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Andrea Lecce

«Chi fa del bene fa bene al Paese». Parola di banchiere

di Giampaolo Cerri

Un viaggio nel Paese "sociale", anzi un road show per dirla in gergo finanziario. Lo ha compiuto Andrea Lecce che, in Intesa Sanpaolo, guida la direzione «Impact,» ovvero l'area della prima banca italiana dedicata al Terzo settore. Quella che una volta era Banca Prossima. Gli abbiamo chiesto di raccontarci le sue impressioni

Dodici tappe, da Nord a Sud. La direzione Impact di Intesa Sanpaolo, quella che un tempo era Banca Prossima, vale a dire il cuore stesso delle attività sociali della più grande banca italiana, ha percorso un lungo viaggio per incontrare i protagonisti del Terzo settore. Ben 400 realtà, tra clienti e stakeholder. E c’erano anche 300 persone della rete commerciale. Un viaggio che ha fatto personalmente il suo responsabile, Andrea Lecce, manager di banca a tutto tondo, con una lunga esperienza in varie aree, fra le quali il marketing, nella pianificazione e controllo e nel pricing. 

Lo abbiamo incontrato anche per parlare della nuova metodologia di valutazione di impatto, il Rilevatore d’impatto – Rim, adottato dalla banca: 29 indicatori trasversali e 160 di settore, inseriti in un questionario quanti-qualitativo con cui leggere i progetti delle non profit che richiedono finanziamento e valorizzarne appunto l’impatto. 

Domanda: Lecce, un viaggio lungo. Come ha trovato questo pezzo di Italia sociale?

Risposta: Sono stati incontri molto interessanti e intensi. Ho trovato associazioni, enti e organizzazioni con un grande desiderio di partecipazione. E di fare rete costruendo occasioni di confronto, relazioni e legami. E una richiesta corale: avere supporto e avere a fianco una banca che possa essere di sostegno e partner, con persone che capiscano il linguaggio, conoscano i bisogni e che facciano un passo all’insegna della vicinanza.

Una tendenza a migliorare, a migliorarsi.

Ascoltando i loro progetti e i loro sogni emerge forte il desiderio di costruire un bene comune. Sono tutte realtà che nascono col desiderio di risolvere un problema e di trovare una soluzione. C’è una fortissima progettualità che dev’essere accompagnata con delle soluzioni che consentano di superare le difficoltà che spesso si incontrano.

Che genere di difficoltà?

Difficoltà nel reperire il personale, l’aumento dei costi, che rendono difficile l’attività. A questo si abbina anche una flessione del volontariato, che abbiamo visto in particolare dopo il Covid. È percepibile la fase di profonda trasformazione: tutti si stanno interrogando su quale sarà il loro futuro, consapevoli dell’importanza della coesione e del loro valore. Ma c’è dell’altro.

Andrea Lecce, responsabile Intesa Sanpaolo Impact

Vale a dire?

Emerge la necessità di essere supportati per facilitare tutte quelle attività amministrative che richiedono dei passaggi necessari per poter accedere ai bandi. Ne emerge un quadro molto vivo e solido, che ha voglia di fare, di continuare e di impegnarsi. Con una componente ideale fortissima che è anche superiore rispetto a quello che io ho visto nel mondo delle imprese tradizionali.

Sì perché lei un background in altre aree della banca, dal retail al marketing. Quali le differenze salienti?

Un’impresa è abituata a presentarsi con i propri principali dati: fatturato, Ebidta, capitalizzazione di mercato, la quota di export…

Un’impresa è abituata a presentarsi con fatturato, Ebidta, quota di export. Le non profit raccontano quanto fanno per il territorio, a quante persone danno lavoro, quali problemi risolvono

Andrea Lecce, Intesa Sanpaolo Impact

Invece con le non profit?

Raccontano quanto fanno per il territorio, a quante persone danno lavoro, a chi offrono i propri servizi e quali problemi risolvono. Ci si trova di fronte a una idealità fortissima e anche un’energia incredibile perché sono realtà che non hanno il buffer del capitale, del patrimonio, delle riserve.  Si presentano evidenziando il motivo per cui esistono

Ed è un esistere sempre importante.

Certo. Ti senti dire: «Esisto perché nel mio centro diurno i ragazzi con dei problemi di neuropsichiatria infantile trovano accompagnamento. Esisto perché permetto a questi ragazzi di avere una vita migliore, un’occupazione, degli stimoli. Esisto perché permetto anche alle famiglie di continuare a lavorare, ai genitori di avere un tempo loro, rispetto a un impegno che diversamente sarebbe totalizzante». 

Insomma è sempre molto chiaro lo scopo. E sul resto? Sulle difficoltà?

Emergono forza e progettualità come risposta a difficoltà importanti, anche nella coprogettazione e co-programmazione.

Quindi nel rapporto con l’ente pubblico…

Parole a cui è necessario dare riscontro nella realtà pratica, con sempre maggiori competenze e preparazione. 

Il punto qual è, Lecce?

 In molti casi queste organizzazioni vanno a integrare in misura importante la parte pubblica, in alcuni casi sostituendosi nella progettazione e nel pensiero strategico. 

Immagino che ci siano differenze, essendo l’Italia lunga e diversa.

Il quadro è variegato, diverso a seconda delle regioni, diverso a seconda anche della tipologia di soggetti – dalle cooperative alle associazioni di volontariato, dalle associazioni di promozione sociale alle fondazioni e alle realtà che si occupano di cultura e di sport. Tutte con il desiderio fondamentalmente di venire riconosciute per il ruolo insostituibile. E noi lo stiamo facendo: il primo passo per aiutarle è proprio questo.

Insomma, mi pare che di questo viaggio lei abbia avuto un riscontro positivo…

Sì, mi ritengo fortunato di fare questo lavoro e di conoscere queste realtà. Grato proprio a queste esperienze, delicatissime e bellissime.

Facciamo qualche esempio?

Questa volta, a differenza dello scorso anno, che siamo andati nelle grandi città, ho scelto di fare un percorso diverso, andando in realtà come Cosenza, Udine, Vicenza, Pesaro, Pescara, Pisa, Pavia…

In queste aree le realtà sociali assicurano spesso la coesione sociale ma, talvolta, sembrano avere contezza dell’impatto che stanno generando. Vi siete dotati di una nuova misurazione di impatto che servirà anche a questo?

La valutazione di impatto è fondamentale perché consente di prendere delle decisioni. Per concedere un finanziamento dobbiamo poter valutare se effettivamente una certa attività produce un impatto sociale a fronte del quale la banca si assume un livello di rischio. 

E qui un esempio ci aiuterebbe.

Un esempio può essere quello dei detenuti: il tasso di recidiva scende molto quanto queste persone sono inserite in un contesto lavorativo. Si capisce che rendicontare l’impatto sociale che questo lavoro produce è fondamentale ma con i numeri classici non possiamo esprimerlo.

Insomma, il tema delle metriche che mancano

Nel mondo ambientale, c’è stata una convergenza: è relativamente più facile misurare le tonnellate di Co2 risparmiate. Nel caso del sociale è difficilissimo, perché abbiamo una realtà molto variegata – salute, recupero, formazione, inserimento lavorativo, assistenza – quindi è molto più difficoltoso avere una metrica comune. Ci troviamo davanti a un mondo che è come se avesse tante valute diverse. Per metterle a confronto, occorre una regola di conversione. Le modalità di calcolo dell’impatto, per stare a quelle più accreditate, quelle presenti in letteratura, sono 80-90.

Un problema.

Questa varietà è un bene, intendiamoci, perché significa che c’è uno sforzo intellettuale, un desiderio strategico di pensare e orientare l’organizzazione. Ma è anche un problema, perché non è pratico. Quando abbiamo provato ad applicare una metodica di valutazione dell’impatto, lo abbiamo fatto soprattutto per poter aiutare l’organizzazione, non tanto a fare dei report, che ormai fanno da tempo, ma per dare corpo a quel desiderio di raccontarsi. L’elaborazione dei dati raccolti ad oggi ha consentito di stimare ex ante l’impatto delle iniziative finanziate nel 2022 per un anno di operatività a pieno regime, fornendo suggerimenti utili per costruire una rendicontazione complessiva e sistematica della rilevazione dell’impatto. Presto faremo anche un’analisi ex-post. Però il punto, secondo me, che andrà risolto è soprattutto quello della convergenza. 

Vale a dire?

La non-convergenza di metodi sulla valutazione di impatto produce costi spesso elevati a carico degli enti del Terzo Settore e questo non giova alle nostre realtà. 

Il vostro metodo è il migliore?

È un servizio gratuito nato dall’ascolto delle esigenze del non profit e questo metodo serve al nostro interno per prendere decisioni e ai nostri gestori per confrontarsi e dialogare costantemente con le organizzazioni.

Alla quale voi chiedete ex-ante una serie di dati e poi andate a proseguire questo dialogo.

Proprio così: un dialogo che ci aiuta a capire quello che, in realtà, ci viene raccontato normalmente, per quantificarne l’impatto: ristrutturare un immobile facendone una casa di accoglienza, le persone che vengono inserite e per quanto tempo, Questi sono già numeri importanti. E nascono dal racconto. Per noi è anche un modo per valutare e analizzare al meglio il progetto in una sorta di accompagnamento passo dopo passo. 

Un confronto costruttivo, non solo assumere dei dati per concedere un finanziamento.

La valutazione d’impatto è un modo per rendere evidente quello che va oltre il conto economico e lo stato patrimoniale ed è l’elemento essenziale. D’altra parte, conosciamo le 360mila organizzazioni del Terzo settore, che rappresentano il 5% del Pil, dei 900mila lavoratori, dei 4 milioni e mezzo di volontari, ma dobbiamo poter misurare il bene che è stato condiviso con la società.

Li aiuterà a essere anche più efficienti rispetto al loro scopo sociale?

Certamente. Anche perché, se si hanno degli elementi di confronto, si può crescere. E le fasi di difficoltà come quella che stiamo vivendo possono imprimere una crescita alle varie organizzazioni. Come accade nel mondo delle imprese profit: i momenti di crisi, hanno portato alla fusione di realtà, alla ricerca di economie di scala e, a una maggiore efficienza.

Le è capitato, nel road show, di conoscere casi simili?

Ho conosciuto per esempio due cooperative: una aveva tanta liquidità a fronte di capacità di governance da incrementare, l’altra esattamente il contrario. Si sono fuse e ne sono uscite più forti entrambe. Questo è un bell’esempio di scelte che possono aiutare ad aumentare l’impatto. Si possono contemperare le scelte al fine di migliorare e creare un racconto d’impatto che può diventare un esempio per gli altri.

Avete fatto una lettura dei dati 2022 che vi riguardano, applicando i nuovi criteri di impatto. La fotografia restituita è interessante.

Il primo dato è, secondo me, uno dei più belli: 190 milioni di euro di finanziamenti già erogati sui quali abbiamo applicato il nostro nuovo metodo di misurazione dell’impatto. Con quelle risorse le organizzazioni creeranno circa 22mila posti di lavoro: è un numero incredibilmente importante e sono distribuiti su tutto il territorio nazionale. E saranno molti nel mondo della sanità e della salute e sappiamo quanto ne abbiamo necessità, anche per l’invecchiamento della popolazione. E poi assistenza sociale, istruzione, formazione. Un altro numero importante è quello dei beneficiari delle iniziative che a regime saranno 2,7 milioni. Parliamo di cultura, religione, sport e ricreazione. Numeri importanti anche per noi della Direzione Impact di Intesa Sanpaolo: sapere che, a fronte di un’operazione di finanziamento, generiamo così tanto valore, dà un senso proprio al nostro lavoro.

Ecco, ci dica qualcosa di voi.

Parlo di 600 persone, i colleghi che nella direzione e nelle 100 filiali lavorano, avendo una fortissima idealità. Buona parte di loro è anche volontario nella vita personale e quindi condivide, non solo per lavoro ma per scelta, il desiderio di essere parte attiva nella ricerca del bene comune. Questi numeri di impatto mi piacerebbe poi tradurli anche in un qualcosa di più comune.

Ci spieghi bene.

Vorrei trovare una formula: l’ideale contrario dell’anidride carbonica, che è Co2. Si chiamerà B2 (bene comune)? Non so l’elemento chimico a cui corrisponde, ma mi riferisco a una modalità che possa essere in qualche modo calcolata, valutata e raccontata. 

Un modo per guardare a un mondo più ampio.

Ed è anche un bellissimo modo per vedere il proprio lavoro, per avere sempre degli stimoli nuovi e soprattutto per dare voce al terzo settore. Il nostro è un compito sociale fondamentale, direi proprio in linea con quanto previsto dal piano d’impresa 2022-2025 di diventare la prima banca d’impatto del mondo.

Senta, per finire, mi racconti un fatto, una storia, una persona che, in questo viaggio, l’hanno colpita, come uomo prima che come banchiere.

Da ogni tappa ho ricevuto moltissimi stimoli. Mi ricordo per esempio a Udine. Qui una mamma, con un figlio che ha avuto dei problemi, mi racconta che si è inventata la “Radio magica”, proprio per quel figlio e per altri come lui. Ho pensato: ma che genialità, perché serve per dare un’occupazione, per formare! Mi ha commosso la forza di una persona che ha detto: faccio questo perché è un modo per costruire qualcosa insieme al proprio figlio. O a Cosenza, dove una persona, con difficoltà personali legate a una patologia, mi ha lasciato un biglietto, per ringraziare della presenza e della vicinanza. Questo è alla base dell’impegno di tutte le persone della direzione Impact, essere sul territorio per ascoltare le voci del mondo non profit e dare una risposta concreta.


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