«A Stigliano tutti mi conoscono come il figlio del Sindaco, nei paesi non è sempre un aiuto, anzi: moltiplica per cento la diffidenza e l’invidia che già normalmente paralizza queste piccolissime realtà». Questa è la cauta premessa con cui si presenta Pietro Micucci, 30 anni. È il suo modo per mettere subito in chiaro che ci stiamo avventurando su un terreno minato, a metà tra l’amore incondizionato per la sua terra – che lui definisce “amore morboso” – e il dolore per alcune ferite ancora aperte, di quelle affilate e dirette, che conoscono bene quelli che ci provano per davvero a vivere nei piccoli paesi, al di là dei facili romanticismi. «Ci conosciamo tutti e per definizione non può accadere nulla di nuovo, anche quando ci provi a capovolgere le cose, qua già sanno come va a finire, o almeno è quello che molti credono». È facile capire cosa intende Pietro se si considera che Stigliano, paese sulla montagna materana, fu il primo capoluogo lucano, è il quinto comune più grande per estensione territoriale ed è ancora vivo il ricordo di quando era uno dei paesi più dinamici della Basilicata, sul piano imprenditoriale e culturale. Sono passati solo 60 anni. Allora Stigliano sfiorava i diecimila abitanti, oggi sono meno di un terzo: un esodo velocissimo e impietoso in cui molti riconoscono il trailer di quello che sta accadendo in tutta la regione.
Pietro è ritornato a Stigliano dopo alcuni anni a Milano, dove ha frequentato l’Accademia di comunicazione, si è specializzato in art direction e advertising. Ha lavorato in Marocco, Egitto, Tanzania, Montenegro… ma non ha saputo resistere al richiamo della sua terra ed è tornato “al paese”: «più frequentavo il resto del mondo più mi rendevo conto che il futuro non era lì, ma nei paesi, nella vita che avevo lasciato – continua Pietro – La gente è stanca dei ritmi delle grandi città, efficientismo e consumismo iniziano a lasciare il posto alla ricerca di una vita più connessa alla natura e al senso di appartenenza ad una comunità».
Francomario, i suoi cani e la passione per il tartufo bianco della Basilicata
Così da qualche anno Pietro ha iniziato a documentare con la sua videocamera le storie di alcuni coetanei (e non solo) che come lui hanno deciso di tornare in Basilicata per riconnettere le loro vite ai cicli della natura. È nato il progetto Ecolongevo che ora porta avanti con il Gal (Gruppo di Azione Locale) Lucania Interiore. Tra le sue storie preferite c’è quella burrascosa di Mario, che conosce tutti i luoghi più impervi dove cresce il migliore origano selvatico della zona. Non troppo diversa dalla storia di Francomario, che dopo aver girato letteralmente tutto il mondo, è tornato in Basilicata per dedicarsi al preziosissimo tartufo bianco lucano. E poi c’è lui, Angelo, e il suo atto di amore e pazzia per la Basilicata: appena trentenne ha creato dal nulla il suo allevamento di mucche podoliche, ora ne ha circa 40, una razza tipica lucana che ora sta scomparendo. Le podoliche vivono solo allo stato brado, di probabile origine ucraina furono portate in Basilicata per la loro incredibile forza e agilità, due doti indispensabili per il pascolo negli impervi territori lucani. È facile intuire perché stiano sparendo, è meno scontato capire cosa possa spingere un giovane ad aprire oggi un allevamento di podoliche: basti sapere che la carne podolica è soda, di quelle che vanno masticate a lungo, non per tutti i palati, insomma; il latte invece è pochissimo «solo quello che riesco a rubare al vitello durante l’allattamento nel mese di giugno» tiene a precisare Angelo, e di un colore – poi – ben lontano dai bianchi immacolati che siamo abituati a trovare nei frigoriferi dei supermercati. Si riesce a vendere bene solo l’incredibile formaggio, contiene tutti gli odori dei campi aspri e duri della Basilicata, una bontà commovente «ma da solo non basta a coprire tutti i costi».
Angelo guida la transumanza con un pastore del posto
Angelo, Mario, Francomario, sono solo alcuni dei protagonisti di un riscatto lento e silenzioso in Basilicata, quello di una memoria che sembrava morta e invece torna viva nelle storie che Ecolongevo prova a raccogliere. Dall’idea di Pietro sta per nascere anche una Scuola della longevità, a Guardia Perticara (550 abitanti), per provare a riaccendere la curiosità delle giovani generazioni sulle memorie orali e sul patrimonio immateriale, che ha in pochi anziani, ormai, i suoi ultimi testimoni. Una scuola per aiutare le persone a riconnettersi alla stagionalità del tempo, nella speranza così di incentivare la nascita di altre storie, come quelle raccontate.
Ma non basta! Angelo, Mario, fossero anche altri cento come loro, da soli non sarebbero in grado di invertire la Storia, che corre più veloce di loro e rischia di lasciarli a retroguardia romantica di un futuro già scritto, quello dello spopolamento. La cura per i paesi che ha in mente Pietro, invece, prevede terapie in dosi ben più importanti. Ma ogni terapia ha bisogno di medici e ospedali, è così che prende vita il primo “Centro sperimentale per la cura dei paesi”, a cui possono rivolgersi amministratori e giovani attivisti di paesi sofferenti. L’idea della Clinica dei paesi è nata durante il Covid «guardavo mio padre, lo seguivo nelle sue battaglie per la comunità stiglianese. Guardandolo capivo sempre di più come ragiona un sindaco, misuravo così la solitudine degli amministratori locali – ci racconta Pietro – mio padre mi coinvolge spesso nelle sue decisioni, vuole sapere cosa ne penso e come risolverei io alcuni problemi, ci confrontiamo tantissimo, ho imparato tanto, soprattutto ho capito cosa serve agli amministratori per non far morire il coraggio e la loro capacità di visione, dietro lo stillicidio dei numeri impietosi con cui devono confrontarsi ogni giorno». Negli anni del Covid il linguaggio tipico del mondo sanitario è entrato nelle case di tutti, vocaboli e teorie che solo qualche mese prima avremmo considerato astruse e indecifrabili sono diventati immediatamente familiari. Per questo Pietro ha deciso di adottare per il suo progetto il tema della cura e le immagini offerte dal mondo sanitario, per leggere e provare riprogrammare le sorti delle aree interne.
I paesi possono curare il mondo, ma prima hanno bisogno di essere curati, le nostre comunità non devono essere comunità del rancore, ma comunità di premura: ci vuole un ospedale per riparare i paesi, rimetterli in forma, allenarli e prepararli a giocare una bellissima partita, la partita dei paesi
Franco Arminio, poeta e paesologo
Nella sua Clinica dei paesi ci sono medici strutturati e specialisti esterni che vengono interpellati tutte le volte che un paese lo richieda. Tra i medici strutturati c’è un progettista culturale, Alessandro Turco, e tre architetti: Rossella Laera, Mara Manicone e Roberto Pedone. Uno dei primi supporter della Clinica è stato Franco Arminio, poeta e paesologo che in Basilicata già dirige il Festival della paesologia, La luna e i calanchi, nella vicina Aliano, giunto alla dodicesima edizione.
Non c’è solo la Basilicata negli orizzonti della Clinica, nel mese di agosto è stata inviata la prima Cartella clinica ad un paziente in Trentino-Alto Adige, un piccolo paese di 800 abitanti, che per ragioni di privacy sanitaria – neanche a dirlo – ancora non si può menzionare. Sarà questo il primo modello di turismo sanitario all’inverso che porta pazienti del Nord al Sud? Ce lo auguriamo tutti. Ma nel frattempo, come ogni clinica che si rispetti, si inizia a lavorare alle prime pubblicazioni con i “casi” più interessanti da condividere con la comunità scientifica. Tra questi ovviamente il primo è proprio Stigliano e il suo festival di arte pubblica “Appartengo”, primo esperimento del gruppo di amici capeggiati da Pietro, di rigenerazione del territorio. Ha ospitato tantissime residenze artistiche e fatto del piccolo paese lucano un museo a cielo aperto che continua ad attrarre appassionati durante tutto l’anno. Progetto supportato (tra gli altri) da Sky Arte, raccontato su diverse testate internazionali, oggi conta circa duecento paesi che si sono candidati per poter ospitare una delle prossime edizioni.
Presto la Clinica dei paesi avrà una vera e propria struttura a disposizione, con tanto di reparti e sale operatorie. Per ora invece i medici dei paesi stanno allestendo un fantastico laboratorio mobile, un camper riadattato alle esigenze cliniche. In chiusura Pietro ci regala un’anticipazione «appena ultimato l’allestimento partiremo con il Camper della prevenzione: un tour con i nostri medici in sei piazze italiane, per promuovere la cura dei paesi. Offriremo ad amministratori e attivisti la possibilità di sottoporre i loro paesi ai nostri esami di laboratorio, uno screening accurato che fa sorridere, ma soprattutto – lo speriamo – fa tornare a voler bene ai paesi».
Tutte le foto sono di Pietro Micucci (in copertina), l’ultima è di Aruallan, opera di Gonzalo Borondo.
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