«Se ho qualche passione? Da giovane ho fatto un po’ di pallanuoto, in serie C, ma da anni direi che la mia unica passione è il volontariato in Pubblica assistenza: ancora oggi faccio i mie turni di soccorritore con grande piacere». Niccolò Mancini, classe 1977, fiorentino, risponde così al cronista che gli chiede qualche informazione in più, per disegnare il suo ritratto di nuovo presidente dell’Associazione nazionale pubbliche assistenze – Anpas. Lo ha infatti scelto, il 5 dicembre scorso, il Consiglio nazionale, dopo che era risultato il più votato dai delegati del 54mo congresso nazionale, svoltosi a Roma il 27 novembre. Tecnico forense del Tribunale di Firenze, Mancini è il presidente della Fratellanza militare, pubblica assistenza fondata alla fine dell’800.
Mancini lei si accinge a guidare un movimento vasto – 100mila volontari, oltre 500mila soci e 950 pubbliche assistenze in tutta Italia – qual è il suo stato d’animo rispetto a questa responsabilità? Abbiamo letto, nelle ore successive all’elezione, un messaggio via Twitter, appassionato, quasi emozionato, rivolto a tutti i volontari.
Sì un messaggio di genuina emozione rispetto a questo incarico. Emozione che non deriva solo dalla nuova funzione ma dall’idea che, ormai da 27 anni, mi porto dietro e cioè che proprio attraverso la partecipazione della persona, del singolo, espressa anche nelle nostre organizzazioni, si possa davvero far qualcosa di buono per migliorare, per procedere verso una società un po’ più giusta. L’idea, insomma, delle nostre comunità di volontari. Quindi…
Quindi?
Quindi che la mia prima uscita, proprio nell’imminenza della nomina, rivolta ai volontari e alle volontarie, ai soci e alle socie, delle pubbliche assistenze, è stata l’azione più naturale che potesse venire da parte mia, perché il mio percorso nasce nel 96, dentro una pubblica assistenza fiorentina. Lì sono cresciuto con, diciamo tutti i vari passaggi da giovane volontario.
Ecco, che giovane volontario era Niccolò Mancini?
Un post adolescente che si imbatteva in questa realtà importante, bella, di aggregazione, di impatto sociale. Un’esperienza che poi è maturata e, passaggio dopo passaggio, mi ha portato oggi ad avere questa questo grande riconoscimento, questo gesto di fiducia prima di tutto, da parte di tutti i volontari e di tutte le pubbliche assistenze.
Infatti al Congresso, lei già era il delegato più votato…
Sì abbiamo celebrato a Roma il nostro 54esimo Congresso ed è stata una un’esperienza molto bella, anche perché si è voluta dare una netta apertura. Non solo cioè discutere delle cose strettamente collegate al movimento, ad Anpas, ma aprendoci al mondo del Terzo settore in senso più ampio: è stato davvero un momento di partecipazione, di grande accrescimento. E poi sì, si è passati alle incombenze istituzionali che mi hanno visto uscire – con molta soddisfazione – come uno dei candidati al Consiglio nazionale col maggior numero di preferenze da parte de delegati.
Da giovane volontario a presidente. Ma stiamo ancora sul passato: cosa la spingeva a diventare soccorritore, ad avvicinarsi alla pubblica assistenza. Quale molla scattava?
È una domanda che mi fa sorridere, le confesso, perché ovviamente, nel corso di quasi 30 anni, tante cose cambiano. Le motivazioni che però io ricordo all’epoca erano legate, da un lato, alla sensibilità che mi portavo dietro, a quel non poter pensare a una vita dedicata solo a se stessi, all’idea di dover esprimere un mio qualche contributo. E c’era anche la voglia anche di entrare in contatto con altre persone, con la comunità territoriale.
La Fratellanza militare le offriva tutto questo?
La grande forza attrattiva, che quelle e tutte le associazioni di pubblica assistenza sul territorio esercitavano in me allora, stava nell’essere proprio luogo di incontro, di scambio di idee, di conoscenza con altre persone e poi, parallelamente, anche nell’affrontare temi importanti, delicati, di poter condividere con altri proprio impegni più importanti, più strutturati
Del suo iniziale impegno, c’è una figura di volontario più anziano, di dirigente che lei ricordi, che l’abbia colpita cioè nel modo di affrontare problemi, le incombenze?
Ci sono figure che ho conosciuto e che mi hanno colpito dai primi minuti in cui ho aperto la porta di quella associazione per presentare la mia domanda da socio-volontario. Persone che mi hanno accompagnato in questi anni e che rappresentano tutt’oggi una costanza di impegno, di passione, di convinzione di responsabilità individuale e sociale, senza pari. Sono tante, quindi difficile, difficilissimo fare un nome, sono stati tanti davvero. Ma li ringrazio tutti.
Ricordavamo il suo impegno di giovane volontario. Dalle foto che arrivano dalle vostre esercitazioni, se ne vedono molti, di giovani, con le tute arancioni e con la croce Anpas sulla schiena. Quello dell’avvicinare le giovani generazioni è però un tema sensibile per tutto il Terzo settore, perché talvolta è una difficoltà. Che idea si è fatto?
Avvicinare i giovani è cosa, oserei dire, fondamentale. È stato anche un tema e una linea di sviluppo licenziati dal Congresso, con l’idea e la volontà ferma e che ci debba essere uno sforzo sempre più forte nel cercare di coinvolge in questa esperienza di giovani. E bisogna farlo, mi permetto di aggiungere, con una caratteristica peculiare.
Ossia?
Ossia che, quando si parla di coinvolgimento dei giovani, non si debba solo pensare ad avvicinarli ma lasciando poi che la loro esperienza maturi lì, in maniera un po’ autonoma…
Cioè bisogna pensare a un protagonismo dei giovani volontari?
Esattamente. Nell’ottica che ci siamo dati, i giovnai debbono essere coinvolti attivamente e non lasciati ai margini, anche delle esperienze di dirigenza delle associazioni, nel cuore del problema, perché ciò che matura dall’incontro tra l’esperienza e l’apporto innovativo e una mente libera, sgombra e propositiva, che ha voglia di fare, è qualcosa di insostituibile.
Al Congresso avete parlato anche di riforma di Terzo settore e di Servizio civile ma c’è un altro tema, di grande attualità, che lei vorrei sottoporre: è quello della crisi energetica, che mette in difficoltà tutto il trasporto socio-sanitario, a fronte di rimborsi regionali, fermi da anni.
Sono tre temi importanti e parimenti delicati per aspetti diversi. La riforma del Terzo settore è un passaggio epocale, col quale ci stiamo confrontando ormai da anni e che, ovviamente, necessita di una stabilizzazione, nel senso che abbiamo bisogno che questa riforma sia compiuta in tutti i suoi aspetti e che ci sia una omogeneità, anche da un punto di vista delle interpretazioni, da parte degli uffici centrali e locali, di norme, procedure, documenti da produrre e via dicendo.
Il Servizio civile invece?
È uno strumento importante, di cultura e di consapevolezza, col quale si intercettano giovani, ai quali, oltre a dare un’opportunità, a fornire competenze, si instilla in qualche modo il germe di quella responsabilita sociale, perché si pongono a contatto coi bisogni. Una responsabilità che poi farà parte dell’esistenza di quelle persone, come cittadini. Quindi stabilizzare il Servizio civile in termini di finanziamenti, di posti, di progettualità è fondamentale. E a questo riguardo, vorrei sottolineare un aspetto.
Prego.
Durante l’esperienza drammatica della pandemia mi ha colpito la volontà di tanti di questi giovani, quando sono stati posti di fronte alla possibilità di sospendere, per ovvie ragioni, il loro servizio o, viceversa, di restare. Bene, da noi, una grande percentuale ha scelto consapevolmente di andare avanti e di continuare nelle attività di servizio. Credo sia la più grande riprova della profonda importanza di questa esperienza, per per il nostro Paese e per i nostri giovani.
La pace è il tappeto su cui si costruisce tutto. Sono dell’idea che si debba sempre arrivare a un confronto adulto, diplomatico, forte, serrato per costruirla la pace. Nel Dna delle Pubbliche assistenze c’è anche aver vissuto i diversi dopoguerra e capito quali voragini gigantesche i conflitti creano per i bisogni, primari e quotidiani delle persone.
Resta il tema delle tariffe per il trasporto socio-sanitario…
Si tratta di una questione delicata, perché è un momento in cui occorre responsabilità da parte di tutti e i nostri sistemi socio-sanitari regionali sono spesso stressati dalle grandi fatiche e dai grandi costi degli anni pandemici. Da parte nostra, c’è però la ferma consapevolezza che tutto vada a incidere sui cittadini che hanno, a loro volta, necessità specifiche. E questo lo dobbiamo ricordare a tutti.
Al Congresso avete parlato anche di pace e questo ci riporta a quanto lei diceva all’inizio e cioè all’idea di un volontariato che si concepisce dentro un tentativo di rendere un po’ migliore il mondo. Che effetto fa parlare di pace per chi, come lei, è presidente una pubblica assistenza fondata, a fine ‘800, dai reduci delle Guerre di Indipendenza e per i quali la pace non era certo un’astrazione?
La pace è il tappeto su cui si costruisce tutto. Sono dell’idea che si debba sempre arrivare a un confronto adulto, diplomatico, forte, serrato per costruirla la pace. Credo che non si possa mai venire meno rispetto a questa idea di pace. Che si tratti della fine di una guerra o di una grande vessazione. Nel Dna delle Pubbliche assistenze, come lei ricordava, c’è anche aver vissuto i diversi dopoguerra e aver capito quali voragini gigantesche i conflitti creano per i bisogni, primari e quotidiani delle persone.
Presidente, appena arrivato, una “grana” da gestire: un servizio de Le Iene mette sotto accusa una pubblica assistenza ligure, per la gestione dei volontari. Che cosa ha pensato?
Che qualsiasi episodio di quel tipo suscita profondo dispiacere e come, d’altra parte, non possa essere rapportato, in alcun modo, all’impegno enorme, ultra secolare, che i volontari di Anpas e i volontari in genere promuovono ogni giorno. Ogni forma di irregolarità va eradicata, e Anpas è disponibile al a fornire ogni tipo di supporto alle autorità competenti laddove, ovviamente, sarà confermata.
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