Grazie. È con un grazie che si apre il libretto di “Beats&Hate” il nuovo disco di Ever Green, al secolo Nicholas Fantini. «Ringrazio in primis TE, che stai leggendo questo booklet, che hai creduto o che continui a credere in me, in quello che faccio, perché non è facile, perché non te lo fa fare nessuno. Ti ringrazio per aver reso questo disco così unico e speciale». Il motivo non è solo che al cuore di tutta la sua produzione musicale c’è un particolare feeling con la sua fanbase. Ma anche perché questa volta il pubblico è diventato la sua etichetta discografica. Per Fantini la questione è molto semplice: «Se fai rap, ma credo questo valga per ogni genere musicale, lo fai per farlo sentire a qualcuno, per comunicare con qualcuno.
Quindi è fondamentale sapere chi è qual “qualcuno”». La sua scelta è stata quella di scommettere, di investire nel rapporto con chi lo ascolta e sostiene da anni. «Così ho lanciato una campagna di crowdfunding su Musicraiser.com, ho eliminato le intermediazioni tipiche di un’etichetta e ho deciso di gestire tutto in prima persona. Ufficio stampa, gestione artistica, management, immagine, foto, video, social media manager. Insomma in tre abbiamo fatto il lavoro di una major». Il risultato è una sorta di comunità: «Quello che è evidente è il fatto che ogni fan è parte del percorso. Ha sposato una causa ed è stato protagonista di questo disco in prima persona. Qualcosa di molto più profondo e coinvolgente del semplice comprare album e merchandising». Da dopo Natale Nicholas ha un’agenda fitta di aperitivi. Non è un modo di passare il tempo, ma lavoro. «Sono notoriamente un ubriacone e il mio pubblico mi somiglia. Tra le opzioni acquistabili su Musicraiser.com c’era anche un aperitivo con me. Probabilmente non è molto lungimirante dal punto di vista della salute, ma la gente è contenta».
Ma le iniziative sono tante e varie. «Per scherzare, giocando sul fatto che sono un po’ blasfemo, avevo lanciato una sorta di concorso: “vai a messa con Fantini”. Alcuni fan l’hanno presa sul serio e hanno addirittura organizzato una raccolta fondi su Kickstarter.com per riuscire a portarmi in chiesa».
I pacchetti disponibili erano molti. C’era la possibilità di andare a cena con lui, assistere ad una sessione in studio o anche farsi consegnare il disco personal- mente dall’artista. «Ho un rapporto molto libero e stretto con i miei fan. Con il crowdfunding ho semplicemente deciso di farlo diventare un tassello fondamentale della mia attività».
Non sempre il rapporto è semplice, spesso capita di dover gestire lamentele e critiche. «Ho montato personalmente il packaging di ogni album. Questo perché avevo fornitori diversi per confezioni e dischi. Mettendo i cd nei digipack però mi è capitato per errore di rigarne alcuni. Quindi ho dovuto far fronte alle richieste di sostituzioni. È capitato anche che, chiusa la campagna, qualcuno mi abbia chiesto di poter acquistare lo stesso l’album. In un primo momento ho promosso un periodo aggiuntivo di campagna a costi maggiorati, poi ho chiuso per rispetto a chi aveva partecipato dall’inizio. Alcuni si sono risentiti. Ma fa parte del gioco».
Ho un rapporto molto libero e stretto con i miei fan. Con il crowdfunding ho semplicemente deciso di farlo diventare un tassello fondamentale della mia attività
Già, ma come si fa una campagna vincente di crowdfunding? «In primo luogo è fondamentale avere le idee chiare sul perché lo si fa. Poi naturalmente c’è la strategia: si diventa imprenditori a tutti gli effetti. Servono business plan e programmazione, non si scappa. Vuol dire avere delle scadenze e rispettarle».
Altro che l’artista bohémien che si sveglia tardi e crea quando ne ha voglia. «L’idea del crowdfunding è nata per caso parlando con un amico. Mi disse che era una cosa fatta per me. In un primo momento però non la presi sul serio» racconta. «È stata una decisione che è arrivata nonostante la corte di diverse etichette, indipendenti e non. È stato un successo», sorride imbarazzato, «il bilancio è di 1.880 raisers per una media di 40 euro spesi a testa. Il totale lordo della raccolto è stato di 69mila euro, cioè il triplo dell’obiettivo previsto che doveva essere di 20mila euro. Alla fine in tutto sono oltre 1.800 le copie vendute».
Tutto questo a fronte della più profonda crisi discografica di sempre. Un’operazione talmente riuscita che gli è valsa l’uscita sui principali media nazionali e su tutte le riviste di settore, con un’esposizione mediatica per lui senza precedenti. «Per la prima volta dopo 13 anni nel mondo del lavoro sto provando a vivere raccogliendo ciò che ho seminato finora con la musica». Parte dell’equazione certamente la fa il curriculum dell’artista. E-Green è quello che si definisce un artista credibile. Ma chi pensa che sia un percorso unicamente per gente con una certa attitudine o valido solo per emergenti si sbaglia di grosso. Fantini non ha dubbi, «certo fino ad oggi questa strada è stata percorsa da chi aveva bisogno di affermarsi. Ma colossi delle vendite come Gué Pequeno, Fabri Fibra o Fedez con questo mezzo farebbero senza dubbi molto meglio rispetto alle performance di oggi. Un contratto con tutti i crismi è più sicuro, lo so. Ma probabilmente, a certi livelli, non sarebbe poi così un azzardo rivolgersi direttamente alla base». La cosa curiosa è che E-Green per non cambiare la propria musica ha cambiato tutto il resto. «Per fare quello che vuoi devi sudare più di prima. Non ho mai voluto diventare un multiplatinum rapper. Il mio sogno è essere un middle class musician, e vivere dignitosamente della musica che faccio, come mi piace e co- me la voglio fare. E la cosa più bella oggi è scoprire che questo i fan lo hanno capito. E lo rispettano».
Non ho mai voluto diventare un multiplatinum rapper. Il mio sogno è essere un middle class musician
(Per leggere una storica intervista di E green con vita clicca qui)
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