Cantano in dialetto piemontese o in franco provenzale canzoni di montagna come “La montanara”, “La bergera” e altri brani tipici. Ma la vera sorpresa è scoprire che a esibirsi in queste semplici melodie d’altri tempi non sono alpini con la penna nera sul cappello bensì otto richiedenti asilo partiti da Gambia, Senegal, Ghana e Costa d'Avorio e approdati dopo varie vicissitudini in Piemonte, nelle Valli di Lanzo.
Il coro che non ti aspetti si chiama Coro Moro ed è nato nel novembre 2014 per iniziativa di due cinquantenni attivi da sempre nel sociale: Luca Baraldo e Laura Castelli. Lighting designer nel mondo dello spettacolo lui, ex commerciante lei, vivono a Ceres, un piccolo paese montano in provincia di Torino. «Abbiamo incontrato subito i primi 11 richiedenti asilo arrivati qui nell’aprile 2014. Poi ne sono arrivati altri 42 a Pessinetto e siccome siamo tra i pochi che parlano un po’ d’inglese e di francese la prima cosa che abbiamo fatto per aiutarli e dar loro un po’ di sostegno è stato di improvvisare lezioni di italiano», dicono. «Però, non essendo insegnanti, abbiamo usato le tecniche dei nostri vecchi iniziando dalle canzoni». Luca Baraldo e Laura Castelli, infatti, organizzano anche il mercatino solidale Strass&Baratt a Pessinetto e ogni tanto si mettevano a suonare e a cantare canzoni tradizionali in piemontese. «Alcuni di questi ragazzi africani ci venivano spesso e dopo un po’ hanno cominciato a cantare insieme a noi. Il Coro Moro è nato così, a novembre dell'anno scorso». Oggi è considerato una straordinaria occasione di integrazione, «eppure finora dalle istituzioni non è arrivato nessun tipo di sostegno», si rammarica Baraldo. Ma aggiunge: «il pubblico invece è incredibile! Abbiamo molti fans che ci seguono ovunque e chi non ci conosce rimane ad ascoltarci fino alla fine. C'è un po' di tutto: bambini, anziani e si divertono e si commuovono tutti. Anche noi facciamo fatica a capire cosa succeda durante i nostri concerti, ma si crea un'atmosfera "magica"».
I componenti del Coro Moro non sono professionisti. Solo Michael, 28 anni, del Ghana, che in patria ha lasciato la moglie e un figlio, era un cantante anche nel suo Paese: «Sono contento di poter allenare la mia voce anche qui», dice. Hanno studiato i testi, compreso i significati e ora quando cantano mimano le canzoni come se fossero sempre state nella memoria della loro infanzia. Di solito cantano nella cappella di Almesio, una frazione sperduta di Ceres, oltre che per associazioni, Proloco, comuni e chiunque li chiami («Non chiediamo soldi, ma solo un eventuale rimborso spese perché siamo in 10 e viaggiamo con la nostra auto e quelle di qualche volontario», precisa Baraldo). In agosto si sono anche esibiti a Etètrad, il festival valdostano di musica popolare, e il 31 ottobre saranno ospiti di Cascina Triulza per la cerimonia di chiusura di Expo.
«La gente si ferma quando cantiamo e ci dice che siamo bravi. Con queste canzoni abbiamo ricominciato a provare emozioni. Per lungo tempo abbiamo vissuto solo l'inferno», assicura Ailou, 22 anni, senegalese. E Mustapha, 31 anni, del Gambia, che vive a casa di Luca e Laura grazie al progetto "Rifugio diffuso" della Prefettura torinese, racconta: «Ho viaggiato tre mesi. Per tre giorni siamo rimasti su un barcone nel Mediterraneo. Ero molto spaventato ma poi sono sbarcato a Lampedusa. Da qui mi hanno mandato a Settimo e poi a Ceres. Quando sono arrivato nel centro di accoglienza della Croce Rossa ho potuto telefonare a casa e ho scoperto che poco dopo la mia partenza la mia mamma era morta».
Nel repertorio del Coro Moro confluiscono canti piemontesi come «La Bergera», «8 calderai» e «Fija mia pijlo pa'», ma, anche una canzone di Davide Van de Sfroos («Ninna nanna del contrabbandiere») e alcuni pezzi originali. Due sono adattamenti di canti dei Mondo Marcio («Tieni duro») e delle isole Comore («Coromoro/Comoro»). In quest'ultima cantano, in piemontese: «Ho attraversato quasi tutto un continente, mi sono aggrappato alla vita anche coi denti. E adesso la nostra storia dobbiamo raccontare. E col Coro Moro noi l'andiamo a cantare». Composta dal coro è, infine, «Africa» in cui alcuni recitativi (in italiano, inglese e francese) sono legati da un ritornello in lingua mandingo, quella parlata in Africa occidentale, in cui ripetono: «Oh madre, oh padre, mi spiace. In Africa si stanno massacrando e pur di scappare da questo inferno rischiamo la vita nel Mediterraneo sperando di trovare una vita migliore».
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.