Festival

DeSidera, così il teatro rivitalizza i territori

di Anna Spena

Al via la quindicesima edizione di DeSidera, una manifestazione che porta il teatro dove non arriva mai. Quest’anno saranno ben 40 spettacoli in tutta la Bergamasca. Promossi in alleanza con comuni, parrocchie e associazioni. Il direttore Gabriele Allevi racconta la sua ricetta. Esordio con Simone Cristicchi

Il contadino segue l’aratro, distoglie per un momento gli occhi dal solco e guarda le stelle. Desidera un raccolto buono, lo chiede a Dio. «Il desiderio», ci racconta lo scrittore Luca Doninelli, «è la passione umana più grande che ci sia. E muove la conoscenza, l’amore, tutto. Ma, attenzione, il desiderio non riguarda l’eccezionalità delle cose ma la quotidianità della vita». E non è un caso che il Festival di teatro, nato a Bergamo, e poi diffusosi in tutti i comuni del territorio, si chiami proprio così: “DeSidera”, il Festival più diffuso e più lungo d'Italia.

Stasera il festival inaugura la sua XV edizione «Ora come allora», continua Doninelli, che insieme a Gabriele Allevi è il direttore artistico, «vogliamo offrire agli altri qualcosa di bello, lo specchio di qualcosa di grande». Anche Gabriele la pensa allo stesso modo: «DeSidera non è un festival di provincia. Ma un’iniezione di coraggio e di fiducia in questi tempi di crisi».

Gabriele, com’è nato DeSidera?
Le origini di DeSidera affondano le radici all’interno della struttura diocesana di Bergamo. Io ero il direttore della fondazione Adriano Bernareggi. Ero convinto che la valorizzazione del patrimonio diffuso e del territorio doveva essere fatta con strumenti tradizionali, ma a questi era necessario aggiungere anche e soprattutto lo strumento del teatro. Era il 2003 e siamo arrivati alla quindicesima edizione di DeSidera. Portiamo il festival nelle chiese, nei chiostri, nei monasteri. In tutto il patrimonio sacro. Insomma portare gli spettacoli nei luoghi di bellezza. Un’alchimia che si costruisce tutte le volte ed ogni data costruisce un micro evento speciale.

Perché la scelta di questi luoghi?
All’inizio eravamo legati al museo diocesano. Da qualche anno portiamo il festival anche nei parchi e o in altri contesti. Ma anche dal punto di vista antropologico il teatro, in senso lato, ha molto a che fare con la sacralità.

In che senso?
Non parlo di legami ai dogmi della chiesa o della religione cattolica. Ma della tensione che si crea verso la ricerca di un senso; il teatro, da sempre, cerca di rispondere alle domande dell’uomo sulla vita. Ma dal 2012 portiamo gli spettacoli anche nei parchi, nelle ville, nei borghi. Mantenendo sempre quel carattere antropologico che ci contraddistingue.

Qual è il valore aggiunto del Festival?
La relazione con il territorio. Ogni volta ci interfacciamo con le parrocchie, le associazioni, le amministrazioni comunali. Adesso sono loro che ci chiamano e ci chiedono di portare uno spettacolo di DeSideria nel loro comune.

Con quanti spettacoli siete partiti all’inizio?
Tredici. Per la quindicesima edizione invece ne abbiamo in programma oltre 40, tra cui il Magnificat di Alda Merini e la Ricotta di Pasolini, che toccheranno 33 luoghi.

Con quale spettacolo inaugurate questa XV edizione?
Partiamo nella stupenda cornice della Chiesa di San Nicola ad Almenno San Salvatore. Ospite d’eccezione Simone Cristicchi con Il Cristo dell’Amiata. Dopo aver narrato la fantasia dei matti, il coraggio dei soldati italiani in Russia e l’esodo degli italiani d’Istria, Cristicchi riporta alla luce una vicenda meravigliosa, intrisa di utopia e spiritualità, sporca di sangue e misteri ancora da chiarire: l’incredibile storia di David Lazzaretti, il mistico ed eretico cristiano che, all’alba delle prime luci repubblicane sull’Europa, fonda la Chiesa Giurisdavidica. Lazzaretti fin da ragazzo viene assalito da febbri e visioni mistiche che lo portano a elaborare un personalissimo percorso spirituale nel seno della chiesa cattolica.Lazzaretti è un personaggio che offre e crea una grande tensione spirituale ed ha anche molte caratteristiche non regolari, non dogmatiche, ha un grande seguito e la tensione religiosa è dovuta ad un desiderio di giustizia.

Il teatro e il territorio…
È uno dei punti di forza del nostro festival. Noi cerchiamo di portare gli attori protagonisti della scena italiana, nelle comunità decentrate. Non portiamo un “teatro facile” ma grandi interpreti che tengono altissima la tensione morale.

Quanto sono coinvolte le comunità?
Molto. Con il tempo ci si è educati alla bellezza. Le comunità si sono affezionate e ci chiamano ogni anno. C’è una sorta di necessità del teatro. Un teatro che è di tutti non solo degli addetti ai lavori. Ci spostiamo, esclusa Bergamo, da paesi con 1200 abitanti a comuni con massimo 30mila abitanti come Treviglio. Ed in queste economie molto modeste è interessante vedere come anche la parrocchia partecipa con contributo. Le comunità decentrate “vogliono” il teatro e si mobilitano, insieme a noi, per averlo.

Il filo conduttore di DeSidera per quest’edizione?
La speranza. Il teatro, per la capacità di coinvolgimento personale sia dell’attore che del pubblico, deve sempre portare un seme di speranza in questi frammenti di vita difficili. Noi siamo convinto che è compito di ciascuno di noi dare il suo contributo alla riscossa. Il teatro convoca le persone attorno alla responsabilità. Insieme alla speranza, l’altro filo, è la positività. Infatti per quest’anno il simbolo del festival è un quadro dipinto da Giovanni Frangi: un mare blu e i gabbiani. Per dare un senso di apertura e guardare lontano. Questo quadro è anche l’immagine che abbiamo stampato sui taccuini che venderemo ad ogni spettacolo, con il ricavato sosteremmo l’iniziativa benefica in Africa: una scuola di teatro nello slum di Kibera.

Qui il sito del Festival più lungo d'Italia

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