La resistenza continua, nel sudovest della Turchia. Gli abitanti di İkizköy non intendono arrendersi all’espansione della vicina miniera di carbone, alle spese del bosco di Akbelen e del loro stesso villaggio, anche se ormai gli alberi sono stati tagliati. Şafak Arslan, responsabile scientifico di Doğa, partner turco di BirdLife International e della italiana Lipu, dice: «La battaglia prosegue perché gli ecosistemi sono ancora vivi. Ci sono gli uccelli, i mammiferi, le farfalle. Le ruspe devono fermarsi, per permettere alla natura di rigenerarsi e alla gente di rimanere nelle proprie case. Accanto alla popolazione locale, domenica 6 agosto hanno manifestato centinaia di attivisti da tutta la Turchia. In seguito, gli abitanti di İkizköy sono stati ascoltati in Parlamento, ma il voto a maggioranza ha dato il via libera a continuare i lavori di ampliamento della miniera
All’indomani della manifestazione, il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha definito coloro che si oppongono: «marginali», un pugno di persone a cui non dare importanza.
Firme per difendersi
La petizione online in inglese, lanciata dagli attivisti due anni fa, quando è cominciato il presidio permanente per salvare gli alberi di Akbelen, ora è stata aggiornata con gli ultimi eventi e ha superato le 160.000 firme:. «Noi, comunità locali di Milas e Yatağan, nella provincia di Muğla, abbiamo subito gli impatti negativi per l’ambiente e la salute delle miniere di carbone e di tre centrali termoelettriche per quarant’anni. Siamo stati mandati via dalle nostre case, ci hanno tolto terra e acqua, hanno inquinato l’aria che respiriamo, ci hanno fatto ammalare e morire», si legge nella petizione. Ora sono determinati a non mollare, anche perché la chiusura delle miniere è stata posticipata di 25 anni. Non solo: nel 2014 sono state rilasciate tredici concessioni estrattive per un totale di 46mila ettari, di cui quasi la metà è – o era – occupata da boschi. In base al report sui veri costi del carbone “The real costs of coal Muğla“ del Climate Action Network Europe dal 1979 a oggi le miniere a cielo aperto sono arrivate a coprire una superficie di 5000 ettari, quanto 7.800 campi di calcio.
Quei 12 villaggi scomparsi
Fino al 2018, l’espansione è continuata, cancellando dodici villaggi ed espellendo la popolazione. Ma nel 2019 i cittadini di İkizköy hanno detto no. Sono riusciti a impedire la deforestazione fino al 24 luglio di quest’anno, quando sono stati sopraffatti dall’intervento delle forze dell’ordine, che hanno scortato gli operai e hanno permesso il taglio degli alberi. Gli ambientalisti suggeriscono che la compagnia privata che gestisce la miniera, la Yeniköy Kemerköy Energy, di proprietà della Limak Holding, abbia atteso la rielezione di Erdoğan, lo scorso maggio, per riprendere il progetto. L’impresa ha risposto alle accuse con un comunicato stampa in cui dichiara: «Dal 1987 lavoriamo per valorizzare al massimo le risorse locali, che possono aiutare la Turchia a soddisfare la domanda di energia e contribuire all’economia e al benessere. Le nostre attività estrattive rispondono a standard internazionali e si inseriscono nella cornice della visione di sostenibilità dell’azienda».
Il richiamo agli Accordi di Parigi
Ma gli attivisti non ci stanno e sottolineano la contraddizione di continuare a puntare sul carbone anche dopo la ratifica dell’Accordo di Parigi sul clima da parte della Turchia nel 2021.
Il report del Climate Action Network Europe ricorda che le tre centrali a carbone di Muğla hanno emesso 360 milioni di tonnellate di CO₂ tra il 1982 e il 2017. Se continueranno a operare fino al 2043 si stima che si aggiungeranno 328 milioni tonnellate. Senza contare la perdita della capacità di stoccaggio di carbonio, se tutte le foreste della zona verranno distrutte per lasciare posto alle miniere.
A dieci anni dalle proteste di Gezi Park, gli attivisti del sudovest della Turchia cercano ancora una volta l’attenzione della comunità internazionale. In particolare, si rivolgono a Barcellona e ai catalani, con l’hashtag #CutOffcontactwithLİMAK: la Limak Holding infatti è l’azienda che sta lavorando alla costruzione del nuovo stadio Spotify Camp Nou.
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