Martina Fuga

Cara Emma, così ho imparato a lasciarti volare

di Sara De Carli

Emma e mamma Martina
Emma ha la sindrome di Down e 18 anni. Martina Fuga, la mamma, nel libro "Diciotto" si guarda indietro e fa i conti con l'istinto di protezione, le basse aspettative, l'immaginario ridotto che anche i genitori di un figlio con disabilità rischiano di avere. «Emma e tante persone hanno allargato il mio immaginario delle possibilità possibili. Oggi sono pronta a lasciarla andare», dice

«Non sapere dove andare è una buona premessa per arrivare dappertutto». Martina Fuga ha scelto questa citazione di Michela Murgia per aprire il suo nuovo libro, Diciotto (Salani editore). Diciotto sono gli anni di sua figlia Emma, una ragazza con la sindrome di Down. Diciotto sono gli oggetti, le foto, i ricordi che Martina le consegna nel giorno del suo compleanno e che permettono a Emma (e a noi) di rileggere la sua storia. Martina – storica dell’arte, esperta di Diversity, Equity & Inclusion – è responsabile della comunicazione di CoorDown. C’è (anche) lei dietro le campagne che in questi anni, da Dear Future Mom in poi, ogni 21 marzo, in occasione del World Down Syndrome Day, ci hanno sorpreso e commosso: The Hiring Chain con Sting, solo per dirne una. È appena tornata da Barcellona, dove hanno girato lo spot di quest’anno, ovviamente top secret. 

Martina, dove è arrivata lei? E dov’è arrivata Emma? 

Ho scelto quella frase più che altro pensando a Emma in verità, come augurio. Io di me posso dire che oggi sono una mamma molto serena: sicuramente abbiamo altre sfide davanti, perché ora c’è da costruire tutto il futuro di Emma dopo la scuola e tutto il tema del dopo di noi… Siamo sempre in cammino, però con una consapevolezza diversa. Emma invece è un’adolescente di 18 anni che sta per finire la scuola superiore e che ha tutta la vita davanti, con tutti i sogni che hanno gli adolescenti e anche con tutto il moto di ribellione del “decido io, tu mamma non ci mettere becco”, esattamente come è stata sua sorella Giulia alla sua età e come probabilmente sarà Cesare, che è poco più piccolo.

Molti genitori hanno raccontato la quotidianità con figli con disabilità, ma generalmente ci si ferma all’infanzia. La fase del “lasciare andare” è finora poco esplorata. Qui invece troviamo le varie esperienze scolastiche, anche all’estero; la prima volta che Emma è tornata da scuola da sola; la prima volta che è andata al cinema con Alessandro e con la mamma di lui avete seguito i ragazzi di nascosto per vedere se arrivavano a destinazione… Il libro è un po’ una spinta in quella direzione? 

Questo è esattamente il punto, è la cosa che mi premeva di più dire. Devo ammettere che è un’esortazione e un monito che faccio innanzitutto a me stessa, perché anch’io come mamma me lo dimentico spesso. Nel senso che benché Emma oggi abbia conquistato le sue autonomie, c’è continuamente la tentazione di sostituirmi a lei con il mio istinto di protezione. Quindi si tratta di un esercizio da fare continuamente. La misura? È Emma stessa. Basta ascoltarla. A volte lei alza la mano e dice “No, questa cosa la voglio fare da sola” e io penso “Ah, sì è giusto così”. Si tratta di creare lo spazio perché lei diventi davvero adulta, uno spazio che consenta ad Emma anche di sbagliare. È esattamente il percorso che facciamo tutti con i nostri figli: non sostituirci a loro, ma dargli gli strumenti, creare il contesto giusto intorno e poi dargli lo spazio per sperimentarsi. 

Emma Orlandoni con la famiglia
La famiglia Orlandoni al completo in una vacanza di alcuni anni fa

Nel capitolo in cui ricorda la nascita di Emma, racconta di quanto lei e suo marito Paolo Orlandoni, ex portiere dell’Inter, vi sentivate forti del vostro amore per Emma: pensavate «spaccheremo il mondo per lei», scrive, «inconsapevoli della burocrazia, delle barriere culturali di cui il mondo è pieno e inconsapevoli anche dei nostri stessi pregiudizi e delle basse aspettative che noi per primi avremmo avuto». 

Sì assolutamente. I genitori sono i primi a dover fare i conti con le proprie basse aspettative su un figlio con disabilità. È normale, perché è la cultura di cui siamo di fatto impregnati. Invece tutti i giorni i nostri figli ci mettono in discussione. Questo è importantissimo, perché pensare di sapere già com’è l’altro e quello che l’altro può o non può fare lo limita e lo condiziona nella realizzazione di se stesso. 

Martina con Emma, il primo giorno di scuola

Infatti scrive della grande fortuna, per Emma, di essere sempre stata voluta e scelta: dalle baby sitter, dalle educatrici, dalla scuola, dagli insegnanti.

Purtroppo c’è un immaginario per cui i nostri figli nelle scuole sono un freno: lo pensano molti insegnanti e molti genitori. Invece la loro presenza in classe è un’opportunità e quando c’è un contesto che capisce il valore che può portare una persona, anche con le sue difficoltà, cambia tutto. Cambia la prospettiva, cambia la partecipazione. Emma sta per finire la scuola superiore e ha una classe straordinaria, sia in termini di compagni sia in termini di docenti. Lei non è “di proprietà dell’insegnante di sostegno”. Ho iniziato questa frase dicendo della fortuna di Emma con la scuola, ma il punto è che l’inclusione non può essere un colpo di fortuna: deve essere un diritto.

Anche oggi, se non hai avuto un’esperienza di disabilità, non hai una prospettiva corretta sulle possibilità reali delle persone, né sul futuro. I pregiudizi e il contesto ci offrono ancora un immaginario ridotto. Con questo libro vorrei dilatare l’immaginario delle possibilità

Nel suo racconto dice quanto è stato importante per lei il fatto che la diagnosi della sindrome di Down sia arrivata quando lei e suo marito avevate già in braccio Emma. Lei era già vostra figlia, voi eravate già innamorati di lei, vedevate già lei prima della sindrome. E poi sottolinea l’importanza che ha avuto nel suo percorso la ricerca delle storie di altre famiglie che avessero già fatto un pezzo di strada con la sindrome di Down. Che cosa spera di consegnare ai genitori di un figlio con disabilità che leggeranno il suo libro?

Spero di regalare la stessa cosa che ho avuto io da un libro che lessi proprio in ospedale e che si intitola Clara va al mare. È un piccolo libro per ragazzi – di Salani tra l’altro – che racconta di una ragazza con sindrome di Down, Clara, che a un certo punto si ribella e non va a scuola. Non dice niente nessuno, va in stazione, compra un biglietto e va al mare da sola. A me quel libro ha regalato una prospettiva. Io avevo un immaginario sulla persona con sindrome di Down che non contemplava nulla di tutto questo: anche oggi è un po’ così, se non hai avuto un’esperienza di disabilità non hai una prospettiva corretta sulle possibilità reali delle persone, né sul futuro, perché i pregiudizi e il contesto ci offrono ancora un immaginario ridotto. Insomma, quel libro ha dilatato il mio immaginario di possibilità, così come tutte le storie che mi sono arrivate… a cominciare dalle due mamme di un’associazione di Monza che vennero a trovarmi in ospedale. Oggi cerco di fare la stessa cosa con l’associazione Agpd di Milano, quando arrivano le telefonate di famiglie che hanno una diagnosi prenatale e chiedono di incontrare dei genitori: credo davvero nel potere delle storie e quello che cerco di fare è proprio riuscire ad allargare l’immaginario, ad aprire una prospettiva. È una cosa di cui continuo ad avere bisogno anch’io e infatti nel libro ho ringraziato alcune donne con sindrome di Down che ormai sono diventate semplicemente mie amiche perché con le loro biografie e le loro scelte continuano ad alimentare il mio immaginario, a darmi una prospettiva, ad avere fiducia. Continuano a dirmi che non siamo tutti uguali e che nemmeno le persone con sindrome di Down sono tutte uguali: ognuna ha costruito la sua vita. 

Io non voglio pensare che le mamme di un figlio con disabilità debbano passare la vita solo a fare battaglie per i propri figli. Vorrei che possano essere anche donne, mogli, mamme

Un tempo, neanche tanti anni fa, la narrazione sulla disabilità si fermava al bellissimo Nati due volte di Pontiggia. Poi c’è stato un filone di papà (Massimiliano Verga, Gianluca Nicoletti, Guido Marangoni per esempio), come se le madri fossero troppo impegnate a seguire i figli per poter anche scrivere. Adesso un po’ di mamme che scrivono ci sono. Questa cosa mi è venuta in mente perché nel libro lei ringrazia «le sorelle di Pianeta Down» ma anche tutti i papà dell’associazione, «che erano lì a ricordarci che esserci non è una questione di genere». 

Questa è una cosa di cui abbiamo tanto bisogno, perché i papà ci danno un altro sguardo. È di grande valore per me poter poter contare anche sui papà in queste battaglie, che poi battaglie non è nemmeno la parola giusta. Spesso abbiamo questa immagine della mamme paladine dei diritti, ma io non voglio pensare che le mamme di un figlio con disabilità debbano passare la vita solo a fare battaglie per i propri figli. Non fraintendetemi, certi diritti oggi sono rispettati solo perché qualche genitore prima di noi ha combattuto e anzi ho tanta gratitudine per chi è venuto prima.., ma io vorrei che le mamme di figli con disabilità possano essere anche donne, mogli, mamme e non solo quelle che combattono per i diritti dei figli. Rispetto pienamente le scelte di tutti, però non vorrei che l’unico immaginario possibile per una donna con un figlio con disabilità sia quello della mamma che deve rinunciare a tutto per occuparsi di quel figlio. Non può essere solo questo. Poi sicuramente la nostra è una vita che prevede anche delle delle fatiche di questo tipo no e delle lotte per far rispettare i diritti dei tuoi figli, tanta burocrazia, tanti pregiudizi… però non è tutto e solo lì. 

I sorrisi di Emma e Martina (foto @zeldawasawriter)

A un certo punto del libro, lei scrive che “Emma era pronta, io no”. Lo dice a proposito dell’uscita dall’ospedale, ma poi il concetto torna – con diverse sfumature – più di una volta. È un po’ la sintesi di questo libro?

Ho aspettato dieci anni a scrivere un nuovo libro, dopo Lo zaino di Emma. Volevo avere altre esperienze da raccontare ma soprattutto volevo che maturasse in me un’altra immagine di Emma e di me stessa. Ed proprio questa, quella dell’essere pronta a lasciare andare. Io oggi mi sento pronta a lasciare andare, serenamente. 

Emma ovviamente ha letto il libro prima della pubblicazione: che cosa ha detto?

Lo abbiamo letto insieme, era molto emozionata anche perché ci sono dettagli che lei non conosceva, per esempio rispetto all’unico vero episodio di bullismo che le è capitato, lei non sapeva che era stato anche pubblicato un video. All’epoca avevamo deciso di proteggerla, oggi invece è giusto che che abbia tutti i pezzi del puzzle. 

La foto in apertura è di Vito Margiotta. Di genitori e figli e dei temi educativi parla ogni martedì la newsletter “Dire, fare, baciare” a firma di Sara De Carli. Se sei già abbonato a VITA e vuoi riceverla, registrati qui. Se invece ti incuriosisce e vuoi riceverla insieme a tanti altri contenuti dedicati agli abbonati, come le altre newsletter, i podcast e le infografiche, puoi sostenere il lavoro di VITA abbonandoti qui.

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