Qualche settima fa con Simone Feder, psicologo della Comunità Terapeutica la Casa del Giovane di Pavia, siamo stati nel boschetto di Rogoredo, tra le più grandi piazze di spaccio del nord Italia. Rogoredo è un posto vuoto. Un luogo triste che risucchia la vita dal corpo, e poi si prende pure il corpo, senza fare distinzioni tra giovani, adulti, vecchi, donne incinte e mamme con i loro figli. Nella prima settimana di ottobre nel bosco sono stati sequestrati circa sei chili e mezzo tra eroina e cocaina pura. E poi ancora un bilancino e frullatore per tagliare la droga. Questo è il commento che riporta sulla sua pagina Facebook Simone Feder. Lo psicologo non restituisce solo una delle tante immagini dolorose a cui assiste spesso, ma pone una domanda diversa su cui siamo chiamati tutti a riflettere: “Un'altra sera a Rogoredo. Quanto malessere in giro anche oggi… Qualcuno cercava riposo arrotolato in una coperta sulla banchina, tanti hanno chiesto ristoro al nostro punto di distribuzione viveri. Ma stasera c'era qualcosa di più. Al boschetto la roba non c’era. Un via vai infinito di persone in continua ricerca di qualsiasi indizio, voce, indicazione che potesse far trovare qualche pusher. Abbiamo dovuto chiamare l’ambulanza per Alessio che in piena crisi di astinenza, mi ha chiesto disperatamente di farlo. E dopo di lui ne ha avuto bisogno anche un altro ragazzo… freddo, crampi allo stomaco e voglia di morire… Dobbiamo davvero preoccuparci se queste persone non vengono sostenute, accompagnate… prese in carico… È assurdo solo pensarlo ma… senza sostanze che succederà?”
Che succede senza le sostanze?
Pensate al gioco del biliardo. Con il primo tiro si spacca il triangolo di palle. Con le due retate della scorsa settimana abbiamo tirati una fucilata su Rogoredo creando un fenomeno di dispersione incontrollata ovunque. Un nuovo presidio delle droga, per esempio, l’abbiamo registrato nei pressi della stazione della metropolitana Porto di Mare.
I prezzi delle droga sono schizzati. Per l’eroina parliamo di 25 euro al grammo. Molto di più rispetto a prima, dove con due euro recuperavi una microdose. Il consumatore, il tossico, è solo l’ultimo anello della catena: non riesce a drogarsi, sta male, va in astinenza e sono necessari gli interventi ospedalieri. Le persone con questo tipo di vissuto, con questo dolore dentro, sentono di non farcela.
In che senso?
Sono rassegnati davanti all’assenza di sostanze e tanto è il dolore che chiedono di chiudere gli occhi per sempre. Sono persone che hanno perso tutto e se tu non gli riconosci neanche un briciolo di dignità, per loro il pensiero della morte, quello di “lasciarsi andare”, torna sempre più prepotente. E allora le due retate che hanno fatto a Rogoredo, tutte le persone che abbiamo soccorso dopo, ancora una volta devono farci interrogare.
Come?
I sequestri di notevoli quantità di eroina di questi giorni, seppur importanti e doverosi, non arginano la disperazione di chi vive ogni giorno in quel bosco maledetto. Oggi è importante far capire che quel fortino della droga in mano a gente che vende morte non è invincibile. Il nostro agire non può limitarsi a togliere quel che ad oggi è purtroppo per questi giovani l'unica cura al loro star male, l’anestetico al loro disagio. Il nostro intervento sarà realmente efficace se agiremo sulla causa del problema e non solo sul sintomo. La nostra missione oggi deve essere quella di costruire e offrire valide alternative a queste esistenze spezzate.
Non è questione di eliminare ciò che riempie un vuoto, ma ciò che il vuoto lo crea. A Rogoredo hanno sequestrato tantissima droga, ma si stanno già riorganizzando. Se non è Rogoredo sarà un altro luogo, o per meglio dire un altro “non luogo”. Qua la questione vera non è solo la dipendenza ma la mancanza che nasconde. Solo se capiamo questo possiamo iniziare a pensare ad una risposta concreta e avviare quello che tecnicamente si chiama un percorso di recupero.
Dobbiamo davvero preoccuparci se queste persone non vengono sostenute, accompagnate, prese in carico. È assurdo solo pensarlo ma… senza sostanze che succederà?
Simone Feder
Dove la cerchiamo la risposta?
Nel senso della relazione con l’altro. Le persone se stanno male, quando l’astinenza è troppa, si butterebbero anche sotto un treno per non sentire più quel dolore. Quello che abbiamo provato a fare presidiando l’uscita dal boschetto di Rogoredo è stato proprio dare una ragione per cui vivere. E la ragione può esistere solo nella relazione con l’altro, che non può essere un passaggio di comunicazione. Nessuno è irrecuperabile, questa arrendevolezza è un’idea malata. Le comunità e i servizi devono venire a prendere questi ragazzi, devono entrare nel bosco. Chiamiamole per nome queste persone. Quando ci allungano il gomito al posto della mano perché sanno di avere le mani sporche e hanno rispetto di te, noi, quella mano, gliela dobbiamo stringere. Non sono animali, sono persone. Devono ricominciare a sentirsi tali.
E le comunità, i servizi?
Dovrebbero investire di più nell’ingaggio delle persone. Non basta il controllo o colloquio settimanale. Ma servizi e comunità da soli non sono sufficienti: il problema è strutturale. Si parla troppo poco di droga, e quando lo si fa lo circoscriviamo come un problema di cui devono occuparsi solo “gli addetti ai lavori”. Ma non è così. È per prima la società civile che deve guardare al boschetto di Rogoredo e a situazioni simili. È la comunità civile che è chiamata a dare il suo contributo. Dobbiamo essere più attenti, meno individualisti, non farci i fatti nostri. Ed è in quest’ottica che si rimette in gioco il volontariato, l’associazionismo, il farmacista o il panettiere sotto casa da cui andiamo a comprare il pane. Dobbiamo andare tutti “dentro al bosco” per stare davvero con la gente che lo abita.
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