#Covid19

Con chi non vede e non sente, non c’è metro di distanza

di Sara De Carli

Provate a immaginare: essere sordi e ciechi e non avere più nemmeno il tatto come canale di contatto con il mondo. Il Coronavirus rischia di far sprofondare nel buio e nel silenzio chi viveva già in condizioni di isolamento, come le persone seguite dalla Lega del Filo d'Oro: «Non è il momento di fare un passo indietro, ma di fare un passo avanti. Dobbiamo esserci»

Oggi viene la mamma? No, Gianna, c’è l’influenza. Oggi viene la mamma? No, Gianna, dopo. Dopo Pasqua. Forse quando farà più caldo, quando avremo le maniche corte. Quando viene la mamma?

Gianna in camera ha un calendario che la aiuta a orientarsi nello scorrere dei giorni. Lei è sorda e ha un residuo visivo. Vive al Centro residenziale della Lega del Filo d’Oro di Modena. «Soffriva molto del fatto che la mamma da settimane non può più venire a trovarla, per motivi di sicurezza. Era agitata. L’altro giorno è arrivata in ciabatte nel mio ufficio, mi ha presa per mano e mi ha portata in camera sua», racconta Vittoria Stucci, responsabile educativo del Centro di Modena. «Sul calendario aveva segnato e cancellato la visita della mamma già due o tre volte. Davanti a me ha segnato “mamma” sul 13 giugno. Ha capito che c’è qualcosa di particolare. Adesso è più tranquilla».

La Lega del Filo d’Oro da oltre 55 anni assiste, educa, riabilita e supporta l'inclusione nella società di persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali. Per chi non vede e non sente, il tatto è la via privilegiata di contatto con il mondo. Passa tutto o quasi da lì: con le mani esplorano l’ambiente che le circonda, con le mani parlano e comunicano con gli altri. Che sia la Lingua dei segni tattile o il Malossi, con le singole lettere pizzicate e battute sulla punta delle cinque dita, la mano diventa per loro – come diceva Sabina Santilli, la sordocieca che fondò la Lega del Filo d’Oro– «l’antenna dell’intelligenza e del cuore». E quando la disabilità è ancora più complessa, comunicare è un gesto, un abbraccio, una carezza. Impossibile mantenere il metro della distanza di sicurezza, vorrebbe dire lasciar sprofondare queste persone nell’isolamento, nel buio e nel silenzio.

«Non facciamo mancare il contatto fisico, sarebbe impossibile. Ovviamente indossiamo le mascherine e usiamo tutte le precauzioni del caso. Ma dobbiamo far sentire la nostra presenza, guidarli, sostenerli nelle autonomie…», spiega Vittoria. Agli ospiti del Centro di Modena mancano le famiglie e mancano i volontari: «Ai genitori mandiamo foto e video delle attività, abbiamo registrato un video con gli auguri di Pasqua, ci sono dei volontari che chiacchierano al telefono con gli utenti che hanno un residuo uditivo. Facciamo molte passeggiate in cortile, stiamo piantando il basilico e altri aromi… Ma molte delle attività a cui siamo abituati, non si possono fare. Una persona mi ha chiesto “Quando si torna al ristorante?”: lo hanno capito tutti che siamo in una situazione eccezionale».

Non facciamo mancare il contatto fisico, sarebbe impossibile. Ovviamente indossiamo le mascherine e usiamo tutte le precauzioni del caso. Ma dobbiamo far sentire la nostra presenza, guidarli, sostenerli nelle autonomie…

Vittoria Stucci, responsabile educativo del Centro di Modena

Da Osimo (AN), dove la Lega del Filo d’Oro ha la sua sede storica e il Centro Nazionale, l’educatrice Alessia Magnani racconta di come abbiano accompagnato le persone a familiarizzare con le mascherine. «Non è scontato che una persona con una disabilità complessa comprenda e accetti l’uso delle mascherine. Abbiamo cercato di spiegare che c’è il rischio di una malattia, i concetti che hanno a che fare con il medico e con l’area sanitaria sono piuttosto comprensibili ai nostri ospiti, che sono abituati a frequentare ambulatori. Abbiamo fatto toccare la mascherina, l’abbiamo indossata noi e ci siamo fatti esplorare il viso. Poi abbiamo provato a farla indossare a loro, cominciando in forma di gioco, per tempi brevi… Abbiamo una trentina di ospiti al Centro, solo due non riescono ancora a sopportarla», dice Alessia.

All’interno del Centro la mascherina è diventata così un oggetto familiare, che fa parte di una nuova routine. Per non farsi trovare impreparati dinanzi a un eventuale ricovero, per tutti gli ospiti della Lega del Filo d’Oro è stata redatta una “scheda informativa”: «poche voci per presentare ogni persona, con le sue caratteristiche, visto che non sono in grado di parlare da soli: quale canale utilizzano per comunicare, quali sono le loro autonomie, come mangiano, ma anche i loro interessi, per cosa ogni persona si agita e come si tranquillizza… Cerchiamo di farli stare bene, dando informazioni a chi non li conosce», conclude Alessia.

Rosa Francioli è una mamma. Suo figlio si chiama Andrea, quest’anno farà 43 anni. Dal 1989 Andrea frequenta la Lega del Filo d’Oro, che – ha detto più volte Rosa – «mi ha regalato un figlio che non sapevo di avere». Nel 2013 Andrea è entrato al Centro residenziale di Molfetta, ma ogni weekend torna a casa. Fino al Coronavirus. Da inizio marzo Andrea è al Centro e Rosa non ha più potuto andare a trovarlo. «Cosa sto pensando? Che non vedo mio figlio da settimane e non so quando potrò riabbracciarlo. Che non so se la sua salute sia più tutelata a casa, soltanto con me oppure al Centro a contatto con tante persone. Che non so quanto reggerà lui al fatto che non può tornare a casa ma non so nemmeno quanto reggerebbe lui se lo portassi a casa, a restare chiuso tra quattro mura a fare nulla e da solo con me. Non so se, portandolo a casa, avrei la forza per far fronte, da sola, ai suoi bisogni infiniti, per chissà quanto tempo. Non so se lui sia in grado di capire la drammaticità di questa situazione e non si senta abbandonato da me», ha scritto in un post. «Sto pensando che non trovo neanche una risposta fuori e dentro di me a tutti questi dubbi. Mi sento impotente… L'unico pensiero positivo che anima il mio cuore è per coloro che si stanno prendendo cura di lui, offrendogli attenzioni, opportunità e spazi che io non sono in grado di offrirgli. A tutti loro va il mio immenso grazie. Abbiate cura di voi e abbracciate Andrea per me».

A distanza di qualche giorno, Rosa ripete ogni parola: «Sono mie ma non solo. Sono le parole di tante mamme, che come me in questo momento provano preoccupazione e insieme gratitudine. Vivere in comunità presenta dei rischi, lo sappiamo, ma d’altra parte noi genitori siamo consapevoli che negli spazi di casa, contando sulle sole nostre forze, per un periodo di tempo lungo… sarebbe difficile da gestire. Pensavo che lo scombussolamento della routine avrebbe causato problemi, invece ancora una volta i nostri figli ci stanno sorprendendo. Andrea l’ho visto anche ieri, con una videochiamata, è tranquillo, ha capito che se non sta tornando a casa non è per volontà mia. Il fatto che la Lega del Filo d’Oro abbia sempre puntato su spazi ampi e su un rapporto così elevato fra operatori e utenti sta giocando molto a nostro favore».

Sto pensando che non trovo neanche una risposta fuori e dentro di me a tutti questi dubbi. Mi sento impotente… L'unico pensiero positivo che anima il mio cuore è per coloro che si stanno prendendo cura di lui

Rosa Francioli, mamma di Andrea e Presidente del Comitato dei Familiari

Proprio a Molfetta lavora Pino Modugno. È il coordinatore dei Servizi Territoriali della sede pugliese, che in questo momento sono sospesi, in osservanza dei decreti ministeriali. Con i Servizi territoriali la Lega del Filo d’Oro si fa punto di riferimento per le persone con una pluridisabilità psicosensoriale che vivono in famiglia, in una prossimità che cerca di raggiungere più persone possibile, là dove esse sono. Con le sue Sedi e Servizi Territoriali, la Lega del Filo d’Oro è presente in otto regioni – due stanno aprendo a Novara e Pisa – supportando oltre 600 utenti e le loro famiglie. A Molfetta hanno 50 progetti attivi, racconta Pino, ma considerando tutti i contatti, anche quelli più sporadici, si arriva a 90. «L’operatrice territoriale sta dando una mano al Centro Residenziale, io e la collega assistente sociale ci alterniamo per garantire un presidio che le famiglie possono sempre contattare. Stiamo facendo tante videochiamate, proprio per mantenere il contatto e la vicinanza. Stiamo anche collaborando con le insegnanti di sostegno, condividendo materiali e sussidi. I ragazzi stanno bene, sono a casa con chi li ama. Sono le famiglie che iniziano a fare fatica», dice Pino. Le famiglie «hanno bisogno di un supporto relazionale e psicologico e poi iniziano a preoccuparsi dell’impatto di questa lunga sosta sui percorsi riabilitativi ed educativi dei figli. Pensa che noi abbiamo più di una famiglia con due figli seguiti dalla Lega del Filo d’Oro e stanno gestendo tutto… sono straordinarie! Ieri abbiamo fatto un meeting su Skype, con 18 famiglie… È stata una videoconfusione più che una videochiamata… ma è passata tanta gioia!».

I ragazzi stanno bene, sono a casa con chi li ama. Sono le famiglie che iniziano a fare fatica: hanno bisogno di un supporto relazionale e psicologico e iniziano a preoccuparsi dell’impatto di questa lunga sosta sui percorsi riabilitativi ed educativi dei figli

Pino Modugno, coordinatore dei Servizi Territoriali di Molfetta

Pino ha una riflessione molto forte per questi giorni così difficili. «Non possiamo aumentare l’isolamento chi viveva già in condizioni di isolamento. Non è il momento di fare un passo indietro, ma di fare un passo avanti. Non è una metafora. Come Lega del Filo d’Oro ci sentiamo chiamati a fare qualcosa in più, a essere ancora più vicini, a fare sentire la nostra presenza. Dobbiamo esserci. Con tutte le protezioni del caso, ma esserci. Per i nostri ragazzi e per le famiglie. Non è il momento di ripartire, perché ripartire come prima è impossibile. È il momento invece di ricominciare, con un percorso nuovo. Dobbiamo inventarci qualcosa. Come diceva Sabina, “avanti e buon coraggio, senza mai tirarsi indietro”».

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