Siamo in Camerun, Africa equatoriale. Poco più di 27 milioni di abitanti. «Prima del 2014 nel Paese regnava la pace. C’erano zone più povere di altre, ma si stava meglio perchè c'era la pace». Le parole sono di Lillo Messina, responsabile Paese per l’associazione di promozione sociale Arcs Culture Solidali, in Camerun. Messina vive qui da diversi anni, e il Paese lo conosce bene. «Il deserto, i monti, le sorgenti. Ma l’ultimo decennio è stato caratterizzato dai conflitti scoppiati in diverse aree del Paese. La pandemia di Coronavirus e l’inizio della guerra in Ucraina sono stati un colpo di grazia per tutta la popolazione».
Il Camerun non ha una produzione interna florida: «la chiusura della frontiere», spiega Messina, e poi l'esponenziale aumento dei costi del grano e del riso, aumento dovuto anche all'inflazione dei grani basici, come conseguenza della guerra in Ucraina, hanno triplicato i prezzi dei beni essenziali». Ma c’è una cosa che in Camerun manca più di tutto: «L’acqua potabile. Nel 70% dei villaggi rurali del Paese non c’è acqua potabile, questo comporta epidemie e un’elevata mortalità infantile. Qui un bambino su cinque muore entro i due anni a causa di infezioni gastrointestinali legate all’acqua sporca».
È per rispondere a questa emergenza che nel 2018 Arcs lancia il progetto “Enter: ENergie rinnovabili e TEcnologie appropriate per l’accesso all’acqua potabile in ambito Rurale”, co-finanziato dall’Aics – Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo e Regione Marche, in partenariato con la ong camerunese Acrest. «Un progetto non solo tecnico», spiega Messina, «ma una vera iniziativa per la comunità e soprattutto di comunità».
E infatti Enter è nato con l’obiettivo di potenziare le competenze in materia di gestione delle risorse naturali e incrementare l’utilizzo di tecnologie appropriate nei villaggi selezionati fra i comuni di Batcham, Dschang e Foumbot, creando una dinamica territoriale virtuosa per coinvolgere imprese settoriali, università, amministrazioni comunali, servizi tecnici decentrati, organizzazioni della società civile, autorità tradizionali, diaspore e comunità locali in Camerun e in Italia. «Gli abitanti dei villaggi», scrive l’ingegnere Michele Pagano di Melito, che ha accompagnato Arcs durante il percorso di realizzazione del progetto, «si rifornivano per la maggior parte presso corsi d’acqua più o meno stagionali o presso pozze e fonti. L’acqua risulta quindi non adeguata all’uso sicuro in ambito domestico in generale e in particolare per l’uso alimentare. Il solo momento della raccolta espone donne e bambini a pericoli quali sentieri di accesso scoscesi e fangosi, alle profonde gole dove si trovano le pozze e i corsi d’acqua e maggior rischio di contrarre malattie e parassitosi tramite vettori e parassiti che vivono maggiormente proprio nelle vicinanze dei ristagni d’acqua».
Il progetto si basa sulla strategia denominata “FoReGo” e caratterizzata da attività di formazione per giovani e tecnici locali, ristrutturazione e realizzazione di acquedotti, governance attraverso il rafforzamento dei servizi municipali dedicati all’acqua e formazione di comitati popolari di gestione nei villaggi. L’iniziativa si è proprio sviluppata attorno a tre assi principali, strettamente collegati tra di loro: la formazione; l’adduzione di acqua potabile e utilizzo delle energie rinnovabili e la governance locale.
«In questi anni», racconta Messina, «abbiamo formato 44 apprendisti locali in varie tecniche di costruzione, come quella del ferro cemento, con cui sono stati costruiti i serbatoi. Abbiamo realizzato 12 stazioni di trattamento e distribuzione dell’acqua che alimentano 48 villaggi delle province della regione dell’Ovest».
Come ha funzionato l’attività? «Prima», spiega Messina, «abbiamo identificato le possibili sorgenti. Poi creato i sistemi di adduzione con dei filtri che rendono l’acqua “quasi” potabile. Nei serbatoi abbiamo installato un sistema di produzione di cloro prodotto attraverso una miscela di acqua e sale che con un processo di piccola elettrolisi completa la polarizzazione dell’acqua che poi arriva ai villaggi e viene distribuito attraverso fontana pubbliche».
Il sistema messo in piedi da Arcs è stato dimensionato per 70mila persone, attualmente i beneficiari raggiunti sono stati 36mila. Nei villaggi selezionati ci sono anche scuole e centri di salute. Ma perché Enter è un vero progetto di comunità? «I primi anni», racconta Messina, «sono serviti per individuare le sorgenti e formare il personale locale. Dallo scorso luglio 2022 l’acqua potabile finalmente c’è. Ma non è stata questa la vera vittoria, o almeno, non l’unica. 32 dei 44 tecnici formati si sono costituiti in due associazioni di artigiani che oggi lavorano anche per altre piccole imprese del territorio. Le due realtà insieme si occupano della manutenzione delle fontane e dei serbatoi. Inoltre sono nati 22 comitati di gestione delle fontane per i villaggi. Funziona così: ogni persona può prendere al giorno 20 litri di acqua potabile al prezzo di 10 o 15 centesimi. Quei soldi vengono depositati sui conti aperti dai diversi comitati. Queste piccole somme vengono utilizzate per pagare gli artigiani e tenere in piedi il sistema di gestione. Certo la cifra simbolica è insufficiente per i possibili guasti di maggiore entità. Ma in Camerun ogni villaggio ha un “re”. E all’interno dei villaggi si fanno anche percorsi di sensibilizzazione per le persone con più disponibilità economica: laddove ce ne fosse bisogno vengono interpellati per la copertura dei costi extra».
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