“Ora, che la guerra sta risalendo fin dentro l’Europa, ci rendiamo conto che l’agente distruttivo della vita sul pianeta siamo direttamente e volontariamente noi stessi, o, per essere più precisi, quella parte di noi che dirige, condivide e alimenta i conflitti armati, la competizione economica, la predazione delle risorse naturali”. Questo è uno stralcio del nuovo libro del giornalista e politico Paolo Cacciari, Re Mida. La mercificazione del pianeta. Lavoro e natura, economia ed ecologia (La Vela), appena uscito in libreria. Secondo l’autore serve una rivoluzione copernicana nella società, che deve liberarsi dall’ossessione del possesso di beni materiali, che può avvenire solo rimettendo al centro le relazioni umane.
Partiamo dal titolo. A cosa è dovuto il riferimento a Re Mida?
È il mito dell’avidità: colui che è accecato da una facile acquisizione di ricchezza finisce in un vicolo cieco, un cortocircuito che lo porta a non vivere. Penso che la nostra società sia bloccata esattamente in questo meccanismo. Avrei potuto citare anche altre definizioni e metafore, come la frase dei nativi americani, che, parlando degli uomini bianchi, dicevano “Quando avranno inquinato l'ultimo fiume, abbattuto l'ultimo albero, preso l'ultimo bisonte, pescato l'ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche”. Si tratta di un modo di rapportarsi alla natura e alla vita completamente distorto e controproducente, stiamo attuando quello che si può chiamare un “biocidio”. Potremmo dire che “Questa economia uccide”, citando un libro di papa Francesco.
Che cosa uccide?
Gli scienziati dicono che una delle più gravi conseguenze dell’attuale modello di crescita è la perdita della biodiversità: siamo nel bel mezzo della sesta estinzione di massa. La precedente è stata 65milioni di anni fa, quando un meteorite ha colpito la Terra provocando la scomparsa dei dinosauri. Oggi il meteorite siamo noi, o meglio, è quella minoranza della popolazione che ha un’impronta ecologica enorme e che sta producendo danni ambientali irreversibili.
La guerra può essere un sintomo della crisi che sta attraversando la nostra società?
Certamente. L’inizio e la fine del mio libro, che è una raccolta di articoli e di saggi brevi pubblicati negli ultimi anni, si concentrano sulla guerra in Ucraina e i conflitti armati che stanno imperversando sul pianeta. La “Terza guerra mondiale a pezzi”, per citare di nuovo Jorge Mario Bergoglio, ora è arrivata anche dove ci eravamo illusi non potesse giungere, la civilissima Europa. Dobbiamo capire quali sono le ragioni profonde di questa conflittualità, che stanno nella ricerca dell’egemonia economica e nell’accaparramento delle risorse naturali, che diventano sempre più rare, preziose e costose. Le grandi potenze sono in decadenza, ma non per questo sono meno pericolose: per usare una metafora biblica, le bestie sono ancora più aggressive quando sono ferite. C’è un substrato di violenza strutturale nei sistemi di organizzazione sociale; è comodo dire che siamo di fronte a un capo di Stato impazzito: le guerre non sono un impazzimento, sono la logica conseguenza di nazionalismi esasperati, di lotte per il controllo politico e sociale e della sottomissione degli altri da sé.
Il benessere è legato alla qualità delle relazioni che si riescono a intessere: è necessario passare da un’idea di beni materiali a un’idea di beni relazionali.
Paolo Cacciari
Come si può, quindi, uscire da questo circolo vizioso?
Serve quella che il padre dei Verdi, Alexander Langer, chiamava “conversione ecologica”, che è qualcosa di più rispetto a un reset, si tratta di una rivoluzione antropologica, per citare di nuovo Francesco e la sua Laudato Sì, che trovo sia uno dei più importanti saggi di politica ecologica mai scritti. Serve modificare lo stile di vita, cambiare totalmente il modo di pensare dell’essere umano rispetto al vivente: dobbiamo passare da una visione antropocentrica a una visione ecocentrica, uscire da una cultura antica, che considera il maschio bianco occidentale come il padrone dell’universo. Si tratta di una visione utilitaristica, di dominio, che sta portando alla distruzione del pianeta. È necessario trovare delle soluzioni che portino a una decrescita dei nostri impatti, attraverso una riduzione dei flussi di materia e di energia all’interno dei cicli produttivi.
Cosa intende per decrescita?
Un calo dei prelievi di risorse naturali e dei rilasci in termini di rifiuti e di scorie: questa è la sfida necessaria, urgente, impellente. Gli esperti dicono che negli oceani c’è più plastica che pesci e questo è avvenuto negli ultimi anni. Dobbiamo cambiare rotta se vogliamo mantenere la vivibilità della Terra, attraverso una decrescita in cui ci sia anche, però, un’equa suddivisione delle risorse a nostra disposizione; ciascuno dovrebbe avere il sufficiente, il bastevole. Il benessere non deve dipendere dalla quantità di oggetti di consumo che si possono acquistare o dal Pil. Il benessere è legato alla qualità delle relazioni che si riescono a intessere: è necessario passare da un’idea di beni materiali a un’idea di beni relazionali.
Quindi, per stare meglio dovremmo arretrare in fatto di acquisti e di consumi?
Giusto. Contesto però la parola “arretrare”, perché non si tratta di questo. Si tratta di uscire dal dominio del mercato, a cui siamo subordinati. Siamo schiavi della pubblicità, della moda, dell’obsolescenza programmata. L’instupidimento che molti notano nella società non è naturale, è un obiettivo su cui qualcuno investe molti quattrini: Serge Latouche, mio maestro in fatto di decrescita, dice che, se guardiamo i dati, i due settori che non sono in calo, durante una crisi, sono quello delle armi e quello della pubblicità. Dobbiamo fare un lavoro spirituale, un’individuazione dei bisogni fondamentali, che non sono quelli imposti dal condizionamento capitalista. In questo senso dico che la decrescita non è un arretramento ma una liberazione. Dobbiamo vivere con meno quantità – litri, chilogrammi, tonnellate di merci e sprechi –, che non vuol dire vivere con meno qualità. Serve un’economia del dono e delle relazioni, parliamo di amore, di empatia e di condivisione.
La foto in apertura è un frame dell'intervista di Massimiliano Martucci, visibile QUI.
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