Alex Braga, musicista sperimentale, ma anche conduttore e autore per la televisione e la radio, ricercatore di nuovi linguaggi, innovatore, dopodomani sarà tra i protagonisti del Festival del pensare contemporaneo: alle 17 (i dettagli QUI) dividerà il palco con Lucio Rossi, tra i più grandi fisici viventi e tra i padri del bosone di Higgs. Parleranno di frontiere della scoperta e di come portare i risultati della ricerca scientifica e artistica al pubblico.
È il papà di A-mint, un progetto nato nel 2016 all’Università Roma Tre in collaborazione con Francesco Riganti Fulginei e Antonino Laudani, docenti del Dipartimento di Ingegneria. A-mint sta per Artificial Music Intelligence – A-mint, lui è Alex Braga. Dopo quasi un decennio di sperimentazione, non ha dubbi: A-mint è un nuovo strumento musicale, è un software, è un intelligenza artificiale che opera in tempo reale con l’artista e per l’artista al punto da consentirgli di sviluppare la propria creatività. Succede questo: A-mint è un sistema neurale complesso, composto da più reti che collaborano fra loro e creano musica sul momento. Non c’è niente di meccanico e non c’è alcuna forma di apprendimento pregresso (non di tratta di deep learning né di intelligenza artificiale alla maniera di Chaptgpt): il sistema viene addestrato mentre il musicista suona.
Di là ci sono nuovi territori sonori, tutti da esplorare. Dialoghi, fraseggi, passi a due (o anche a tre), nuove ipotesi di improvvisazione in cui ci si sono già cimentati pianisti del calibro di Danilo Rea, Francesco Tristano e Ricciarda Belgiojoso e in cui hanno preso parte i musicisti del Conservatorio di Santa Cecilia. «Quello con Danilo Rea nel 2018 fu un po’ il il primo vagito del progetto», racconta proprio Alex Braga.
Braga che cosa vuol dire fare musica insieme all’intelligenza artificiale?
Ci sono diversi modi e non tutti giusti, secondo il mio punto di vista. Significa fare la musica più contemporanea che esista con lo strumento più contemporaneo che c’è.
Il suo strumento si chiama A-mint, di che si tratta?
È una soluzione che ho creato io insieme a Francesco Riganti Fulginei e Antonino Laudani ed è quella che più rappresenta la mia filosofia artistica, legata ad un’intelligenza artificiale non basata sul deep learning, non addestrata cioè sui Big Data.
Spieghi meglio.
Il mio strumento parte da zero ogni volta, lavora in tempo reale, in simbiosi con l’artista e sul modello di quello che sente in quel momento. È un sorta di estensore delle sue abilità. È un passaggio fondamentale, perché distingue l’intelligenza artificiale come puro strumento da quello invece che funziona come una sorta di scorciatoia per elaborare qualcosa creato da una macchina, sulla base di decine di migliaia di ore di registrazione di tutta la musica del mondo. L’arte, io credo, è creare qualcosa che non c’è, è creare una connessione col metafisico e con l’infinito.
Possiamo dire che A-mint decodifica le emozioni dei musicisti con cui suona?
Quando sono sul palco da solo con il mio strumento si accende una sorta di gigantesca sfida con me stesso.
Lei la chiama augmented music, è corretto?
Non solo aumentata ma anche in evoluzione: perché è sempre differente, proprio come sono differenti gli stati d’animo.
Com’è cresciuto negli anni A-mint?
Certo, all’inizio erano esperimenti, il codice prima andava in crash e non era stabile. Con il tempo è poi cresciuta tantissimo in me la consapevolezza artistica dello strumento che avevo in mano.
Tra premi e riconoscimenti, ora è anche docente.
Vorrei divulgare l’idea che l’intelligenza artificiale non è un mostro, ma un strumento nelle nostre mani: siamo noi che dobbiamo far partire un’indagine dentro noi stessi per fare in modo che la tecnologia che abbiamo a disposizione sia utilizzata bene.
Una macchina non può comporre, non può creare, perché non conosce il significato della creazione (non sa cos’è la paura, l’amore, la sofferenza, l’attesa), ma ne conosce e processa solo il significante e cioè i dati.
Il problema è che cominciamo a confondere la realtà con i dati e affidiamo a loro il senso dell’esistenza. Non è così. Noi viviamo nel dominio del senso e non nel dominio dei numeri, dove è chiaro le macchine dominano. Il punto è cambiare il paradigma e capire veramente dove cercare la verità.
Come la mettiamo con il grande pubblico? A Piacenza dialogherà con uno scienziato che si occupa di bosone di Higgs su come far arrivare la scienza e l’arte a tutti.
Il punto non è tanto come arrivare al grande pubblico, ma far circolare le idee. Sono molto felice di partecipare al “Festival del pensare contemporaneo”, di farlo con uno scienziato e di parlare di musica e di fisica. Il paradosso nel quale ci troviamo oggi è che manca una presa di coscienza di quello che è il senso della nostra esistenza: la musica e la fisica sono due discipline molto simili tra di loro, perché indagano l’infinito e questa forse la cosa che più manca nel pensare contemporaneo.
In apertura Alex Braga in concerto a Latvia (Lettonia), foto @rotkhocenter. Nel testo, un primo piano del musicista (foto Fabio Lovino) e momento del live insieme ad Extraweg, foto @crossmedia
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