««Esattamente 22 anni fa il responsabile del settore giovanile dell’Atalanta B.C. il compianto Mino Favino e l’allenatore Stefano Bonaccorso mi chiamano per ricoprire il ruolo di pedagogista in un settore giovanile che già faceva scuola in tutto il mondo», spiega Castelli con quella fiera umiltà di chi ha sempre avuto a che fare, anche in prima persona, con lo sport, con la fatica e con la crescita umana che si coltiva insieme a quella agonistica. Oggi sono 130 i giocatori che militano come professionisti nelle principali serie di calcio in Italia e all’estero che si sono formati dal settore giovanile del club orobico.
Questi numeri fanno solo intuire come ci sia bisogno di personale preparato anche dal punto di vista pedagogico, per seguire con cura, competenza ed attenzione circa 600 tesserati e e tesserate, la maggioranza minorenni, suddivisi in 12 squadre maschili (a partire dagli 8 fino ai 19 anni); 6 squadre femminili e le squadre Accademy (scuole calcio) aperte a tutti i bambini e le bambine di 6-9 anni.
Quale ruolo ha, in qualità di psicopedagogista, all’interno di un settore giovanile così importante come quello dell’Atalanta che ha da sempre creduto e puntato sulle giovani leve?
La mia è una figura che ricopre parecchi ruoli all’interno del settore giovanile, e le mie attività spaziano in molti ambiti.
Provi a illustrarci i principali…
Innanzitutto il mio intervento 20 anni fa seguendo i giovani giocatori tesserati per l’Atalanta, provenienti da fuori regione e che vivono nella Casa del Giovane per accogliere chi non arriva da Bergamo e provincia. In questa impresa sono coadiuvata da 6 educatori, e insieme accompagniamo la crescita emotiva e socio-relazionale dei ragazzi, offriamo loro occasioni di riflessione critica su quanto succede nella vita sportiva e quotidiana, tentiamo di orientarli a salutari stili di vita da atleta, li aiutiamo a studiare, curiamo i rapporti con i genitori e la scuola. Attualmente mi occupo di predisporre l’accoglienza dei nuovi calciatori e calcatrici. Offro poi una consulenza diretta agli allenatori delle varie squadre giovanili, sia maschili che femminili, per aiutarli nella gestione delle problematiche che riguardano il comportamento degli atleti, ma anche la loro vita scolastica, le questioni legate alla crescita e i rapporti con i genitori dei nostri tesserati. Sono poi impegnata nell’attività di formazione degli allenatori e dei genitori. Predispongo interventi diretti sia alle squadre dell’attività di base, sia ai singoli giocatori per richiamarli al rispetto delle regole, per stimolare la collaborazione insomma per aiutarli a fare squadra. Infine, insieme allo staff dell’attività di base, progetto e realizzo (da 20 anni) “La scuola allo stadio”, un intervento educativo-sportivo rivolto alle scuole Primarie e Secondarie di 1° grado (medie) di Bergamo e provincia, per insegnare il tifo corretto e i comportamenti civili da tenere allo stadio.
Oltre che pedagogista, lei è una sportiva e una donna che lavora nel mondo del calcio, che è prettamente maschile.
Sono entrata in punta di piedi in un ambiente maschile, in questi anni ho dovuto attingere alle mie scorte di pazienza e resilienza, accumulate in tanti anni di pratica agonistica negli sport di fatica come il fondo e lo sci alpinismo. Ma d’altra parte si sa l’educazione ha a che fare con la resistenza e l’impegno. Ero molto motivata a scoprire un mondo a me estraneo, come quello calcistico, infarcito di pregiudizi sul suo valore etico, ma anche ricco di tanti operatori appassionati e capaci. Non nascondo che a volte ho incontrato povertà educative e culturali, ma a me le sfide sono sempre piaciute e mi motivano a lavorare con tenacia, determinazione e spirito creativo per trovare soluzioni a problemi sempre nuovi.
Come vede l’evoluzione, sempre che ci sia secondo lei, dello sport in Italia dove nell'agonismo e nello sport di base le donne sono nettamente meno rispetto agli uomini e dove tra i maschi poco meno 31,2 % pratica sport con costanza, con le donne si scende al 22,2 % (istat 2021)?
Si tratta di un problema culturale ed educativo che rende difficile alle donne persino avvicinarsi allo sport, soprattutto a certe discipline, considerate da 'maschio', come il calcio. Io stessa, praticando lo sci alpinismo in forma agonistica, ho ricevuto (ancora fino al 1985) dinieghi alla partecipazione in alcune gare, in quanto donna, perché era considerato uno sport troppo duro e faticoso per noi, e perché la nostra presenza avrebbe svalutato la qualità della competizione. Un altro grande limite è rappresentato dal fatto che le donne, anche di altissimo livello, non possono essere professioniste ma, per legge, restano dilettanti. A tale proposito il calcio femminile sta guidando faticosamente una vera e propria rivoluzione tecnica e culturale. Infatti dal 1° luglio di quest’anno le calciatrici di Serie A (e solo loro) sono considerate professioniste.
Torniamo al suo lavoro con l’Atalanta, ritiene che si debba avere una particolare attenzione alla formazione psicopedagogica dei giovani calciatori?
Lavorando con giocatori minorenni, noi, ma in generale tutte le Società sportive, e non solo quelle professionistiche, che operano con i giovani dovrebbero riporre molta attenzione alla formazione di tutte le dimensioni della loro personalità, non solo quella motoria, ma anche quella emotivo-affettiva, socio-relazionale, mentale e morale.
Quali sono le problematiche che ha riscontrato, tipiche di un settore professionistico come il calcio?
Operare in un settore calcistico giovanile, sia dilettantistico, sia professionistico, oggi è difficile, impegnativo, carico di responsabilità. All’allenatore si chiede di ricoprire con competenza diversi ruoli sia in qualità di tecnico esperto, sia di insegnante, di buon dimostratore e attento osservatore. A lui si chiedono competenze che vanno dall’ambito tecnico a quello relazionale, dall’ambito organizzativo a quello metodologico. L’allenatore deve conoscere bene i gesti calcistici, saperli insegnare, usando le metodologie più opportune alle varie età, scegliendo le attività più coinvolgenti per i ragazzi, deve sapere motivare tutti i giocatori e dedicare tempo ed attenzione ad ognuno di loro. A tutto ciò si aggiunge la richiesta sempre più pressante delle famiglie che hanno demandato all’operatore sportivo vari compiti educativi, come per esempio quelli di fare rispettare le regole, preparare alla vita di gruppo, insegnare l’autocontrollo e l’accettazione dei propri limiti, favorire l’autonomia e altro ancora.
A tale proposito, l’Atalanta crede molto anche nella formazione degli allenatori, grazie anche ad una figura professionale come la sua?
Assolutamente, anche perché non si può pretendere di educare i ragazzi tralasciando la formazione degli adulti, dai quali i primi vengono influenzati nei loro comportamenti ed apprendimenti. Chi educa i giovani attraverso lo sport deve essere disponibile a riflettere criticamente sulla propria esperienza e valutare continuamente il proprio operato sia dal punto di vista tecnico sia educativo. Per dotarsi di validi strumenti di autovalutazione non vedo altra strada se non l’aggiornamento continuo per tutto l’arco della propria carriera di mister. La curiosità, la passione e l’entusiasmo, che non deve mai venir meno, per questa “professione” fa il resto. Per tornare al nocciolo della domanda credo che un problema peculiare siano le aspettative eccessive di molti genitori nei confronti dei figli, spesso non commisurate alle loro reali capacità.
Ritiene che il ruolo dello psicopedagogista possa o debba essere introdotto anche nelle società dilettantistiche? Se sì, in che modo o con quali progetti? A livello federale o sulla base della libera iniziativa individuale e del volontariato?
Ogni società che lavora con i giovani, visto la delicata età a cui si rivolge, dovrebbe avere uno staff di consulenti che sostenga il lavoro degli allenatori. Questo gruppo dovrebbe essere formato da un educatore (o insegnante o psicologo o pedagogista) che si occupi dell’aspetto educativo e della formazione degli allenatori, dei dirigenti e dei genitori; un fisioterapista per la prevenzione e il recupero degli infortuni; un laureato in scienze motorie per la preparazione coordinativa e condizionale. Il volontariato seppur lodevole e talvolta auspicabile, per la mancanza di risorse economiche e umane, purtroppo non basta.
Allora dove reperire le risorse?
Si potrebbero ricercare sponsor illuminati che investano con lungimiranza su questi aspetti, a prima vista non proprio tecnici, ma sicuramente molto collegati alla prestazione sportiva.
Oppure si potrebbero risparmiare poche migliaia di euro sugli stipendi dei giocatori delle prime squadre per dotarsi di questa équipe di consulenti a supporto del lavoro giovanile. Anche gli amministratori locali potrebbero intervenire sostenendo le società che scelgono di innalzare il livello qualitativo della loro offerta. Infatti è la stessa Federazione Italiana Gioco Calcio che auspica l’introduzione di tali figure.
E i ragazzi? Come vivono e come si relazionano con la sua figura di pedagogista di campo?
Il mio lavoro di consulenza pedagogica, coadiuvata da uno staff, è rivolto ovviamente anche ai giovani tesserati e le tesserate. I casi più frequenti sul quale interveniamo riguardano le problematiche scolastiche: sosteniamo il loro impegno insegnando il valore dell’organizzarsi per conciliare il doppio impegno. Li orientiamo nella scelta della scuola superiore, offrendo il supporto e l’opportunità di svolgere l’alternanza scuola lavoro. Perché se il calcio è il loro “piano A”, insegniamo che anche lo studio e la formazione è il “piano A”, non il ripiego. Da sempre puntiamo sul sostenere l’impegno scolastico dei nostri calciatori. Infatti nel caso diventino calciatori professionisti, possedere una cultura e un valido diploma li mette al riparo da imbrogli, scelte avventate, problemi di salute psico-fisica. Questo grazie allo sviluppo di un pensiero critico. Cultura e diploma possono agevolare un futuro impiego in ambito calcistico come allenatore, manager, addetto stampa, addetto marketing, massaggiatore e fisioterapista. Recentemente ci capita anche di aiutare i nostri ragazzi e le ragazze a gestire la rabbia, lo stress delle richieste di prestazione, la paura di non essere all’altezza dei compiti, a mantenere una propria autostima ancorata alla realtà, a sviluppare uno spirito di squadra, superando l’individualismo. Per questo abbiamo creato anche il programma “Atalanta buoni comportamenti” in collaborazione con l'Ats di Bergamo, la Questura e la Cooperativa Sociale “Specchio Magico” per insegnare ai nostri tesserati anche ad usare bene i social con un codice etico.
Fate formazione anche con i genitori di questi ragazzi?
Certo. Sia nei colloqui individuali, sia durante le riunioni collettive chiediamo ai genitori di rispettare il codice etico della società, improntato fra l’altro sulla correttezza e il fair play, affinché non si trasformino in “ultras” dei propri figli.
Lucia Castelli sabato 22 ottobre dialogherà con l’ex calciatore e sindaco di Verona Damiano Tommasi al Teatro Politeama di Piacenza, nell’ambito del convegno “Nessuno si educa da solo. Come costruire una comunità per crescere assieme”, organizzato dal CPP – Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, diretto dal pedagogista Daniele Novara
Foto © Atalanta B.C.
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