L’emergenza Coronavirus ci ha ricordato una volta di più che se questo Paese vuole davvero ripartire lo deve fare dalla scuola che «ha appena ripreso coscienza di se stessa», dice Angelo Lucio Rossi, preside ICS “Alda Merini” di Milano, nel municipio 8 della città. Un preside “illuminato” che ha letteralmente aperto il suo istituto e lo ha messo a disposizione dell’intero quartiere. Dalle associazioni alle aziende, dagli anziani ai musicisti. Che chiama in causa Berlinguer, papa Francesco e Don Milani e ci crede quando dice: «che la scuola deve tutelare la diversità, sempre. Che non c’è cosa più interessante dell’avventura educativa, perché l’avventura educativa è un’avventura di libertà». Così quando l’emergenza covid19 ci ha travolti gli studenti delle sue classi, grazie a quel patto territoriale, non sono stati lasciati soli e si sono visti consegnare a casa dai tablet fino ai pacchi alimentari in caso di necessità. «Mai come oggi la scuola è una fucina di tentativi didattici e di compagnia umana ai propri allievi nel momento in cui è venuta meno la presenza fisica e la scuola stessa si è dematerializzata». Ma una scuola «ha senso solo se la intendiamo come costituzionalmente sempre incinta. Deve generare di continuo. Altrimenti che scuola è?»
Preside che significa oggi “fare scuola”?
Essere, prima di tutto, una fucina di tentativi didattici e di compagnia umana ai propri allievi. Una scuola che deve essere costituzionalmente intesa come sempre incinta. Deve generare di continuo. Altrimenti che scuola è?
Come avete gestito l’emergenza Covid19?
La didattica a distanza si è rivelata una didattica della vicinanza, un'àncora per molti, moltissimi ragazzi e bambini soprattutto per quelli con più difficoltà e più problemi. Molto dipende, è vero, dalla possibilità di connessione e di strumentazione disponibile, tablet, PC o cellulare, ma anche questo è un dato che può e viene superato dalla sensibilità personale di docenti e dirigenti scolastici nel momento in cui riescono, grazie anche ad una rete territoriale e di rapporti con associazioni, enti, aziende profit e non profit, come è per noi il Patto Educativo Territoriale (PET) già attivo nel nostro territorio da 4 anni, a superare ostacoli ed essere fecondo di iniziative in un periodo difficile come questo. Gli studenti che frequentano l’istituto hanno avuto il supporto non solo degli insegnanti ma anche di aziende, associazioni e parrocchie di quartiere e si sono visti consegnare a casa dai tablet fino ai pacchi alimentari in caso di necessità.
L’autonomia scolastica non serve a nulla se non opera in relazione con il territorio. Non può esistere una scuola “ognuno per i fatti suoi”
Angelo Lucio Rossi
Che significa organizzare la scuola in base a un patto territoriale? E come si lega all’esperienza della scuola aperta?
Significa che siamo aperti dalle otto del mattino fino a mezzanotte grazie alle associazioni e alle aziende che collaborano con noi per mettere insieme questa “scuola aperta”. E tutti i nostri spazi dalle palestre all’auditorium vengono messi a disposizione non solo degli studenti ma di tutto il quartiere. Quello della scuola aperta è un tentativo strano, ma bellissimo, di restituire la scuola alle associazioni, perché la scuola non è mia, “non l’ho comprata”.
Più autonomia scolastica quindi?
L’autonomia scolastica non serve a nulla se non opera in relazione con il territorio. Non può esistere una scuola “ognuno per i fatti suoi”. Non ci facciamo niente con una scuola, che pur se opera bene, rimane autoreferenziale e chiusa in se stessa. Per capire le scuole aperte dobbiamo rifarci a papa Francesco…
In che senso?
Questo concetto di scuola nuova è proprio legato alla sua rivoluzione. Lui non è un uomo normale, è un pioniere. È stato il primo a capire che bisogna lavorare sull’educazione informale. È stato lui a capire che la scuola si era completamente sfasata spostando tutta l’attenzione solo sull’educazione formale, sulla testa dei ragazzi. Bisogna invece tornare all’educazione del cuore e delle mani. Perciò nel nostro istituto abbiamo fatto nascere anche gli orti, per zappare la terra, coltivare. E abbiamo fatto nascere bande musicali che poi sono diventate vere associazioni e ancora investiamo sullo sport con il sostegno di fondazione Milan, ad esempio. Vede qua non dobbiamo inventarci nulla di nuovo per ripartire, ma solo riprendere quel lavoro educativo che è fatto di testa, cuore e mani e può essere valido solo se questi tre elementi si intrecciano tra loro. Ma le cose non si possono mai fare da soli. Si fanno con le aziende, le associazioni, il volontariato, gli anziani del quartiere, gli alunni, gli insegnanti, i cittadini. Io in questi mesi di emergenza ho detto agli studenti di scrivermi. Mi sono arrivate centinai di mail di bimbi e ragazzi. Una bimba di origini marocchine mi ha inviato 50 messaggi e ogni lettera finiva con una domanda: “ma perché…?”. Ecco anche questo è compito della scuola: tenere aperte le domande dei giovani. Nell’ultima lettera mi ha scritto: “ho scoperto che io devo scrivere per non dimenticare le domande che ho vissuto”. Chi si porta dietro le domande non si è chiuso. E allora come allarghiamo queste esperienze in atto? Come delle pratiche educative possono diventare in qualche modo storie per tutti?
L’avventura educativa è un’avventura di libertà"
Angelo Lucio Rossi
Come?
Oggi la libertà è in azione, bisogna fare le cose. Poi, vuoi fare anche due mesi di sola teoria? E falli. Ma quando ad un bambino dai un tablet per la dad, ma quel bambino ti risponde “grazie del tablet ma io ho fame”, se tu non sei in grado di rispondere anche a quell’altro bisogno primario che scuola sei? Ed anche queste esperienze rispondono ad un bisogno educativo che esiste e si può soddisfare solo attraverso un’educazione che è anche informale. E qui mi devo rifare a Berlinguer…
Perché?
Lui dice che la scuola è logocentrica. E che non ha sviluppato il lavoro sulla musica e sull’arte e quindi “ha menomato delle persone”.Perciò nella nostra scuola voglio la musica, gli orti e non mi posso fermare solo ai convegni che dicono “ah com’è bella la musica”. Con questi strumenti di educazione informale il ragazzo recupera interesse, autostima, lascia le porte del cervello e dell’anima aperte. Quando la scuola è aperta non è autoreferenziale e quindi diventa un punto di educazione permanente che può rispondere a più esigenze.
Da quando è preside dell’Alda Merini cosa ha imparato?
Un amore per la diversità. Un’ avversione per l’autoreferenzialità, che è solo un casino. Il compito della scuola è tutelare la diversità. Quando ami la diversità si aggiunge sempre qualcosa alla vita. Ci credo tantissimo alla contaminazione. Il problema di oggi sono i “dispersi”. Non ci sono luoghi di raccolta dell’umano ormai. Raccogliamo il cibo, ma dove si raccoglie la persona? E devo chiamare in causa anche don Milani, io sono un suo allievo eh..
Prego
Don Milani diceva che chi si gioca la libertà con altri è più libero di chi se la tiene per sé. Ecco non c’è cosa più interessante dell’avventura educativa, perché l’avventura educativa è un’avventura di libertà. E questa è una proposta che attraversa le persone nel senso fisico e psichico. La grande rivoluzione che dobbiamo fare a scuola si fa con il cuore, la mente e le mani.
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