Poeta e paesologo, consulente del Ministero per il Sud e la coesione territoriale, Franco Arminio è un intellettuale che riconosce nella cultura del riabitare i paesi una risorsa economica e culturale per l’ Italia intera, ma trainante soprattutto per il meridione.
Più volte è stato in Calabria, terra della quale dice, in una delle sue poesie «… amo la Calabria, il paesaggio non confezionato, la faccia di chi cammina nel secolo sbagliato. Amo la Calabria a Palmi un po’ algerina, finlandese sulla Sila. Amo il mare che si getta nel treno, i pesci sull’asfalto, le case parcheggiate anche negli occhi dei gabbiani. Non conosco una terra più sensuale, un disordine più esemplare, una grazia più oltraggiata. Questa non è una regione, è un altare».
E il suo pensiero sulla Calabria, Arminio, lo ha ribadito anche all’ indomani della polemica suscitata dalle dichiarazioni di Corrado Augias. Come scrive sul suo profilo social «Lui la ritiene irrecuperabile. Io voglio dire che la penso molto diversamente. Per me la Calabria è uno dei luoghi più potenti d’Europa, io vedo una terra e un mare pieni di avvenire. Forse so che tipo di pensiero sta dietro alle affermazioni di Augias, forse è la lente di una certa sinistra illuministica che fa fatica a maneggiare l’arcaico e l’altrove che nel bene e nel male ancora dimorano nelle Calabrie. Insomma a ciascuno i suoi luoghi. Augias avrà i suoi. Io ho una profondissima simpatia per le terre di Tommaso Campanella e Corrado Alvaro. Capisco la preoccupazione per l'invadenza criminale, ma questo non può cancellare la sensualità, la densità emotiva e la generosità di quelle terre. Il pensiero di Augias in questo caso non ha nulla di originale, lui pensa quello che pensano tanti. Ammetto di averlo pensato anche io lungamente. Ci sono luoghi che fanno di tutto per sembrare peggiori di quel che sono. Poi li conosci meglio e trovi la chiave per vederli bene. Gli italiani farebbero bene ad andare più spesso nelle Calabrie, piuttosto che emettere sentenze che mettono sulle stesso piano colpevoli e innocenti. E i calabresi farebbero bene a smettere di oltraggiare la bellezza in cui sono immersi».
E la nostra conversazione prende il via proprio da qui. Da “irrecuperabile” a terra dove creare la cultura del possibile e del futuro.
«Nessun territorio può essere appellato come irrecuperabile. Alcune volte quando si parla della Calabria bisogna capire, e vedere quali sono i fili buoni per intrecciare un po’ di futuro. Altrimenti si corre il rischio che sulla Calabria accada quello che è accaduto con Napoli: una città che produce molta scrittura, riflessioni, poetiche, ma poi i problemi restano lì. La Calabria è una terra abitata da una maggior parte di persone perbene e con una grande tenuta civile. La ‘ndrangheta si può combattere con un impegno costante dello Stato e dei Cittadini, con una convinta battaglia. Dove la connivenza con la criminalità sia spazzata via. Conviene a tutti avere una Calabria “bonficata”. Al di là di quello che accade sui social, delle parole, c’è un fatto di sostanza. E tutti gli italiani dovrebbero essere meno inclementi con la Calabria ».
- Allo sguardo corrisponde spesso un giudizio. Qual è il rischio che ne consegue?
«Non c’è condanna o assoluzione. La Calabria è una delle tante Italie. Non esiste un’ Italia criminale e una non criminale. A essere oggetto di esternazione di bellezza o di denuncia criminale ci si può ridurre a parlare solo di bellezza, tanto quanto solo di criminalità. E che oltre al crimine ci sia, peggio, una narrazione criminale e che questo assolva le Istituzioni e la politica, locale e nazionale, dalle responsabilità.
Che manchi l’ attenzione. Così come è accaduto per la sanità, dove non c’è stata la giusta attenzione. Un Ministro alla Sanità dovrebbe sapere chi è il Commissario inviato, non in un paese sperduto, ma in una delle 20 regioni d’ Italia. Regione che, tra l’ altro, denota la presenza della criminalità».
- Cosa manca alla Calabria, secondo Franco Arminio?
«Forse c’è bisogno di mischiare le carte, arieggiare e fare spazio a nuovi giovani che scoprono questa regione e la vogliono vivere o a quanti sono andati via e ora vorrebbero tornare, magari abitarla nei suoi luoghi più interni e suggestivi. Ricchi di bellezza inerte. Penso a Serra San Bruno a Roghudi, all’ Aspromonte e alle immense spiagge libere della costa Jonica. E tutto questo nel cuore dell’ Europa. Che non è affatto scontato.
Prima di Barcellona, per chi viene dalla Grecia dalla Turchia, c’è la Calabria. Una terra preziosa. Lo dico da testimone, con uno sguardo mio. La Calabria io la definisco un’ isola, la terza d’ Italia dopo la Sicilia la Sardegna, con i suoi lati bagnati dal mare e il quarto un mare di montagna, con il Pollino a nord a fare da barriera. E anche questo può aiutarci a spiegare molti meccanismi culturali e di isolamento». I calabresi non se ne sono accorti che c’è bisogno della Calabria.
- Qual è, a queste latitudini, il compito di un intellettuale?
«A me da intellettuale preme che il calabrese stesso abbia una visione diversa del sé. Meno amarezza e più fiducia nella propria terra e nelle proprie risorse. Affezione. Chiedo che sappia costruire discorsi collettivi, che sappia coniugare l’ arcaico all’ innovazione, senza perdere l’ uno e lavorare per l’ altra».
- A breve si voterà per le regionali, cosa non deve mancare nel programma elettorale dei candidati?
«Alla Politica chiedo attenzione ai paesi. Il lavoro ai giovani. Attenzione alla Cultura. Risorse per la Salute e la sanità, perché è inaccettabile non avere diritto a curarsi nella propria regione. Che tutte queste cose insieme sono di per se lotta alla criminalità».
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