«L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile immagina un mondo senza povertà, fame, malattie, paura, e violenza. Un mondo che rispetti i diritti umani e che assicuri a ogni donna e bambina una piena uguaglianza di genere. Un mondo in cui ogni Paese raccolga i benefici di una crescita economica sostenibile. E in cui ogni bambino e bambina impari a leggere, a scrivere, e a raggiungere il suo potenziale».
È iniziato così il discorso di Alice Albright, Ceo della Global Partnership for Education (GPE), alla Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, lo scorso 14 maggio, in occasione dell’audizione parlamentare sul quarto dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: Quality Education: garantire un’educazione di qualità, inclusiva ed equa, e promuovere opportunità di apprendimento per tutti.
L’incontro al Parlamento si inserisce nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull'azione internazionale dell'Italia per l'attuazione dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per l'efficacia del quadro normativo nazionale e del sistema italiano di cooperazione.
Fondata nel 2002, la Global Partnership for Education (GPE), di cui Alice Albright è Ceo dal 2013, è una piattaforma multi stakeholder che riunisce Paesi in via di sviluppo, governi donatori, società civile, organizzazioni internazionali, settore privato, organizzazioni di insegnanti e fondazioni, per rafforzare i sistemi educativi nei Paesi in via di sviluppo e finanziare l’istruzione attraverso contributi a livello mondiale e nazionale. L’obiettivo dell’organizzazione non profit è fornire una buona educazione di qualità a tutti i bambini. La GPE è l’unica partnership mondiale interamente dedicata a migliorare l’istruzione nei Paesi a più basso reddito, inclusi i Paesi con istituzioni deboli o conflitti. A guidare la Global Partnership for Education c’è Julia Gillard, ex Primo Ministro dell’Australia (2010-2013), che è stata precedentemente ministro dell’Istruzione, dal 2007 al 2010.
Per raggiungere l’obiettivo n. 4 di sviluppo sostenibile, “Quality education”, è necessario accelerare il ritmo del cambiamento, spiega Alice Albright: «Abbiamo solo poco più di 10 anni per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, il fallimento non è un’opzione. Ma se non acceleriamo il passo, non raggiungeremo l’obiettivo dell’Agenda che riguarda l’istruzione in 10 anni, ma in 100».
«Anche se abbiamo fatto grandi progressi per assicurare che più bambini vadano a scuola- nel nuovo millennio c’è una crescita del 40% dei bambini che ricevono istruzione – il dato allarmante è che ci sono ancora 263 milioni di bambini che non vanno a scuola nel mondo», rileva Alice Albright. Che continua: «Siamo stati invitati al Parlamento italiano per fornire un quadro della situazione attuale dell’educazione, per spiegare perché è così importante al momento presente, e il livello di progresso di cui abbiamo bisogno per raggiungere tutti gli obiettivi».
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile mirano ad assicurare educazione per tutti entro il 2030. È un obiettivo ambizioso, che sembra quasi impossibile. Può darci degli indicatori che descrivano la situazione presente dell’educazione nel mondo?
Ci sono stati progressi nel mondo nel campo dell’educazione in certe aree, principalmente per quanto riguarda il numero di alunni che completano la scuola primaria ma, se si guarda il quadro complessivo mondiale, non c’è abbastanza progresso nel campo dell’istruzione oltre la scuola primaria, cioè nelle scuole medie e superiori, dove la percentuale di completamento è molto bassa. Uno dei grandi cambiamenti intercorsi tra i Millennium Development Goals e i Sustainable Development Goals riguarda proprio l’educazione, la necessità di migliorare la “quality agenda”, perchè i nostri bambini non stanno imparando abbastanza. Il secondo grande cambiamento riguarda la necessità di migliorare la “equity agenda” perché non ci sono opportunità adeguate di istruzione per tutti i bambini: che siano poveri, ricchi, che vivano in città o in campagna, che siano bambini o bambine… Quindi il progresso che c’è stato non è sufficiente. L’educazione è essenziale per l’agenda dello sviluppo sostenibile, e per garantire sicurezza, benessere, e aiutare i bambini ad apprendere quelle competenze di cui avranno bisogno per lavorare.
L’educazione per tutti è un obiettivo che possiamo davvero raggiungere?
Innanzitutto dobbiamo raggiungerlo. Nel 2030 ci saranno 1,6 miliardi di giovani nel mondo e più della metà di questi, cioè 825 milioni, senza un aumento degli investimenti nell’educazione, non avrà le competenze necessarie per potere lavorare. L’educazione è necessaria per potere contribuire all'economia del ventunesimo secolo. Quindi dobbiamo raggiungere l’obiettivo dell’educazione per tutti. Il tasso di cambiamento deve essere accelerato, particolarmente per le bambine più povere che vivono nelle aree rurali, che tendono a essere i soggetti maggiormente esclusi dall’educazione. Al ritmo attuale non raggiungeremo l’obiettivo entro il 2030. Se non acceleriamo il ritmo del cambiamento, ci vorranno più di 90 anni prima che tutti i bambini nell’Africa subsahariana completino la scuola secondaria. Le bambine saranno le ultime a completarla, e tra di esse le bambine più povere del mondo verranno 70 anni dopo i bambini più ricchi. Dobbiamo accelerare i tempi a livello internazionale. Questo che cosa significa? Una quantità di cose: significa assicurare che l’educazione sia in cima all’agenda. Dobbiamo investire di più nell’educazione, con capitali internazionali, e assicurarci che le risorse nazionali siano investite nell’educazione. Dobbiamo anche assumere e formare più insegnanti. L’Africa ha bisogno tra i 9 e i 10 milioni di insegnanti in più, quindi dobbiamo formarli in tutto il continente. Dobbiamo anche aiutare i Paesi a garantire istruzione in maniera equa. È la popolazione più esclusa, come bambine, bambini in zone rurali, bambini con disabilità, che non ha possibilità in questo senso. Ci sono quindi una serie di cose che devono essere fatte per accelerare il ritmo con cui si mette a disposizione una buona educazione per tutti.
In che modo questa partnership, che è un grande investimento sull’educazione, può avere un impatto sui flussi migratori?
Tra le cause delle migrazioni ci sono la mancanza di speranza e l’instabilità. Pensiamo che l’investimento nell’educazione nel lungo periodo possa avere un impatto nel ridurre le migrazioni. Una delle scelte è quella di investire nell’educazione e rafforzare il sistema educativo nei Paesi di provenienza dei migranti.
Quali risultati e quale impatto ha portato la Global Partnership for Education in questi anni?
Se si considera il numero di bambini che andavano a scuola nel 2002, paragonato a quello del 2016, grazie all’aiuto della GPE 77 milioni di bambini in più hanno iniziato ad andare a scuola. Un po’ più della metà di essi sono bambine. Un altro dato che prendiamo in considerazione è la percentuale di bambini che completano la scuola primaria. Al momento nei Paesi della GPE 75% delle bambine stanno completando la scuola primaria, mentre nel 2002 la percentuale era del 50%. Quindi possiamo osservare un impatto concreto per quanto riguarda i bambini che iniziano e riescono a completare la scuola primaria. Come già sottolineato, bisogna fare di più per le scuole medie e le scuole superiori, e questa è una cosa su cui lavoreremo. Un’altra misura, a cui dedichiamo molta attenzione, è se i Paesi stiano contribuendo attraverso le loro risorse interne all’educazione. Ci sono una serie di Paesi che sono al di sopra del benchmark del 20% che consideriamo per determinare se questi Paesi stiano investendo le loro risorse nell’educazione. Le faccio un esempio: l’Etiopia. Nel Paese si è passati da 10 milioni di studenti di dieci anni fa a più di 25 milioni di oggi. In Ciad, vediamo che il Paese ha fatto dei progressi nell’offerta educativa per i bambini rifugiati. In Burkina Faso il governo sta facendo degli sforzi per dare opportunità di istruzione nelle zone isolate. Se si guarda Paese per Paese, si possono vedere segni di miglioramento, e come le istituzioni stiano iniziando a offrire più opportunità di istruzione. Questa è una cosa buona, ma non è abbastanza. Se si guarda al quadro generale, si può vedere che c’è molto lavoro da fare, come ho spiegato. Il numero dei bambini, e specialmente delle bambine, che nel mondo portano a termine la scuola primaria o secondaria non è sufficiente e quindi c’è molto lavoro da fare in questo campo e in quello dell’agenda di genere. C’è molto lavoro da fare nel campo della qualità dell’educazione. Bisogna assicurare che i bambini finiscano la scuola avendo imparato la competenze e le conoscenze di base di cui hanno bisogno, come leggere, scrivere, studiare matematica, scienze… C’è molto da fare in questi ambiti che devono portare a un miglioramento della qualità, e cioè ad avere più insegnanti, una migliore formazione dei docenti, più materiali didattici… C’è stato del progresso, ma non abbastanza, e come comunità globale c’è ancora molto da fare.
Può citare Paesi con risultati di successo o progetti particolarmente importanti?
Un buon esempio è il Senegal, dove il governo ha mostrato un grande impegno nel campo dell’educazione, lavorando con diversi partner per sostenere l’implementazione del piano di sviluppo dell’educazione nel Paese. A livello locale, ho visitato una scuola ad Addis Abeba, in Etiopia, che mi ha molto colpito per il suo approccio all’insegnamento ai bambini con disabilità. Ho visto un esempio simile a Kathmandu, in Nepal, dove le scuole hanno istituito un programma speciale per i bambini con disabilità, in cui hanno coinvolto docenti con le stesse disabilità dei bambini. Molti Paesi in tutto il mondo si stanno sforzando di cercare di migliorare le cose e fare la differenza, e questo è lodevole.
La Global Partnership for Education è fatta di Stati, organizzazioni della società civile, organizzazioni del settore privato… Questo tipo di modello sta funzionando?
La GPE è una partnership composta da molti stakeholder: al momento include 67 Paesi al mondo, 21 donatori nell’Ue, organizzazioni della società civile a livello globale, il settore privato, le organizzazioni degli insegnanti, tre organizzazioni Onu: Unece, Unesco e Unhcr. Alla guida della nostra organizzazione non profit c’è Julia Gillard, ex Primo Ministro dell’Australia (2010-2013), che è stata precedentemente ministro dell’Istruzione, dal 2007 al 2010, e che quindi ha una comprensione profonda della materia. Il vicepresidente è Serigne Mbaye Thiam, ministro dell’educazione in Senegal. Quindi entrambi portano un expertise significativa all’interno della GPE. Per quanto riguarda il nostro modo di lavorare, tutte le organizzazioni supportano la leadership del Paese e cercano di lavorare molto sugli obiettivi di cui il Paese ha bisogno.
Quali sono gli obiettivi della GPE?
Sono tre: una migliore qualità ed equità dell'educazione – equità significa disponibilità dell’educazione per tutti – e una migliore efficienza dei sistemi educativi, cioè: Stanno usando bene le risorse finanziarie? Stanno evitando l’abbandono scolastico e le bocciature, che sono una forma di inefficienza? I docenti insegnano nei posti giusti? Vale a dire, stanno insegnando in tutto il Paese, e non solo nelle città più importanti? Ci sono abbastanza libri? Ci sono abbastanza edifici scolastici?
Qual è il modello finanziario della GPE?
La GPE lavora con tutti i partner nazionali in un gruppo che si chiama “Local education group”, che riunisce governi, partner donatori, partner della società civile, e molti altri. Incoraggiamo i Paesi a dare priorità all’educazione nel loro bilancio nazionale, e chiediamo loro di dedicare almeno il 20% del loro budget all’educazione. Quattro Paesi su cinque della GPE hanno un budget per l’educazione pari, superiore o vicino a quella soglia. Dalla nascita della GPE abbiamo investito 4.9 miliardi di dollari in Paesi partner, abbiamo aiutato a fare andare a scuola 77 milioni di bambini in più, e abbiamo formato milioni di insegnanti.
Qual è il contributo dell’Italia al GPE?
L’Italia è un partner incredibilmente importante per noi e siamo felici che sia partner della GPE. Fino a ora l'Italia ha contribuito con circa 52 milioni di dollari al nostro fondo. Siamo certamente grati del suo contributo. Tuttavia, se la si paragona a molti altri membri del G7, l’Italia non ci sostiene quanto vorremmo. Una delle cose che abbiamo suggerito al Parlamento italiano è che il Comitato passi una risoluzione che proponga che il contributo dell’Italia alla GPE aumenti, dal momento che contiamo sul G7 per il nostro sostegno finanziario. L’Italia è in basso nella classifica del G7 rispetto ad alcuni Paesi. Vorremmo che investisse una maggiore percentuale del suo budget nazionale in educazione e nella GPE. Questa è una delle cose che abbiamo discusso in Parlamento. L’Italia contribuisce in molti altri modi alla nostra partnership. Il Segretariato della GPE infatti accoglierà un membro dell’Italian Junior Professional Officers Programme il prossimo autunno. Sarà la prima volta che ospiteremo un professionista junior di un partner donatore. Un’altra cosa che è stata estremamente utile e che riguarda l’Italia è stato il G7 del 2017, che si è tenuto a Taormina. Ha mostrato al resto del mondo perché l’educazione è così importante, quindi è stato un contributo molto importante alla nostra prospettiva.
Perché l’educazione è una grande sfida del futuro?
È assolutamente una sfida importante ed è la chiave per realizzare l'agenda per lo sviluppo sostenibile. Perché se i bambini, i giovani, gli adolescenti e i teenager sono in grado di leggere, scrivere, studiare matematica e scienze, questo li rende in grado di diventare autosufficienti e di ottenere dei lavori, partecipando attivamente alla società. Senza educazione ci saranno effetti negativi sul reddito, sul livello di sicurezza, sulla capacità delle comunità di gestire difficili scenari sociali…Un'altra dimensione molto importante è il genere: in questo momento se si guarda alla popolazione adulta analfabeta, due terzi di questa sono donne. E se si osservano le dinamiche di genere relative a chi è in grado di continuare la scuola e chi no, le donne e le bambine in aree rurali tendono a essere escluse. Questo avrà un impatto generazionale sulla società: è probabile che queste donne si sposeranno presto, che avranno figli a una giovane età, che non sapranno occuparsi bene di loro, e saranno meno portate a mandarli a scuola. Se le bambine e i bambini vanno a scuola, inizia a esserci un benefit generazionale. Un esempio che può fornire un quadro di questa situazione è la Corea del Sud. Dopo la guerra nel Paese negli anni Cinquanta, la Corea del Sud ha preso la decisione di fornire istruzione gratuita di qualità alla popolazione, come una forma di ripresa dalla guerra, e ora è un Paese attivo e di successo a livello globale. Un altro esempio è la Finlandia, che dopo la seconda guerra mondiale ha preso una decisione simile, e ha investito nell’educazione, e ora ha uno dei sistemi educativi più di successo al mondo. Altri Paesi, come il Rwanda, l’Etiopia e la Cambogia, stanno migliorando i loro sistemi educativi. E perché tutto questo è importante per il mondo? Perché, rafforzando l’educazione, il terrorismo diminuirà, crescerà la sicurezza, crescerà la capacità di affrontare il cambiamento climatico, e il benessere.
Foto di apertura. Alice Albright con le studentesse della Gassi Public School, N'Djamena, Ciad, febbraio 2019. Credit: GPE/Carine Durand
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