Startup

Cuochi a colori, l’integrazione attorno alla tavola

di Sara De Carli

Vengono da Perù, Egitto, Marocco, Indonesia... dodici cuoche portano nelle case di Milano la cucina dei loro paesi. Ogni cena diventa un momento per scoprire nuovi sapori e nuovi mondi. L'idea è di due professioniste milanesi, che dopo anni di volontariato in un'associazione hanno fondato One World, scommettendo sul lavoro.

Sri Handajani è nata nella parte indonesiana dell'isola del Borneo ed è in Italia da dieci anni, sulle orme della nonna, per dare un futuro ai suoi due figli. C’è riuscita grazie ai profumi e ai sapori della sua terra: Sri è la coordinatrice operativa della squadra di “Cuochi a Colori”, che da un anno e mezzo a Milano propone una cucina etnica di altissima qualità a domicilio. Nel team ci sono già una dozzina di cuoche e altrettante nazionalità: Indonesia, Marocco, Perù, Egitto, Brasile, Eritrea, Iran, Sri Lanka… Sono cuoche e insieme informali mediatrici culturali, voci narranti di un racconto non scritto, che prende forma ogni volta e che unisce la tavola di casa a un altro angolo di mondo, senza esotismi o intellettualismi. Solo nella semplice condivisione di altri sapori e delle storie che quelle ricette portano con sé.

«Il cibo è un filtro potente attraverso cui le differenze comunicano. Trovarsi attorno a un tavolo e assaggiare il cibo di altro Paese avvicina molto più di quanto non facciano mille iniziative più formali… Credo questa sia la forza del progetto», racconta Donatella Forconi, amministratore di One World, la startup che ha promosso “Cuochi a colori”. Donatella è architetto e ha alle spalle molti anni di volontariato con l’associazione Arcobaleno, che a Milano si occupa di accoglienza degli immigrati: «È nata da lì l’idea di aiutare gli stranieri dando loro quella chance che davvero cercano, il lavoro», spiega. One World nasce così, da un’intuizione di Donatella e di Maricla Pennesi, fiscalista, per sostenere attraverso il lavoro cuoche e cuochi di origine straniera. Con loro c’è anche un “business angel”, la designer Giulia Caprotti.

In un anno e mezzo le cuoche si sono fatte conoscere, le richieste sono aumentate, la famiglia che assaggia i piatti dell’Egitto spesso poi chiede di scoprire anche i sapori del Perù, in una catena di nuove esperienze, in cui i sapori e i saperi si mischiano. «La nostra forza, dal punto di vista imprenditoriale, sta nel fatto che questa idea è nuova, semplice e insieme molto forte. Parla ai tempi storici che viviamo, risolve il problema dell’ incontrare di persona i diversi da noi. Portiamo nelle case non solo le ricette ma le storie del piatto, del paese, le tradizioni e così quel pezzetto di mondo diventa più vicino, accessibile. In più è qualcosa di personalizzabile all’infinito, abbiamo spesso famiglie che ci chiedono di corganizzarci in modo che un piatto del menù possa essere cucinato insieme, magari con i ragazzi di casa. L’aspetto di incontro fra cultire non è codificato, non è una “recita”, accade spontaneamente, per questo ogni volta avviene in modi differenti, ma avviene quasi sempre, davvero».

Da poco il team di Cuoche a colori ha anche una cucina-laboratorio, una base logistica e operativa che consentirà loro di crescere ulteriormente: è in piazza Firenze a Milano, è stata finanziata con un’operazione di crowdfunding che ha raccolto quasi 5mila euro e sarà inaugurato ufficialmente il 27 ottobre. L’idea è quella di ampliare l’attività, affiancando alla cucina a domicilio dei catering (sono già rodate anche su eventi importanti, matrimoni, buffet con anche 300 persone), cibo da asporto, qualcosa di confezionato tipo lunch-box per la pausa pranzo. Le case però restano nel loro cuore: «perché lì nascono le esperienze più belle, di incontro reale fra le persone», spiega Donatella, ma anche perché «confrontarci con un’aspettativa alta sul cibo è una stimolo continuo ad alzare il nostro livello qualitativo, per essere all’altezza delle aspettative. Noi vogliamo sfatare un po’ lo stereotipo per cui la cucina etnica è una cosa di folclore».

Ecco allora le due gambe di questa scommessa, che è insieme culturale e imprenditoriale: «ci sta a cuore il tema dell’integrazione ma nello stesso tempo vogliamo stare sul mercato. Siamo una srl, ma con una fortissima vocazione sociale. Siamo una startup, lavorano con noi una dozzina di persone, per ora solo una a tempo pieno, ma abbiamo le potenzialità per crescere». Già, perché il giro di tutto il mondo è un lungo viaggio, anche se fatto con le gambe sotto al tavolo di casa.

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