«Le fattorie sociali svolgono oggi una funzione importante, perché l’attività agricola e la cura degli animali aiutano a rimettere in verità le persone in condizioni di fragilità e li accompagnano a cercare la loro strada per costruirsi un progetto di vita». Giuliano Ciano è il presidente del Forum Nazionale dell’Agricoltura Sociale e conosce molto bene il mondo delle fattorie sociali e le opportunità in termini di lavoro, inclusione, sviluppo che possono generare a persone e ambienti che le circondano. Per questo, spera che quanto prima «vengano approvate le linee guide per dare piena attuazione alla legge 141/2015 che disciplina l’agricoltura sociale». Un settore che registra una crescita anche in Italia, con un migliaio di realtà impegnate. E le fattorie sociali sono tra i luoghi da visitare in questa Italia rigenerata e rimessa a nuovo dal non profit e di cui racconta VITA giugno, con la copertina Italian Social Tour, che potete trovare qui.
A cosa è dovuta la crescita delle fattorie sociali in Italia e l’interesse di cittadini, cooperative, aziende agricole verso il mondo dell’agricoltura sociale?
Le fattorie sociali sono un presidio delle comunità. Nascono dall’integrazione fra il welfare e l’economia agricola con l’obiettivo di rimettere al centro di tutto le persone. Hanno un ruolo di rilievo sia le fattorie situate nelle aree più interne, nelle campagne, che diventano luoghi da vivere e frequentare per riscoprire il piacere della terra e le bellezze della natura; sia le cosiddette fattorie urbane che troviamo nelle città, nelle metropoli o nelle periferie, che organizzano servizi per le persone, come centri estivi, asili didattici, anche per favorire la conciliazione dei tempi di vita-lavoro per le famiglie o per organizzare attività di agricoltura sociale in favore di ragazzi con disabilità o per chi presenta problematicità sociali. La fattoria sociale non è solo un luogo produttivo, ma è un luogo di presidio della salute per le famiglie e per quanti vivono in condizioni di difficoltà. All’interno delle comunità diventano un polo di aggregazione di welfare che cerca di dare risposte alle mancanze dei servizi socio-sanitari.
Uno degli elementi chiave è rappresentato proprio dalla promozione di progetti di inclusione socio-lavorativa per persone con disagi diversi. Che tipo di risposte offrono in tal senso le fattorie sociali?
L’agricoltura sociale aiuta ad un approccio multidisciplinare, vale a dire che il concetto di salute non è riferito solo al fatto di avere o meno una malattia, ma riguarda anche l’ambiente in cui si vive, gli affetti che si coltivano, l’importanza di avere un ruolo nella comunità. Sapere cosa fare quando mi sveglio e sapere che si è determinanti nel proprio programma di vita è importante per tutti. A maggior ragione per quanti presentano problemi di salute mentale, o per esempio per coloro che hanno vissuto l’esperienza del carcere. La visione non deve essere orientata verso la malattia, ma verso la salute, la vita, il recupero, dando importanza alla persona, alla sua storia, al ruolo che vuole avere nella società, agli affetti che la fanno sentire bene. La natura aiuta a scavare dentro sé stessi, a mettere le mani nella terra e nella propria vita. Perché non puoi per prenderti cura di un pomodoro, di un animale o di altri frutti della terra se prima non ti prendi cura di te.
Pensa che Governo ed Istituzioni stiano dando il giusto riconoscimento alle realtà delle fattorie e dell’agricoltura sociale?
No, assolutamente. Dopo l’approvazione della legge 141 sull’agricoltura sociale mancano ancora le linee guida per renderla pienamente attuativa. E’ davvero un peccato, perché vorrebbe dire dare il giusto riconoscimento ad una pratica innovativa, ma l’iter è frenato da chi ha interessi e paura a dividere risorse, opportunità, occasioni anche con il mondo del terzo settore. E’ una legge vuota allo stato attuale, anche se l’agricoltura sociale rappresenta il welfare del futuro, perché si occupa delle persone fragili, delle famiglie, del lavoro. Dovrebbe essere un vanto per tutte le aziende agricole che dovrebbero aprire le loro porte alle persone svantaggiate, alle scuole, ai territori diventando a loro volta dei presidi di comunità.
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