L’Italia, nel 1946, era in buona parte ancora da ricostruire. Non solo gli edifici distrutti dalle bombe ma anche gli animi dilaniati dalla Seconda guerra mondiale. C’è, tuttavia, una storia nella storia che non è mai stata raccontata abbastanza: il dramma vissuto dalle popolazioni di Dalmazia, Istria e Fiume, che il dittatore jugoslavo Tito aveva voluto annettere strappandole all’Italia. Quei 350mila che vollero restare italiani, dovettero fare una scelta: chiedere ospitalità in uno dei 109 campi profughi sparsi per la penisola oppure recarsi all’estero, in Paesi lontanissimi come Australia, Canada e Stati Uniti. Per 600 di loro, però, ci fu un’alternativa: spostarsi in Sardegna per ripopolare Fertilia, una delle località fondate nel periodo fascista, che dopo la guerra si era quasi del tutto svuotata. Proprio da Fertilia è nato il viaggio per ricostruire la memoria storica e rileggere la tragedia dell’esodo giuliano dalmata. Dopo 77 anni, l’imbarcazione Klizia un anno fa è partita per una traversata di 800 miglia, con quattro persone fisse a bordo e altre che si sono avvicendate lungo un percorso fatto di 30 tappe via mare. L’equipaggio era simbolicamente guidato da Giulio Marongiu, la cui famiglia è proprietaria di questa barca che ha varcato di nuovo il Tirreno e l’Adriatico. Il viaggio è raccontato nel docufilm “Rotta 230° – Ritorno alla terra dei padri”, per la regia di Igor Biddau, prodotto da Gianluca Vania Pirazzoli per Time Multimedia, che Rai Cultura proporrà martedì 22 ottobre alle 21.10 in prima visione su Rai Storia, a 70 anni dalla data (26 ottobre 1954) in cui Trieste tornò a essere italiana.
Signor Marongiu, raccontate un pezzo di storia che va ben oltre Fertilia e la Sardegna. È un pezzo di storia del nostro Paese.
Questo era ed è il nostro intento, speriamo di esserci riusciti.
Ci siete riusciti benissimo, il docufilm è molto curato: ottima regia, fotografia di qualità, testimonianze lucide e una narrazione commovente. Ma riavvolgiamo il nastro e parliamo di lei e della sua famiglia. La vostra è una storia simbolica.
Abbiamo lasciato Pola, la mia città natale, nel 1946. Avevo 8 anni, mia sorella 11. Arrivammo con il piroscafo a Olbia, poi ci trasferimmo temporaneamente a Sassari (dove ci ospitarono le suore vicino alla chiesa di Santa Maria) e poi ad Alghero, all’ultimo piano del vecchio ospedale a ridosso delle mura. A un certo punto, l’Ente Giuliano propose a noi e ad altre famiglie di andare a vivere a Fertilia, dove c’erano tante case vuote. L’abbiamo ripopolata e siamo ripartiti da lì. Avevamo due o tre valigie di cartone e tanta speranza.
Avete ricominciato quasi da zero, insomma.
Mio padre era già pensionato, dunque avevamo di che sfamarci, ma da Pola erano arrivati soltanto pochi mobili e qualche sedia. Quindi lui dovette fare qualche lavoretto. Per il resto, ci siamo dovuti arrangiare. Come tutti. Il letto era composto da due cavalletti, alcune assi di legno e il materasso in crine di cavallo.
Lei era ancora un bambino.
Sì, ma a 16 anni andai in cerca di lavoro. Insieme ad altri tre coetanei, feci esperienza in una falegnameria nei pressi del porticciolo di Fertilia: costruimmo alcune barche e un peschereccio. Poi mi proposi al vicino aeroporto: mi mise alla prova la società che aveva in appalto i lavori delle piste degli scali aerei italiani e le bonifiche. Imparai a guidare una pala meccanica. Alla fine mi assunsero e iniziai a girare l’Italia.
Come spesso accade quando si è strappati dalla propria terra, la nostalgia ha preso il sopravvento?
Non per me e gli altri bambini: eravamo troppo piccoli per comprendere bene l’accaduto. Per noi era, piuttosto, un’avventura in un luogo nuovo ma molto bello e ospitale, con un mare straordinario e molto pescoso. La gente ci aveva accolto bene, a cominciare dall’allora sindaco Fedele Cilliano. Era stato molto più difficile per gli adulti, perché avevano lasciato il cuore e gli affetti a oltre mille chilometri di distanza.
Lei si considera più croato, italiano, sardo o cittadino del mondo?
Io sono innanzi tutto sardo: in questa isola ho vissuto buona parte dei miei 86 anni. E poi mi sento giuliano. Tenga presente che mio padre era nato a Ploaghe, in Sardegna, ma poi si era trasferito a Pola per lavoro: le nostre origini, dunque, sono isolane.
Perché avete deciso di realizzare questo docufilm?
Le ragioni sono molteplici. Lo dovevamo ai nostri familiari rimasti lì, alle generazioni che ci hanno preceduto ma anche a noi stessi. E poi lo dovevo a mio figlio Federico. All’inizio ero un po’ titubante, ma lui ha tanto insistito e mi ha convinto. E ha fatto bene.
Quante emozioni ha provato durante questa avventura?
Ho provato di tutto: commozione, dolore, riconoscenza… ma anche un po’ di paura, perché la nostra imbarcazione non è molto grande. Abbiamo ballato al passaggio nelle Bocche di Bonifacio e dalle parti di Civitavecchia. Ci siamo fatti forza cantando e bevendo del buon vino. Ma ricordo che, quando ero bambino, i pescatori algheresi uscivano con barche che erano la metà della mia, pur di vivere. Le imbarcazioni più grandi le hanno portate successivamente alcuni pescatori istriani.
Ci racconti la storia di Klizia.
La barca è appartenuta inizialmente a un certo Masuccio Sechi, che la vendette a un esule istriano, Lino Barison, che la tenne per trent’anni. Poi 25 anni fa la acquistò la nostra famiglia. Klizia era il nome della figlia di Sechi. Per noi è la barca più bella che ci sia.
Che cosa è accaduto quando ha rimesso piede a Pola?
Mi ha fatto uno strano effetto rientrare in quella città. L’ho trovata quasi identica a quella che avevo lasciato, anche perché gli alleati risparmiarono il centro storico e i monumenti durante i bombardamenti.
Che cosa volete raccontare alle nuove generazioni?
Una storia che difficilmente leggeranno nei libri di scuola: le difficoltà dei primi tempi ma anche la rinascita attraverso il lavoro e i sacrifici. Noi abbiamo l’orgoglio di raccontarla, senza darle connotazioni politiche. Non è un problema di destra o di sinistra. Ancora oggi ci telefonano molti emigrati dall’altro emisfero, che non hanno dimenticato il passato delle loro famiglie. Gente semplice che ha vissuto esperienze straordinarie. La storia si ripete, ancora oggi c’è tanta gente che scappa da una guerra o dalla miseria. Domani chissà a chi capiterà? Grazie a questo viaggio, destinato a rimanere nella memoria, sarà possibile far conoscere un meraviglioso esempio di resilienza e inclusione. Spero che possa interessare molte scuole.
A chi vi siete ispirati?
Abbiamo fatto a ritroso il percorso fatto nel 1948 da 53 famiglie partite da Chioggia. Furono convinte da un prete a trasferirsi in Sardegna. Dopo 20 giorni e 20 notti di navigazione a bordo di 13 pescherecci, lungo le coste della penisola, raggiunsero Fertilia, a un tiro di schioppo da Alghero. Una piccola città di fondazione incompiuta, che per me era come il paradiso. È stato un incontro tra una città senza abitanti e una comunità senza più una casa.
Ci hanno commosso le parole di suo figlio Federico: parla di un periodo di litigi e incomprensioni tra voi due, ma anche del riavvicinamento che, dopo questo lungo viaggio per mare, vi ha fatti riscoprire a vicenda.
È stato molto bello fare questa esperienza con lui. I nostri rispettivi lavori ci hanno spesso tenuti lontani, e magari i caratteri differenti ci hanno fatto beccare in tante occasioni come galli ruspanti. Ma certe cose, tra padre e figlio, si devono superare.
L’imbarcazione Klizia, salpata da Alghero, ha toccato Livorno, Gaeta, Civitavecchia e poi raggiunto Chioggia, Venezia, Trieste, Muggia (ultima città italiana in Istria), e ha quindi superato i confini nazionali raggiungendo Capodistria, Pirano e la Slovenia, per dirigersi a Rovigno e Pola, principali città istriane della Croazia. A bordo con Giulio Marongiu suo figlio Federico e Mauro Manca, fondatori dell’Ecomuseo Egea, Giuseppe Bellu e Federica Picone: quest’ultima ha interpretato la Sirena ispiratrice che ha condotto Marongiu nel suo ritorno alla terra natia. Il film è stato scritto da Mario Audino e Igor Biddau. La voce narrante è quella di Roberto Pedicini, uno dei migliori doppiatori italiani, mentre Alina Person ha dato voce alla Sirena. Le musiche del film sono state create appositamente dal Maestro Pinuccio Pirazzoli, con la performance esclusiva di Isabella Adriani. Il docufilm è stato presentato in anteprima alla 81esima Mostra internazionale del Cinema di Venezia.
Credits: foto della Famiglia Marongiu e dell’Ecomuseo Egea
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