«La prima parte della vita è “sopravvivere” all’infanzia. La seconda parte della vita è (cercare di) diventare sé stessi». Arriva a pagina 170 la frase che condensa tutto il senso del nuovo libro di Daniele Novara, Non sarò la tua copia (edizioni Bur, in libreria dal 6 febbraio). Un titolo intrigante e un sottotitolo ancor più promettente, «liberarsi dai pesi dell’infanzia per costruire la vita che desideriamo», per un pedagogista che – usando le parole di Kafka e di Morricone insieme a quelle dei dialoghi con tante persone che ha seguito – ci fa capire che l’educazione è questione di tutta una vita.
Novara, quanti sono gli adulti “bloccati” dai nodi irrisolti della loro infanzia?
La grandissima maggioranza delle persone adulte non ha solo dei nodi irrisolti con la propria infanzia, ma ha dei veri e propri inceppamenti. Se le persone si occupassero maggiormente della propria infanzia starebbero meglio e sarebbero più felici. Però attenzione: non si tratta tanto di guardare indietro, di lagnarsi, di usare ciò che abbiamo vissuto come alibi… quanto di fare il sorpasso. Non per niente io uso la metafora dello specchietto retrovisore: il guardare indietro serve per andare avanti e superare i blocchi educativi ricevuti nell’infanzia. È un atto liberatorio, un’occasione di crescita per prenderci cura di noi stessi e della nostra autenticità. Tante persone invece si rifiutano di guardare indietro e di riflesso tante altre non conoscono nemmeno l’infanzia del proprio partner: questo è un vero e proprio attentato all’alleanza educativa tra genitori.
Uso la metafora dello specchietto retrovisore: il guardare indietro serve per andare avanti. È un atto liberatorio, un’occasione di crescita per prenderci cura di noi stessi
Nei giorni scorsi Jannik Sinner ha ringraziato i suoi genitori per la libertà che gli hanno lasciato di essere se stesso. Questo ha a che fare con il “non essere la copia dei propri genitori” che è al centro del suo libro?
Io ho dei dubbi su questa retorica della libertà di scelta… Ma qualcuno crede davvero per esempio che un ragazzino di terza media, che ha appena compiuto 13 anni, sia libero di scegliere la scuola superiore grazie al percorso di orientamento che si fa a scuola? Io non ci credo. Il ragazzo è all’interno di una cornice molto ben definita dalla sua famiglia. Nel mio caso, per esempio, mio padre non voleva che facessi il liceo scientifico perché lui aveva il pallino dei soldi però moltissimi anni dopo ho scoperto che questa scelta era fortissimamente legittimata da mia madre, che molto avanti con gli anni mi ha confessato che il suo sogno era fare la maestra, senza che io l’avessi mai saputo. Allora diciamo che Sinner è un grandissimo tennista, ma che non possiamo aspettarci da Sinner delle lezioni di pedagogia. Quello che voglio dire è che da adulto, una volta che hai preso consapevolezza di quello che è stato il tuo copione educativo, che cosa fai? O ti lagni o conformisticamente stai lì dentro il tuo copione educativo o scegli la tua strada, per gradi, tenendo il meglio. Il mio punto di arrivo è dire alle persone che ognuno ha la possibilità di sentire che “sei libero di imparare quello che vuoi”, non devi per forza restare a quello che in maniera più o meno subdola ti hanno propinato i tuoi genitori.
Mi pare di capire che nell’obiettivo di “essere libero di imparare quel che vuoi” l’accento non stia tanto sul “libero” ma sulla possibilità di “imparare”.
Esatto, la parola chiave è continuare tutta la vita e imparare, continuare a rivedere i nodi che ti vincolano alla tua infanzia e scioglierli e capire che quando hai risolto un nodo hai la possibilità di imparare qualcosa qualcosa di nuovo, cioè hai la possibilità di scoprire qualcosa di più di te e di quello che desideri essere. Dobbiamo un po’ anche toglierci questo alibi del passato, quelli che si lagnano non non mi entusiasmo. Per carità, c’è chi ha avuto delle situazioni fortissimamente traumatiche, ma questo aver subito un danno non lo legittima a fare a sua volta delle cose traumatiche verso gli altri. Ricorderà il film Il danno con Jeremy Irons e Juliette Binoche: non è questo il mood. Abbiamo viceversa una responsabilità verso la nostra infanzia, verso la nostra storia, proprio perché non diventi una minaccia per noi oggi e per chi ci sta ci sta attorno. Ognuno deve prendersi cura di se stesso, questo è il tema. È un tema di cura della propria crescita personale.
Sei libero di imparare quello che vuoi, non devi per forza restare a quello che in maniera più o meno subdola ti hanno propinato i tuoi genitori. La parola chiave è imparare, per tutta la vita
Che cos’è il copione educativo? È la “gabbia” delle aspettative che un genitore ha verso i propri figli o qualcos’altro?
Una cosa è l’educazione ricevuta, un’altra è il copione educativo. Sono due cose diverse. Per spiegare la differenza mi piace usare una metafora: la prima è come un tessuto ancora senza forma, il copione educativo rappresenta l’abito che si crea con questo tessuto. Detto in modo ancora più semplice, l’educazione ricevuta è un minestrone che tiene dentro tutto (i genitori, la scuola, i preti, gli amici), il copione educativo è il passaggio del tessuto al vestito e quello principalmente ha a che fare con i genitori: è il desiderio implicito più che esplicito dei genitori – specialmente della mamma – che assume una “dominanza” educativa. Nel copione educativo si trova un nucleo di imprinting psico-etico-antropologico, che dà vita a determinate versioni operative: per esempio il nucleo di imprinting dei soldi, del sacrificio, della bellezza, della disponibilità, del riscatto familiare… Essere dentro un copione educativo è inevitabile, fa parte della vita stessa e rappresenta la conferma che comunque sei stato educato. Il libro guida il lettore, anche con alcune “attività” alla comprensione e alla consapevolezza dell’educazione ricevuta ma ancora di più del proprio copione educativo, per scoprire dentro quale copione educativo è stato collocato dai suoi genitori e come l’ha utilizzato. Perché per evitare di «fare la vita degli altri» occorre dialogare con questa educazione ricevuta e creare una svolta. Il proprio copione educativo uno può semplicemente subirlo oppure può provare a ribellarsene in maniera speculare (a volte senza in realtà ottenere granché come ha raccontato Ennio Morricone nel documentario del regista Tornatore) oppure può padroneggiarlo consapevolmente, per essere se stesso. Nel concetto di “liberazione” dal proprio copione educativo c’è un concetto di padronanza di sé.
Abbiamo una responsabilità verso la nostra infanzia, verso la nostra storia, proprio perché non diventi una minaccia per noi oggi e per chi ci sta ci sta attorno
Quanto è forte quel grido “Non sarò mai come te?” rivolto da un adulto a un genitore? Il copione educativo è necessariamente qualcosa a cui ribellarsi, da cui prendere le distanze?
Qualsiasi genitore “lasca il segno”, è nella natura del genitore lasciare il segno. A maggior ragione oggi che avere un figlio è una scelta intenzionale precisa. Anzi, direi che è assolutamente necessario che un genitore abbia un desiderio per i propri figli, perché come diceva Danilo Dolci ognuno cresce solo se sognato. Il punto è quando questi desideri diventano pretese, copioni educativi, cioè un vestito in qualche modo già confezionato.
È assolutamente necessario che un genitore abbia un desiderio per i propri figli: come diceva Danilo Dolci ognuno cresce solo se sognato. Il punto è quando questi desideri diventano pretese
Qual è stato il suo copione educativo?
A lungo ho pensato che la mia passione pedagogica e scolastica provenisse da mia zia Pina, classe 1899, che in una genealogia totalmente contadina come la mia era l’unica ad aver avuto il privilegio di fare la maestra. Invece a un certo punto ho scoperto che fare la maestra era il desiderio non coltivato di mia madre. Nonostante per tutta la vita io sia stato in conflitto pesantissimo con mia madre e lei con la sua, quel suo desiderio è diventato per me un copione educativo, cioè qualcosa di molto molto operativo. Io francamente, fosse stato per me, penso che avrei lavorato in campo artistico non in campo pedagogico: di mio ho una passione spasmodica per il cinema… Ecco il fatto che adoro fare le mie serate pedagogiche in teatro, il capire qual è il ritmo, quando è il momento della battuta è il modo in cui io ho lavorato sul mio copione educativo. Un altro esempio che prima o poi dovrò raccontare prima è che io ho avuto una famiglia estremamente conflittuale: c’erano i conflitti tra mia madre e mia nonna (cioè sua madre) e i conflitti terribili fra mio padre e mia madre: avrei potuto io stesso continuare a confliggere male per tutta la vita e invece viceversa ho costruito un metodo per litigare bene. Il mio copione educativo è diventato una matrice di apprendimento e non un destino reclusivo.
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E il copione educativo ereditato da sua padre?
Molto semplice: “Rangiat”. In dialetto significa “arrangiati”. Ho effettivamente sempre fatto così nella vita, cercando in ogni occasione di arrangiarmi. Trovo un gran piacere nell’attività di squadra, ma comunque per me resta sempre presente la logica dell’arrangiarmi, dell’autonomia. Volente o nolente, mio padre mi ha lasciato una precisa consegna.
Ci sono dei copioni educativi “tipici” del nostro tempo?
Il copione della visibilità è uno dei copioni prevalenti che i genitori di oggi, in un contesto molto narcisistico, consegnano ai loro figli, insieme a quello della bellezza. La storia di Chiara Ferragni è significativa perché la madre Marina Di Guardo, scrittrice, ha sempre ricordato nelle sue interviste che era una figlia invisibile, con un padre che non la vedeva. Ecco che sua figlia – non a caso – l’ha riscattata abbondantemente in visibilità.
Il copione della visibilità è uno dei copioni prevalenti che i genitori di oggi consegnano ai loro figli. Come per Chiara Ferragni
Pesa di più il copione educativo della madre o del padre?
Della madre, assolutamente, non c’è partita. Ho parlato tante volte della profonda crisi dei maschi, oggi, in educazione. I padri devono essere sostenuti e incoraggiati. È un compito comune quello di liberarci dal patriarcato, ma non ci si libera del patriarcato trasformando il padre dei tuoi figli in un papà peluche.
Prima diceva di quanto sia pericoloso, in una coppia, il fatto di ignorare l’infanzia uno dell’altro: perché?
È un attentato alla coppia, prima ancora che all’alleanza educativa dei due genitori. L’altro aspetto è che tanti genitori mi dicono “preferisco educarlo io mio figlio, perché lui/lei ha avuto dei genitori pessimi”. Ma ti accorgi solo adesso che lui/lei ha dei genitori pessimi e che la sua educazione per te ora pesa al punto che non gli consenti di toccare i tuoi figli, che sono anche suoi? Questo è un problema basilare di cui non si parla mai: se si decide di mettere al mondi dei figli, l’alleanza la si fa nella coppia. Purtroppo tanti genitori mantengono l’alleanza originaria coi propri genitori invece che col proprio partner e questo crea delle discussioni enormi. Quando si diventa genitori si passa da una dimensione di cura della propria infanzia nella coppia a una dimensione di cura dei figli che vivono l’infanzia: quando questo avviene è un processo meraviglioso e anche estremamente creativo perché offriamo ai figli una possibilità in parte già liberata dalle catene più o meno negative che ci portiamo dietro.
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