Renzo Arbore e Neri Marcoré ancora in coppia nella nuova campagna della Lega del Filo d’Oro, con Marcoré che dà voce allo spot tv e radio e Arbore che ancora una volta si lascia conquistare da uno dei piccoli seguiti dall’Associazione, Sofia, 6 anni appena compiuti. La nuova campagna (qui le immagini del backstage, lo spot sarà diffuso da domani) si intitola “Il tatto, un mondo di sensazioni”, poiché è attraverso il tatto che bambini e adulti sordociechi e pluriminorati psicosensoriali percepiscono il mondo che li circonda. «Non potranno mai vedere chi ha donato il cinque per mille, ma saranno in grado di percepire il calore di questo gesto», spiega Rossano Bartoli, segretario generale dell’Associazione: «negli ultimi dieci anni, il contributo del 5 per mille si è rivelato essenziale per incrementare e migliorare le attività e i servizi offerti». Ma chi è Sofia, la solare protagonista di questa nuova campagna insieme a sua mamma Silvia? Noi l’abbiamo incontrata e come Arbore ne siamo rimasti conquistati. Questa è la sua storia, una delle tante raccolte nel volume “Il codice del cuore”.
Sono onesta, prima di avere Sofia la disabilità mi spaventava moltissimo. Grazie a lei ho capito che non c’è niente di cui aver paura e ora penso che questa cosa vada insegnata anche agli altri. Però siamo noi che dobbiamo mettere gli altri nelle condizioni di non avere paura, non dobbiamo tenere nascosta Sofia ma condividerla perché è una cosa bella. Quando capita che la guardino un po’ così, io mi avvicino e dico: “Ciao, lei è Sofia, vuoi conoscerla?”
Silvia, mamma di Sofia
Silvia, Massimiliano, Andrea, Sofia e Filippo. I quattro nonni. Zia Elena. Anna, la vicina di casa. È una tribù festante quella che mi accoglie a Vallefoglia, tra Pesaro e Urbino, per un’intervista rapidamente evoluta in una cena insieme seguita da una tisana da Anna, la vicina di casa che è un punto di riferimento quotidiano per l’intera famiglia, la prima persona che ormai sei anni fa ha bussato alla loro porta per farsi avanti e dare una mano, una mamma che davanti a qualsiasi difficoltà dice “Si fa tutto!” e che – sottolinea Silvia – «non mi commisera mai». Silvia è così, un vulcano contagioso: «tante volte devo frenarla, perché gli altri non è che siano sempre disponibili a farsi coinvolgere…», mi confiderà poi Massimiliano al momento dei saluti. «È un po’ pazza, spudorata se vuoi. Questo però le ha consentito di arrivare a tanti risultati, quindi… ha ragione lei!».
«Sono onesta, prima di avere Sofia la disabilità mi spaventava moltissimo», esordisce invece Silvia. «Grazie a Sofia ho capito che non c’è niente di cui aver paura e ora penso che questa cosa vada insegnata anche agli altri. Ma siamo noi che dobbiamo mettere gli altri nelle condizioni di non avere paura, metterli a loro agio, dargli la possibilità di scoprire che nella nostra vita e nella vita dei nostri figli ci sono tanti aspetti belli, che non ti aspetti. Siamo noi che dobbiamo preparare il contesto sociale, non dobbiamo tenere nascosta Sofia ma condividerla, perché è una cosa bella. Qui in paese ormai nessuno guarda Sofia come “la disabile”, è Sofia e basta, così com’è. Quando invece siamo in giro e capita che la guardino un po’ così, io mi avvicino e dico: “Ciao, lei è Sofia, vuoi conoscerla?”».
Alle sette di sera, Sofia termina i suoi esercizi e arriva anche per me il momento di conoscerla. È uno scricciolo, tutti le si fanno attorno e come nella danza di un carosello fanno a turno per prenderla in braccio e coccolarsela un po’ e lei ricambia tutti con un sorriso estasiato. La snobba solo Andrea, il gemello, che va avanti a giocare con le macchinine sul tappeto. Fino a poco tempo fa forse l’avrebbe snobbata anche Filippo, il fratellone di 14 anni, ma siccome l’ultima volta che Sofia ha avuto una crisi convulsiva era presente anche lui, ha capito che cosa significa rischiare di perderla ed è diventato un altro.
Una vita mozzafiato
«Tu mi porti su e poi mi lasci cadere… ah che bellezza, ah che dolore, così va la vita così va l’amore», canticchia Silvia. E Massimiliano spiega: «per noi è proprio così, viviamo una vita sulle montagne russe, il nostro umore dipende in tutto e per tutto da Sofia, passiamo da un estremo all’altro in pochissimo tempo ma abbiamo imparato ad apprezzare tutto». A Sofia, appena nata, i medici avevano dato dieci nel test di Apgar, la scala che valuta la valutarne lo stato di salute e la capacità di adattamento del neonato al mondo esterno, più di suo fratello Andrea: nonna Carmen l’aveva immediatamente soprannominata “Schizzo”, tanta era l’attenzione che lei dimostrava. È stata una sepsi contratta in ospedale a danneggiarla, con una cerebrolesione che ha comportato anche un’ipovisione grave, un’ipoacusia bilaterale profonda, uno scoordinamento nei movimenti… «All’inizio ero assolutamente inconsapevole, pensavo “siamo in ospedale, ci guariranno”. Quando ci hanno dimessi, dopo due mesi, sembrava guarita». «Quello è stato il giorno più bello di tutta la mia vita», ricorda nonna Carmen. E nonno Carlo, fra le lacrime, quel giorno disse: «Silvia però a questa bambina però dobbiamo insegnare a ridere».
Silvia, però a questa bambina però dobbiamo insegnare a ridere
Carlo, nonno di Sofia
Massimiliano e Silvia scoprono tutto da soli, piano piano, nel confronto quotidiano fra i due gemellini: «Ogni volta si cadeva e poi ci si tirava su». La loro casa oggi è «un mini pronto soccorso» ma rabbia nei confronti dei medici ormai non ce n’è più, perché «so che nemmeno loro hanno la soluzione per tutto e oggi forse noi conosciamo Sofia meglio di chiunque altro», dice Silvia. «Per tre volte Sofia ha rischiato di morire e noi ogni volta pregavamo dicendo “lasciacela, in qualsiasi modo ma lasciacela”», ricorda Massimiliano, «così quando veniva fuori un problema nuovo mi dicevo “di che ti lamenti? È quello che hai chiesto”. A volte siamo stanchi, ma quando arrivi al limite c’è sempre un punto di svolta, una cosa che ti fa riemergere». Che cosa? «Sofia che ride, un vocalizzo, un ciao… mi resta nell’orecchio e riparto a testa bassa», risponde lei. «Il matrimonio», aggiunge lui, mostrando le foto appese all’ingresso: «Ci siamo sposati in chiesa, ma non eravamo particolarmente credenti. Poi però la vita ci ha fatto sperimentato la forza del matrimonio come sacramento. Abbiamo giurato che saremmo sempre stati insieme, io e lei. E quelle parole le abbiamo rimesse tutte in gioco. Io e lei, nella salute e nella malattia, ci ho pensato tantissime volte, le sento come una forza, non come un vincolo. Sono state una spinta per risalire». Silvia da un anno è catechista in parrocchia: «È stata l’educatrice di Sofia a regalarmi una Bibbia, prima neanche ne avevo una, ora ci tengo a tenerla esposta. Mi sono incuriosita, ci ho preso gusto: la Bibbia è come il kit della vita, c’è la gioia, la paura, la sofferenza, la fragilità. Non hai tutte le risposte, non è che ci si rivolge alla fede perché la vita diventa più facile, però riesci a mettere le cose in un’altra prospettiva, non di risposte ma di senso».
Per tre volte Sofia ha rischiato di morire e noi ogni volta pregavamo dicendo “lasciacela, in qualsiasi modo ma lasciacela”. Così quando veniva fuori un problema nuovo mi dicevo “di che ti lamenti? È quello che hai chiesto”
Massimiliano, papà di Sofia
Il contagio della particolarità
«Sofia ha fatto venire fuori quello che sei tu davvero, ti ha fatta esplodere, stai buttando raggi di te stessa ovunque», si intromette Elena, la sorella di Silvia: lei sta studiano da infermiera, è al secondo anno, «Sofia mi ha aiutato a trovare la mia strada». E aggiunge: «Sofia è stata una scintilla che ha mosso tutto il paese». Silvia in paese ha mosso mari e monti: «Abbiamo ottenuto tante cose, abbiamo trovato tantissima disponibilità ma ho dovuto anche espormi tante volte, chiedere cose che nessuno prima aveva chiesto, nemmeno capisco perché. Se non facciamo in tempo per Sofia, servirà anche a qualcun altro». Il paese così oggi ha un’altalena adatta anche ai bambini con disabilità: «A me non interessa l’altalena speciale da mettere in giardino, la ghettizzazione non la sopporto: l’altalena è di tutti e ci giocano tutti. Sofia deve andare al parco e giocare con tutti, perché Sofia è di tutti, non è solo nostra», dice Silvia. Anche l’asilo si è attrezzato per l’arrivo di Sofia allestendo una stanza insonorizzata e attrezzata, preparata con la consulenza della Lega del Filo d’Oro: ci vanno a piccolo gruppi tutti i bambini, non è la stanza di Sofia, tutti fanno gli stessi giochi, giocano insieme a Sofia così come Sofia può fare. Sofia va a scuola quattro giorni alla settimana e mamma Silvia è entusiasita del grande clima di accoglienza che le insegnanti Anna, Daniela, Elisa e l’educatrice Denise hanno saputo costruire: «Si sono messe molto in gioco, sono andate a Osimo alla “Lega”, osano. Sofia ha un problema di disfagia ma non si sono fatte spaventare, lei mangia a scuola. Hanno insegnato ai bambini come mostrare un oggetto a Sofia, le prendono la mano, quasi quasi i bambini, sena accorgersene, le fanno fare riabilitazione», spiega Silvia. Andare a scuola per Sofia è una grande gioia: per gli altri compagni la sua carrozzina è «il trono», è andata in gita alla fattoria, è stata invitata a tutte le feste di compleanno, per Natale un amichetto le ha regalato una bambola. «È una soddisfazione oggi e una speranza per il futuro, perché magari di questi trenta bambini un paio rimarranno amici di Sofia anche in futuro», confessa Massimiliano.
A me non interessa l’altalena speciale da mettere in giardino, non sopporto la ghettizzazione: l’altalena è di tutti e ci giocano tutti. Sofia deve andare al parco e giocare con tutti, perché Sofia è di tutti, non è solo nostra
Silvia, mamma di Sofia
Fra i tranci di pizza e i resti della pappa di Sofia spunta sul tavolo un computer, nonna Carmen vuole verificare se il video che ha preparato per la mattina dopo è a posto. Andranno entrambe alla scuola media del paese, quella che frequenta Filippo, insieme a una volontaria della Lega del Filo d’Oro. Parleranno della “particolarità”, non della “diversità” di ciascuno, a ragazzi di quell’età in cui sentirsi uguali agli altri fa credere di essere più forti. Un camaleonte si muove sullo schermo, in realtà sono due ballerini dai corpi dipinti: a volte la vista può ingannare. Appare la foto di Sofia sugli sci, «una bambina in carrozzina che quest’inverno ha sciato, perché delle persone hanno saputo guardare da un’altra prospettiva la sua particolarità. Non c’è montagna che non può essere scalata, l’importante è guardare le cose da più prospettive, così da trovare un’altra strada». Quando parlate usate le parole “disabile” o “handicappato”? Forse non sapete che i ragazzi sordi o ciechi aguzzano quei sensi che noi non abbiamo sviluppato, più che sfigati sono forse “supereroi”… Il primo di questi incontri è stato a giugno dell’anno scorso, nella classe di Filippo: «Mamma, devi proprio?», aveva chiesto lui implorante. «Sì, è importante». Temeva che i suoi compagni non capissero, invece per giorni è stato tempestato di sms entusiasti: «non ci è capitata una cosa brutta, forse eravamo noi che non eravamo messi tanto bene, prima», ammette. «La sordità non è una cosa brutta, è come una matita senza punta. La cecità è quasi bella, se chiudi gli occhi senti odore di ciambella», ha scritto Filippo in una poesia.
La sordità non è una cosa brutta, è come una matita senza punta.
La cecità è quasi bella, se chiudi gli occhi senti odore di ciambella.
Credere nei miracoli non è stupidità, a volte il sogno diventa realtà.
Aiutarli è la cosa più bella del mondo, sai quanto è bello con loro fare il girotondo?
L'amicizia con loro è quasi fantasia, è come il vento che ti porta via.
Stare con loro mai ti annoierà e se un giorno lei camminerà
il mio sogno realtà diverrà e comunque un angelo lei per me resterà.Filippo, fratello di Sofia
Si comincia. «Ciao, mi chiamo Silvia e sono mamma di Andrea, Sofia e Filippo. Oggi siamo qui grazie alla nuova vita che ci ha regalato Sofia, perché vi devo dire che la vita è bella e che non c’è vita che non valga la pena di essere vissuta in ogni e ripeto ogni sua forma».
La foto nell'articolo è di Nicolas Tarantino
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