Il Coronavirus ha catalizzato, anche giustamente, l’attenzione di tutti. Siamo così presi dell’emergenza che quasi viene da chiederci: “ma dov’è finito il mondo di ieri?”. Le questioni che abbiamo lasciato irrisolte, una volta finita l’emergenza, torneranno, proprio a causa del coronavirus, ancora più drammatiche e complicate di prima.
«Il virus», dice Matteo Villa, ricercatore Ispi – istituto per gli studi di politica internazonale, «è sbarcato in Europa e i riflettori sulle nostre frontiere e sui problemi di prima sembrano essersi spenti. Ma i migranti non sono mai scomparsi: in migliaia sono bloccati sulle isole greche, altri al confine tra la Grecia e la Turchia. Da Paesi come Tunisia e Algeria le persone hanno posticipato il viaggio per la paura la paura coronavirus. Ma dalla Libia le persone tentano lo stesso di partire, perché non c’è paura che tenga rispetto ai centri di detenzioni libici».
Come cambia la migrazione ai tempi del coronavirus?
È necessario, per capire gli impatti di questa epidemia sui fenomeni migratori, distinguere le due rotte principali: quella del Mediterraneo Orientale e quelle del Mediterraneo Centrale. Il presidente turco Erdogan ha annunciato l’apertura dei confini tra la Grecia e la Turchia alla fine di febbraio, negli stessi giorni in cui in Italia scoppiava l’epidemia del coronavirus. Sulla Rotta Orientale, che poi diventa Rotta Balcanica, la tensione si è alzata e sul confine lungo 200km, si sono ammassate circa 30mila persone. Ma pochi riescono a passare, le frontiere dei Paesi sono tutte chiuse. Le persone sono rimaste lì in condizioni indicibili. Ma intanto Erdogan ha spinto perché i profughi si concentrassero in quella zona per dimostrare di essere forte davanti all’Europa da cui si è sentito lasciato solo, considerando che al confine opposto del Paese, quello con la Siria, c’è un altro milione di profughi che scappa da Idlib, Siria, per entrare in Turchia. Ricordiamo che la Turchia, dopo l’accordo tra Ankara a Bruxelles del 2016, ospita già 3,6 milioni di rifugiati siriani. Ma sulla rotta del Mediterraneo Orientale la frontiera di terra è solo temporanea e legata alle dichiarazioni del presidente turco Erdogan. La frontiera importante resta quella via mare: nelle isole del mar Egeo sono ammassate 40mila persone ma i campi sono stati costruiti per contenerne 7mila. Nelle condizioni in cui si trovano i campi, gestire un’emergenza sanitaria.
Di che numeri parliamo?
Il primo marzo, ad esempio, in Grecia sono sbarcate 800 persone. Il 15 marzo 300. Per fare un paragone più consistete possiamo dire che a settembre del 2019 soni sbarcate 13mila persone. A marzo 2020 ne sono sbarcate 2500. Sono ovviamente numeri non paragonabili ma la situazione rimane drammatica.
Cosa sta succedendo invece sulla Rotta del Mediterraneo Centrale?
Qui si delineano ancora due trend diversi. Da inizio marzo gli sbarchi sono crollati dell’80% rispetto ai primi due mesi dell'anno. Chi può posticipare di qualche mese il viaggio lo fa.
Vale anche per la Libia?
Assolutamente no. E qui si arriva al secondo trend. Dal 28 febbraio al 20 marzo dalla Libia sono partite più di 1500 persone che o sono riuscite a raggiungere Malta oppure sono state riportate indietro. E questo dà l’idea anche di quanto sia diversa la percezione del rischio. C’è chi guarda verso l’Italia, ha paura e ritarda la partenza e chi invece sta in Libia e, viste le condizioni, non può evitare di provare a partire.
Il coronavirus fa molta paura
Ha più potere il coronavirus che la chiusura dei porti. L’emergenza sanitaria ha avuto un impatto grandissimo su tutte le Rotte.
Cosa succederà a fine emergenza?
Molto dipende da quando finirà. Se dovesse finire in estate sappiamo che in quella stagione le partenze si intensificano. Se dovesse finire il prossimo inverno è probabile cha a partire saranno meno persone. Ma i flussi erano già gestibili prima del coronavirus. E il fatto che riprendano dopo l’emergenza non significa necessariamente che esplodano com’è successo qualche anno fa.
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