La musica fa parte della sia vita sin da quando era piccolo, anzi se vogliamo essere più precisi già da quando era nella pancia della mamma che cantava gospel in chiesa, mentre il papà viveva la vita a ritmo di afrobeat e reggae.
Inevitabile parlare di talento per Chris Obhei, nome che nella sua lingua di origine, l’Esan, vuol dire “mano dell’angelo” e racconta una vita segnata dalla protezione di qualcosa di superiore che lo ha accompagnato nel suo viaggio sulla terra. Certo, lui ci ha messo del suo, ostinato nel volercela fare a tutti i costi, determinando quella forza che crea sinergia tra destino e autodeterminazione.
Aveva 17 anni Chris quando decise di lasciare la Nigeria per andare a coltivare il suo talento in Europa.
«Sono scappato perchè la dittatura di Muhammadu Buhari non ha mai consentito alcun tipo di libertà – racconta il giovane artista che a Palermo ha trovato la strada per esprimere il suo talento -, figuriamoci potere fare musica. Il mio sogno era viaggiare facendo musica e così mi sono preso di coraggio e sono andato via».
Una partenza, la sua, non certamente su qualche volo di linea, ma come la maggior parte di coloro costretti a cercare una casa dove realizzare i propri sogni, grazie a un barcone.
«Dalla Libia sona arrivato a Lampedusa, poi a Messina quindi a Palermo, non senza affrontare una serie di prove che mi ha fatto capire che sono un ragazzo fortunato. A Tripoli ho lavorato per un po’ di tempo in un autolavaggio, ma sono anche stato preso e sono finito in prigione dove c’erano almeno 500 persone, trattate veramente come animali. Sono rimasto per una sola settimana, ma i miei occhi hanno visto di tutto. C’era chi era detenuto da oltre dieci, uomini e donne insieme, tant’è vero che molti in carcere hanno fatto anche famiglia. Ho mantenuto sempre la calma e, appena ho potuto, ho fatto di tutto per uscire. Lo racconto sempre e dico che la vita vale la pena di essere vissuta con coraggio; lo ripeto sempre a tutti coloro i quali incontro, anche a quelli che si buttano giù pensando di non avere speranze».
Quando Chris parla di fortuna, racconta quello che è stato per lui raggiungere la Sicilia da Tripoli.
«Dopo avere gonfiato noi stessi il gommone che ci doveva trasportare, lo abbiamo caricato sulle nostre teste e ci siamo incamminati verso il mare che andava diventando sempre più profondo. Era anche notte e vedevamo molto poco. Le persone più basse non ce la facevano e andavano giù, io stesso ho rischiato di morire perché non so nuotare, ma la forza della disperazione mi ha fatto trovare un appiglio e sono riemerso. Tutto questo mentre gli arabi sparavano in mare, ovviamente senza curarsi se e chi colpivano. Noi è, poi, immaginabile quel che succede a bordo. Prima eravamo non dico amici ma condividevano la voglia di farcela, sul gommone nessuno conosceva nessuno. Due giorni di viaggio con l’acqua che entrava dentro, la benzina mischiata al sale del mare che ti bruciava la pelle, il doversi guardare da tutto e tutti perché in qualunque momento qualcuno poteva cercare di alleggerire il carico. A un certo punto ho visto un bambino che piangeva, era solo. In un primo momento ho girato la testa dall’altra parte perché avevo paura e volevo pensare solo alla mia vita, poi gli sono andato vicino e l’ho perso in braccio. Era freddissimo, se avessi aspettato ancora un poco sarebbe morto sicuramente. Siamo stati salvati da una nave che ci ha visti e piano piano ci ha raggiunti. Quando hanno detto prima le donne e i bambini ho sollevato il piccolo per darlo ai soccorritori che mi hanno detto di salire a bordo insieme a lui. Che gioia, una volta a Lampedusa, vederlo riunito alla mamma che ha ben presto ritrovato. Io, salvando lui, ho salvato anche me stesso. Come dico sempre la salvezza dell’uomo sta nel condividere, anche se difficile».
Prima Lampedusa, poi Messina, quindi Palermo, dove Chris ha cominciato la sua nuova vita.
«In alcune comunità dove sono stato prima di Palermo, ho cominciato a imparare la lingua, anche se all’inizio non volevo parlare italiano, mi sembrava troppo difficile, preferivo l’inglese. Poi, piano piano, qualche parola e oggi anche siciliano».
Si, perché oggi Chris canta e scrive anche in siciliano.
«Quando sono arrivato a Ballarò, il mercato e quartiere storico di Palermo, mi giravo e vedevo nigeriani che ti chiamavano “ehi, cumpà”. Mi chiedevo dove fossi finito. Mi dicevo, "se ho problemi con l’italiano, pensa pensa con il dialetto". In testa avevo solamente la voglia di fare musica, così ho cominciato a frequentare un locale per fare jam session con i palermitani e, dopo poco, ho conosciuto Francesco Riotta che con il suo gruppo “Famiglia del Sud” fa raggae. Con lui ho cominciato a suonare il basso e conoscere la musica italiana, in modo particolare una cantante unica come Rosa Balistreri. La prima canzone che ho ascoltato è stata ‘Cu ti lu dissi’ che mi é subito entrata nella testa e nel cuore perché, come tutte le canzoni di Rosa, parla di emozioni e io ne ero pieno, dopo tutto quello che avevo vissuto. Rosa mi ha portato fortuna».
Grazie a Rosa Balistreri, Chris nel 2020 ha vinto il Premio "Rosa Balistreri e Alberto Favara", ricevendo anche la Targa SIAE Giovane Autore nell'ambito del Premio "Musica contro le Mafie", con una premiazione a Casa Sanremo durante la quale ha suonato la sua “Non siamo pesci”, il brano in cui racconta il suo drammatico viaggio in mare. Sempre nel 2020 ha firmato il suo primo contratto discografico con 800A Records e ha realizzato con la produzione di Fabio Rizzo il suo primo disco, “Obehi”, che contiene canzoni autografe scritte in inglese, italiano, nel suo dialetto Esan e, infine, in siciliano, ovviamente con un omaggio speciale a Rosa Balistreri. Oggi ha anche la sua band “Obhei”, nella quale canta e suona il basso insieme al suo produttore Fabio Riso, Ferdinando Grigoli (batteria) e Federico Mordino (percussioni).
Dopo sei anni, Chris è ritornato in Nigeria per riabbracciare la famiglia.
«Mia madre soprattutto della quale sentivo grandissima mancanza e i miei tre fratelli..Sono stato con loro per due settimane ed è stata una continua emozione. Purtroppo in Nigeria le cose non sono cambiate, la gente non ha ancora la libertà di fare nulla. Inimmaginabile vedere associazioni che si battono per i diritti come negli altri paesi».
Altra conquista, l'amore. Nel 2020 si è anche sposato con Solange, una giovane italiana con la quale ha avuto due splendidi gemelli.
Sembra che tutti i tuoi sogni si siano realizzati. Ne hai ancora nel cassetto?
«Sono un ragazzo fortunato e ho avuto tanto dalla vita, lo dico a tutti, ma un sogno ce l’ho sempre ed è quello di diventare un grande artista, cantando e suonando in giro per il mondo. Ma ce la farò, lo so, piano piano…a picca a picca».
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