Seba per la mamma Eliana. Seb, per gli amici e chissà quanti altri soprannomi avrà ricevuto dai compagni di scuola e dagli amici. Come ogni adolescente, del resto. Il ricorso a soprannomi è comune tra i ragazzi della Milano in cui Sebastiano è nato e cresciuto, ma ad accomunarlo a tanti altri adolescenti del capoluogo lombardo e dell’Italia intera è il consumo di droga.
Circa due anni fa, quando aveva solo 15 anni, ha iniziato a fare uso assiduo di marijuana. «Ce ne siamo accorti, e in primo luogo abbiamo provato, a seguito anche di una bocciatura a scuola, ad affrontare la quesitone in famiglia. Abbiamo cercato a farlo andare in terapia da alcuni psicologi ma saltava le sedute», spiega la mamma di Seba, Eliana.
La storia di Sebastiano è quella di migliaia di giovani e giovanissimi del nostro Paese. Fragili. Studenti, disoccupati o al primo e precario impiego, ma anche delle loro famiglie. Storie di droga che non fanno notizia e ragazzi lasciati soli. Vite in un Paese che non trova spazio nelle agende del governo per affrontare il problema, per cui nessun protocollo scientifico di sicurezza è stato stilato e tanto meno immaginato. E questo anche prima della pandemia.
Giovani, famiglie e droga: il calvario dei percorsi di riabilitazione
«Mio figlio Sebastiano era irriconoscibile e abbiamo capito il perché, quando un suo amico ha rivelato, alla madre che me l’ha comunicato, che faceva uso di cocaina». A 15 anni. Quindici. Alcuni segnali che la droga era una parte sempre più grande della vita di Seba c’erano già stati: piccoli furti di oggetti in casa e la costante sete di soldi. «A quel punto ci siamo rivolti al Serd [ovvero il servizio socio-sanitario per le dipendenze patologiche tra cui quella dalle droghe n.d.r.] dell’ospedale Sacco di Milano. Dove abbiamo toccato da vicino la prima falla del sistema di recupero: mio figlio non ha portato l’urina per il test per rintracciare le droghe di cui faceva uso e nessuno ce l’ha comunicato», chiosa la madre. Questo ha messo ulteriori settimane tra Sebastiano e un approccio sanitario alla sua dipendenza. Questo è solo l’inizio del calvario di migliaia di giovani con dipendenze. E delle loro famiglie.
Il percorso di recupero per Sebastiano solleva una questione che non può e non deve passare inosservata secondo la madre: «Il sistema di presa in carico di un ragazzo tossicodipendente è tutto ‘spacchettato’. Ovvero, ogni parte chiamata in causa fa un pezzo ma non c’è mai qualcuno che monitori il percorso di cura dall’inizio alla fine». Che faccia sintesi con il paziente, e quando minorenne relazioni ai ai genitori.
Non è finita qui: «I Serd milanesi a cui ci siamo rivolti, non ci sono sembrati in grado di rispondere alle esigenze di un minore, sembrava il primo con cui avessero a che fare. Equipe specializzate ce ne sono solo per minori che delinquono per reati legati alla droga di cui sono anche dipendenti». Questo è un altro anello della catena del recupero che manca, «anche perché io – chiosa mamma Eliana – sono un genitore e per quanto amore, pazienza e fermezza ci metta, non so cosa dire. E neppure come gestire un ragazzo che è sì mio figlio, ma che è malato e va curato dalla sua tossicodipendenza».
Lo spartiacque della pandemia e la costante: la solitudine
Tra genitori che si inventano “terapeuti per necessità”, un rapporto genitori-figli che a causa delle droghe si deteriora di giorno in giorno e le istituzioni assenti è arrivato il Covid. Per Sebastiano e per tutti i giovani e giovanissimi tossicodipendenti. Ragazzi che hanno attraversato il deserto del lockdown accompagnati a un doppio incubo: la droga e la solitudine, la loro e quella delle famiglie. Con i servizi dimezzati, causa quarantena generale – i Serd hanno garantito per lo più il metadone – e l’azzeramento dei nuovi ingressi nelle comunità per proteggere gli utenti, il campo della presa in carico dei più fragili fra i ragazzi ora rischia di fare un balzo indietro di anni. Con il risultato prevedibile, visto che lo spaccio invece continua fiorente, che alla fine siano proprio le droghe a vincere. «La pandemia ha totalmente interrotto i contatti del Serd con mio figlio, anche online». Ma a Seba non importava della terapia e neppure del covid. «Ho avuto difficoltà – continua Eliana – a tenerlo in casa». Nessuna norma, nessun lockdown e nessun timore del virus frena la voglia di disperazione e di droga.
«In questi mesi sono arrivata come madre al punto in cui ho accettato la situazione e sono scesa a compromessi accettando che consumasse in casa un po’ di droga. Soli, come genitori siamo stati lasciati soli a gestire questi ragazzi. E lo loro dipendenza, tossica anche per noi».
La strage silenziosa
Da dopo il lockdown, passando per l’estate, lungo tutto lo Stivale, si sono registrati casi di overdose un po’ ovunque. Come atteso: le riaperture estive hanno portato con sé il ritorno sulla strada di tanti giovani restati in astinenza forzata durante il lockdown. E fuori dalle comunità, la lista d’attesa è aumentata all’inverosimile. Ma non si può parlare di un vero e proprio allarme: i dati dell’ultima Relazione al Parlamento sulle droghe avevano evidenziato una drammatica crescita nei consumi, specie tra i minorenni, e un trend crescente di morti. In media uno ogni 26 ore. Una strage silenziosa.
Intanto continua il “lockdown” dei servizi secondo Eliana: «A sedici anni un ragazzo lo recuperi, ma più lo lasci solo e in balia della sola famiglia, più la missione diventa difficile. Mi sono sentita dire “Forse è meglio che suo figlio commetta un reato, così iniziamo un procedimento penale e il percorso di recupero annesso”. È vergognoso che lo Stato abbia questa come – quasi – unica opzione». Ad un certo punto spiega Eliana, con un dolore lacerante che traspare dalla sua voce, «ero arrivata a sperare che mio figlio venisse arrestato, così qualcuno avrebbe iniziato a prenderlo in carico seriamente». Ma ci devono essere strumenti anche per evitare che un minorenne arrivi a commettere un reato.
«L’altra via che ci è stata consigliata è quella dell’esposto: denunciare mio figlio prima che commetta una reato». Ma denuncialo, da genitore, è devastante.
Per salvarlo devi denunciarlo”
Deglutisce a fatica, Eliana, nel raccontare fino a dove si è spinta per provare a salvare Sebastiano . Il dolore della donna ma anche, e più di tutto, della madre: «Ho denunciato mio figlio ma anche la mia, la nostra, incapacità di sostenerlo e aiutarlo come famiglia».
Nella devastazione che si prova a dover denunciare proprio figlio per salvarlo, Eliana ha dovuto pensare anche al modo in cui l’avrebbe presa Sebastiano. A tutto questo si è aggiunta la lentezza della giustizia, con il suo “bagaglio” di ansie e incertezze. «Dopo l’esposto che abbiamo depositato a fine febbraio, l’udienza preliminare è arrivata solo il 15 giugno. Certo in mezzo c’è stato il Covid, ma da quel giorno, quando con l’udienza lo abbiamo detto a Seba, lui si è sentito tradito. E hai voglia spiegargli che è un gesto d’amore per salvarlo. Lui si è sentito abbandonato ma lo siamo stati anche noi, senza consigli su come gestirlo da quel momento in poi e su come approcciarci a lui a seguito della denuncia in attesa di sapere se nel suo futuro ci sarebbe stata una comunità», continua il racconto Eliana.
Droga e alcool. L’attesa è carica di solitudine
Da gestire poi non c’è solo la droga ma anche la vita di tutti i giorni della famiglia che è bloccata dall’assenza di supporto per la tossicodipendenza di un figlio testimonia Eliana con la sua cronaca familiare.
Soltanto ai primi di settembre il tribunale ha deciso che per Sebastiano la strada migliore è la comunità, ma la comunicazione alla famiglia e al ragazzo è arrivata solo a metà ottobre. Da giugno Sebastiano vive con la consapevolezza che finirà in comunità perché denunciato dai genitori: «Ha fatto tutto quello che pensava di non poter più fare. Droga ma anche alcool. E noi osservatori siamo stati osservatori impotenti del suo tentativo di autodistruzione, assecondato indirettamente dai servizi e dalle istituzioni. Ma è possibile che passino mesi con le famiglie sole a gestire questo carico psicologico ma anche sanitario, alle prese con la malattia, la tossicodipendenza, di un figlio»?
I numeri della droga e l’evoluzione del ‘mercato’ in risposta alla pandemia
Sono 660mila i ragazzi che come Sebastiano hanno fatto uso di sostanze stupefacenti nel corso del 2018, l’ultimo dato disponibile inserito nella Relazione al Parlamento del 2019. Numeri che tolgono importanza alle parole perché racconto di 334 morti per overdose nel corso del 2018, con un raddoppio dei decessi fra le donne rispetto al 2017. I numeri non smettono qui di inquietare: 8 tossicodipendenti su 100 sono minori – tra quelli in carico agli uffici dei servizi sociali – tra quelli che vengono inviati in strutture specializzate.
Come ha interferito la pandemia sull’emergenza dipendenze soprattuto dei giovani? «Esiste un mercato delle droghe che, da anni si muove in un’unica direzione: il mass market. Un mercato degli stupefacenti accessibile a tutti, anche ai ragazzi con pochi spicci perché di reclutare il maggior numero di clienti possibile», spiega lo psichiatra Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento dipendenze (Dipead) della Asst Santi Paolo e Carlo di Milano. «La produzione in laboratorio di droghe sintetiche poi offre possibilità pressoché infinite ed è meno costosa. La situazione socio-economica che si sta generando nel paese, in conseguenza alla pandemia, potrebbe accelerare questo percorso e i numeri degli anni scorsi possono già ora essere quasi raddoppiati».
La determinazione di mamma Eliana è un segno di speranza
Il peggio quindi ancora arrivare. Ma nonostante queste siano le premesse, sulle dipendenze non solo non si è fatto nulla nel pre-pandemia, ma non si è neppure detto niente dei decreti Cura Italia, Rilancio e nemmeno in quello di Agosto.
In questa storia però, una nota positiva, in fondo, c’è: da qualche giorno Sebastiano è entrato nella comunità Casa del Giovane di Pavia. «Io però faccio ancora fatica a dormire per i sensi di colpa per come siamo arrivati a questo punto. Per la denuncia, per questi due anni di sofferenza per Seba ma anche per noi. Anche se so che è in un luogo protetto ho ancora gli incubi di quando mi svegliavo e dovevo uscire la notte per cercarlo perché la polizia mi sapeva solo dire “Tornerà, stia tranquilla”», ammette con un filo di voce Eliana.
Quello che spinge la mamma di Seba, e molte altre madri e padri, ad andare avanti e a guardare con serenità al futuro è che «in comunità non può più mettersi nei guai e che avendo evitato una denuncia penale per un reato che prima o poi avrebbe commesso, mio figlio può disporre, una volta recuperato, di tutte le possibilità che un adolescente come lui può avere nella vita». Per fare le sue scelte, finalmente libere dalla droga.
«Le droghe però, in fondo, non sono il problema, sono la conseguenza di un disagio personale e sociale che porta i ragazzi a ricorrere a quelle sostanze per sentire qualcosa o viceversa, per non sentire nulla. La questione allora non diventa “quando” il ragazzo uscirà dal problema ma “come” lo farà. Che devastazione porterà con sé e che tracce lascerà nel contesto famigliare», spiega Simone Feder, psicologo e coordinatore dell’area giovani e dipendenze della comunità in cui Sebastiano è in cura.
La sua ricetta per il futuro di questi ragazzi è semplice e potente: «Bisogna appassionare i giovani – conclude -, serve restituire loro orizzonti, progetti, perché il loro problema non è solo sanitario, ma è soprattutto esistenziale».
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.