso, ma è il primo nel suo genere, non si era mai verificato. È un test, sia per noi che per gli africani. È quindi necessario concentrarsi sul modo con cui vogliamo governare questi fernomeni, e possiamo farlo solo insieme.
I flussi migratori sono alimentati da numerosi flagelli in Africa, tra cui il terrorismo, che ha preso una dimensione nuova in Africa occidentale e centrale, in parte a causa del disordine provocato in Libia dalle forze della Nato. Quali sono secondo lei le condizioni per un ritorno alla pace e alla stabilità in queste regioni? E nella sua volontà di combattere l’immigrazione irregolare, qual è l’approccio comune europeo (cioè degli Stati Membri e delle istituzioni dell’UE) sugli effetti attesi dall’implementazione del Fondo fiduciario UE per il Sahel e le migrazioni?
C’è un concetto che dobbiamo sempre tenere in mente: la resilienza. Quando le istituzioni di uno Stato sono solide, quando lo Stato di diritto è rispettato, quando i diritti umani sono garantiti, quando l’economia si sviluppa, e quando i giovani possono trovare spazio nelle loro comunità, allora è molto più difficile che si propaghi l’instabilità, oppure che i terroristi guadagnino terreno. Certo, dalla Libia – dove siamo pronti a sostenere la creazione di un governo di unità nazionale – alla regione dei Grandi Laghi, siamo molto impegnati nel risolvere le crisi attuali. Ma non possiamo limitarci a reagire alle crisi, la resilienza consente di far sì che un conflitto sia meno probabile.
In questi ultimi anni, la resilienza è al cuore della cooperazione europea allo sviluppo in Africa. Pensate ai nostri programmi nel Corno d’Africa e nel Sahel durante le crisi alimentari del 2012 e 2013; la resilienza farà parte degli obiettivi del Fondo fiduciario per l’Africa, attraverso progetti sulla sicurezza alimentare, la sanità, la lotta contro i cambiamenti climatici e, naturalmente, l’educazione. Investire sulla gioventù è il modo migliore per contrastare la radicalizzazione e il reclutamento da parte delle organizzazioni criminali.
Quando mi sono recata ad Agadez, sulla rotta principale utilizzata dai migranti e dai rifugiati per andare in Libia, le autorità locali hanno richiamato la mia attenzione sul fatto che non tanto tempo fa la regione era un vero e proprio centro di attrazione per il turismo. Con la radicalizzazione e il terrorismo, l’insicurezza ha reso il turismo impossibile, consentendo ai trafficanti di arricchirsi. Il ministro degli Affari Esteri del Niger, Aïchatou Boulama Kané, mi ha chiesto, in parallelo con la lotta che insieme portiamo avanti contro i trafficanti, di creare delle alternative valide all’economia illegale. Questo è uno degli obiettivi del Fondo fiduciario per l’Africa.
Dal Burundi alla Costa d’Avorio, passando per la Repubblica centrafricana, la Repubblica democratica del Congo, il Rwanda, l’Uganda e il Burkina Faso, l’Africa deve fare i conti con appuntamenti elettorali cruciali per il destino del continente. Il caso del Burundi sembra dimostrare che l’UE non intende più giocare un ruolo di primo piano nella gestione di crisi politiche ed elettorali africane, lasciando questo compito all’Unione Africana e alle organizzazioni regionali come l’ECOWAS o l’EAC. È il segno di un disimpegno dell’UE in questo tipo di crisi?
Sono stata di recente ad Addis Abeba, dove ho avuto l’onore di rivolgermi all’Unione Africana. Nel mio discorso ho sottolineato che in Europa non dovremmo chiederci che cosa possiamo fare per l’Africa, ma piuttosto cosa possiamo fare con l’Africa. Non si tratta di disimpegno, al contrario: si tratta di fare le cose in maniera diversa e insieme, prima di tutto cambiando il nostro approccio ancora molto pervaso da una logica “donatore-beneficario”. Sia l’Europa che l’Africa hanno bisogno di un partenariato rinforzato che ci consentirebbe di affrontare sfide comuni, dalla sicurezza alle migrazioni, passando per gli investimenti e il cambiamento climatico. Insieme, possiamo promuovere valori democratici, i diritti umani e lo stato di diritto. Questo vale sia nel caso del Burundi che per altri paesi africani, e in altre parti del mondo. Allo stesso tempo, se l’Unione Europea ha la responsabilità di affrontare sfide sempre più complesse che impattano sui suoi cittadini, lo stesso discorso deve valere per l’Unione Africana e le organizzazioni regionali del continente.
In fin dei conti, il futuro dell’Africa rientra sotto la responsabilità degli africani. Ciò che possiamo, anzi ciò che dobbiamo fare è sostenere l’Africa. Quando sono andata in Etiopia ho incontraro molti giovani e donne, pronti a lavorare per il benessere delle loro comunità e ad assumersi le loro responsabilità per il loro bene e quello del paese. Coloro che hanno visto il lato peggiore della migrazione irregolare sono quelli che oggi sfruttano le nuove opportunità che gli si offrono per costruire il loro futuro, a casa loro. Il futuro dell’Africa, insisto, è nelle loro mani, e questo in partenariato con l’Europa.
Sia l’Europa che l’Africa hanno bisogno di un partenariato rinforzato che ci consentirebbe di affrontare sfide comuni, dalla sicurezza alle migrazioni, passando per gli investimenti e il cambiamento climatico.
Federica Mogherini
Sta lavorando alla nuova strategia dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza. Che spazio intende riservare all’Africa in questa strategia?
La redazione della nuova Strategia mondiale non dipende soltanto da me o da qualche esperto a Bruxelles, è un processo aperto. Ma penso che al cuore della nostra discussione con l’Africa dovrebbe esserci il passaggio da una mentalità, un approccio “donatore-benificiario”, a un partenariato vincente per entrambe le parti. Credo che l’Africa disponga di un potenziale umano ed economico immenso, e vogliamo che questo potenziale possa finalmente dare i suoi frutti. Questo ci spinge ad adottare un nuovo approccio, sia in Europa che in Africa. Dal nostro lato, dobbiamo smetterla di pensare che aiutare l’Africa sia un lavoro caritatevole – un sentimento ormai condiviso da tutti – o un modo per pulirsi la coscienza.
L’Africa è un continente sempre più attraente per gli affari e gli investimenti. È nel nostro interesse rafforzare la sua economia e le sue istituzioni, cooperare sulla pace e la sicurezza, gestire insieme la mobilità. È anche un investimento per la nostra sicurezza e la nostra stabilità. Sul versante africano, i dirigenti devono assumersi le loro responsabilità, il che significa riformare le loro economie, rafforzare le istituzioni democratiche e preservare la libertà della società civile. Solo se lavoriamo insieme, possiamo liberare il potenziale dell’Africa. Come ho detto, potremo arrivarci soltanto costruendo opportunità, non muri.
© Le Calame (Mauritania), Sud Quotidien (Senegal), Les Echos du Mali, L’Autre Quotidien (Benin), Addis Fortune (Etiopia), Mutations (Camerun), Le Confident (Repubblica centrafricana), Infos Grands Lacs (RDC, Rwanda e Burundi), Afronline.org, Vita.it e Vita International (Italia)
Foto d'apertura: @ European Commission
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