Centimetri di comunità

Bologna, un Monte di pensiero

di Giampaolo Cerri

Nella città di San Petronio, la discendente dell'antico Monte di Pietà si distingue per la scelta di affiancare, alla tradizionale attività erogativa, il sostegno ai processi di riflessione e crescita, che coinvolgano il Terzo settore e la Pubblica amministrazione. A presiederla, da un anno, c'è un cooperatore di solida esperienza: Pierluigi Stefanini

Pierluigi Stefanini (Sant’Agata, Bologna, 1953) non è certamente un volto nuovo per i lettori di VITA: la sua lunga carriera potrebbe essere definita come quella di un civil servant del movimento cooperativo, anzi un cooperative servant. Ha guidato infatti la Legacoop bolognese, una delle grandi coop della gdo italiane, Coop Adriatica. Non solo, presiede Asvis, a cui ha dato impulso con la Fondazione Unipolis del gruppo Unipol.

Da un anno è alla guida della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, una delle più antiche d’Italia, nata dal Monte di Pietà petroniano, sorto nel 1473. La Fondazione si è recentemente fusa con quella di Lugo (Ravenna), guadagnandosi il plauso dell’Associazione italiana delle casse di risparmio e delle fondazioni italiane, Acri, che predica da tempo agli associati la razionalizzazione e la sinergia.

Presidente, partiamo dal rapporto coi territori, con Bologna, dove c’è un’altra Fondazione come Carisbo, ma anche con Ravenna e con Lugo, che si è aggiunta di recente. Come vi percepiscono?

Complessivamente, c’è un grado di reputazione, di riconoscimento e di affidabilità di questa Fondazione molto importante, che chi c’era prima ha saputo costruire, consolidare e mettere a frutto. Peraltro, con un approccio sempre molto rigoroso e trasparente, anche questo è essenziale, vista la natura e le caratteristiche che hanno questi enti. Devo dire una cosa, per inciso …

Prego…

Entrando dentro al mondo delle Fondazioni, ho scoperto una realtà molto ben posizionata, con un percorso evolutivo importante, con uno sforzo legato alla necessità di costruire processi di innovazione sociale veri nel Paese. È un bel sistema, mi sento di dire. Sia per le grandi sia per le piccole Fondazioni. Noi cerchiamo di bilanciare l’attività erogativa, che rimane comunque alla base della nostra natura e del nostro ruolo, con attività di ricerca, di progettazione, di elaborazione pragmatica.

Come, presidente?

Aiutando gli enti territoriali, senza sostituirci a nessuno, come necessario e doveroso, e sostenendo il Terzo settore, a maturare condizioni di maggiore convergenza, pur partendo dal fatto che questo è un territorio che ha come sua vocazione storica la partecipazione, il coinvolgimento, il fare insieme. Ricordo il Patto per il Lavoro e per il Clima, per esempio, di cui abbiamo parlato molto nei giorni impegnativi dell’ultima alluvione. Uno strumento che ha messo insieme tutti i soggetti e ognuno ha dato il suo, quello che poteva, quello che era nelle condizioni di fare. Lei capisce bene che questa modalità di mobilitazione è straordinariamente importante e purtroppo spesso manca. Quindi vogliamo essere di aiuto a pensare, riflettere, acquisire maggiore consapevolezza anche dei ruoli che i diversi enti e soggetti hanno da mettere a disposizione. 

Per esempio?

Stiamo costruendo con il Forum del Terzo settore dell’Emilia Romagna un rapporto di grande collaborazione. Siamo arrivati a identificare un protocollo d’intesa per lavorare insieme. E avvertiamo – perché ce lo dicono loro stessi – che hanno bisogno di investire, per aumentare la loro capacità di fare rete, che non è già acquisita, e quindi ridurre l’autoreferenzialità dei singoli soggetti. Soprattutto di essere disponibili e in grado, con la capacità di proposta, di influire, determinare, orientare le politiche. O provarci. Questo è il senso del lavoro con loro. 

Che idea s’è fatto del Terzo settore nei territori della Fondazione?

È una realtà plurale di grandissimo valore, perché in molti casi quello che il Terzo settore fa è essere l’antenna più diretta, più vicina alla vita delle persone. Da lì uno impara, conosce, capisce cosa succede nel mondo degli anziani, dei giovani, dei disabili. Hanno un patrimonio anche di conoscenza, di esperienza sul campo e di rapporto con la realtà molto proficuo che non sempre, purtroppo, il pubblico riesce a cogliere e a mettere in valore nelle politiche che deve sviluppare. Lo dico pur sapendo che la Regione Emilia-Romagna ha fatto tanto. Questa, per esempio è la Regione che già 15 anni fa o forse più, “inventò” l’assistenza domiciliare per gli anziani.

Sì, e che poi nel 2014 ha fatto, per prima, la legge sui caregivers, insomma, ha sempre avuto una sensibilità spiccata…

… con provvedimenti più recenti di riconoscimento del ruolo del Terzo settore e così via. Tuttavia, pure in una cornice di questo tipo, lo sforzo che vogliamo mettere in campo per stimolare, qual è? Trovare il modo perché nella progettazione puntuale si affermi il concetto della coprogrammazione, che ancora non c’è. C’è molta volontà, molta declamazione di principio, ma andando a scavare nei processi reali… Per esempio, sul tema della longevità c’è bisogno di fare un ulteriore salto per essere utili.

Che cosa non va, Stefanini?

Non sempre, ad esempio, si condividono in modo lineare e convincente informazioni che per la famiglia e l’anziano sarebbero fondamentali. Sapere orientarsi, da che parte andare, quale servizio utilizzare, come gestire, ad esempio, le dimissioni dall’ospedale. E potrei fare altri esempi: abbiamo bisogno di fare un passo avanti. Perché ognuno, nella piena onestà e disponibilità del suo ruolo, fa il suo, ma trascura molto spesso quello che c’è di fianco, che comunque contribuisce. Allora è questo lo spirito che vorremmo cercare di costruire, sia di metodo ma anche di contenuto e di soluzioni effettive. L’esempio dell’Appennino viene bene, perché è un problema strutturale particolarmente difficile, come tutto l’Appennino italiano, come è noto, e le aree interne.

Che cosa si può fare?

Stimolare percorsi dove soggetti tra loro diversi sappiano cosa fanno gli altri. Molto spesso questo non si coglie. Soprattutto servirebbe avere una visione che comprenda il fatto che, per esempio, le Acli di un certo comune della montagna fanno un’attività importante di welfare familiare. Sapendo che, poco distante, esiste una progettualità che si pone il tema di come trattenere i giovani in Appennino, può nascere un dialogo utile e adeguato all’obiettivo di creare condizioni di vivibilità e coesione sociale in quei territori. Un altro esempio: abbiamo la fortuna di avere, in questa Regione, in questa città, uno dei tre più grandi cervelli d’Europa di intelligenza artificiale, di elaborazione dei dati. 

Il Cineca, la Data Valley…

Sì, tutto il distretto del Tecnopolo, di straordinario valore strategico. C’è da considerare come quella strumentazione tecnologica si avvicina al tessuto reale del territorio, ad esempio nel sistema delle piccole e medie imprese. Allora noi possiamo stimolare un maggiore dialogo, una maggiore vicinanza e anche, perché no, la messa a disposizione di quelle competenze, di quelle tecnologie per far crescere, nel sistema produttivo, una maggiore capacità di utilizzo della tecnologia dei dati. Ci sembra un buon terreno di lavoro. Questo è il senso del nostro impegno: cercare di dare questa dimensione, di metodo, perché guarda una prospettiva più sistemica, e poi di sostanza, perché ci auguriamo che nel tempo produrrà delle ricadute positive per il territorio. 

Parlando alcune settimane fa con la stampa, alla presentazione delle linee del bilancio di previsione, lei ha fatto riferimento all’impatto sociale e alla volontà di aumentare l’attenzione su questo aspetto, vostra e di chi lavora con voi. 

Per noi è fondamentale e, devo dire, grazie ad Aiccon, che ci sta accompagnando, aiutando e stimolando nel metodo, nelle attività che vanno in questa direzione. Penso anche a come l’Agenda 2030 è stata concepita e poi definita: lì dentro c’è tanto da imparare, non solo come obiettivi ma anche come provare a raggiungerli. 

Un esempio?

Poter sapere che noi, come Paese, nel tasso di occupazione abbiamo un gap relativo alla parità di genere incredibile, e sapere che nel 2030 dovremmo dimezzare questo gap. Non chiacchiere o auspici. 

Ma li diamo per persi quegli obiettivi?

No, perché comunque sia è importante avvicinarsi. È lo spirito dell’Agenda: magari è impossibile arrivare puntuali, ma poter dire “ho ridotto il gap della metà della metà” è già un risultato. Perché faccio questo esempio? Perché il governo Draghi definì la strategia sulla parità di genere, indicando una serie di obiettivi, di azioni, di politiche, di interventi, di risorse da mettere in campo. Quella strategia, però, non viene adeguatamente sviluppata. 

Che cosa c’entra con l’impatto? 

C’entra perché aiuta a fare i conti con la realtà e poi a cimentarsi per capire dove effettivamente con il tuo impegno, con la tua attività, puoi avvicinarti, puoi contribuire, fare dei passi avanti, incoraggiare percorsi, convergere per arrivarci. Questo è fondamentale. Lei sa bene che, purtroppo – e le ragioni sono molteplici, legate a tanti fenomeni di cambiamento che coinvolgono l’intero pianeta – la politica fatica a trovare questa dimensione. È in crisi anche per questo. Perché è in difficoltà a misurarsi in modo intelligente, onesto e serio con la realtà che ci circonda, per come è fatta, bello o brutta che sia. E poi, ancora, che obiettivi si propone perché questa realtà possa migliorare, evolvere, modificarsi?

Ma?

Ma impegnarci e impegnare gli altri perché davvero ci si metta nella propensione intellettuale, culturale e pratica di fare i conti con le azioni che si mettono in campo: come si agisce, come si contribuisce, come si opera. Crediamo che sia un terreno molto importante. Quindi va preso, e qui Aiccon ci insegna, non tanto come strumento ragionieristico di misurazione del singolo intervento, non è quello il senso… 

E qual è?

Mettersi in una dimensione, in un approccio, che obbliga a misurare il proprio ruolo, la propria attività, gli scopi, la funzione sociale, economica e culturale. Questo ci aiuta a essere proficui, a essere utili, in grado di contribuire a un processo evolutivo di cambiamento. Per questo è importante l’Agenda 2030: ci dà un orizzonte. Oggi, purtroppo, la politica fatica a definire orizzonti. Mi dispiace dirlo, non è per colpire nessuno. È un dato di fatto.

Senta Presidente, lei ha già usato l’aggettivo “ragionieristico”, per negare che possa diventare un criterio per l’impatto, a cui state lavorando con Aiccon. Conoscendone il direttore, Paolo Venturi, non ho dubbi. Ma su che linee vi state muovendo? Altre fondazioni, come per esempio Compagnia di San Paolo, si sono mossi verso gli Sdg dell’Agenda 2030.

Siamo apertissimi alla collaborazione con le altre Fondazioni. So che Aiccon da tempo lavora con la Fondazione di Forlì proprio su questo tema. Benissimo. Se impariamo buone pratiche, possiamo solo migliorarci.

…un cantiere aperto.

Infatti. E avere stabilito un piano triennale ci serve anche per questa ragione.

Avete fornito i dati a fine ‘24 e c’è un avanzo importante, quindi c’è anche una gestione virtuosa del patrimonio. Lei lo dice spesso, “abbiamo un patrimonio che ci è stato affidato”. Come lo impiegate? Alcuni suoi colleghi si stanno muovendo verso la sostenibilità: il presidente padovano Muraro ha fatto creare un portafoglio Esg dedicato, il suo collega modenese, Tiezzi, ha disposto un cospicuo investimento in fondi di finanza responsabile con Sefea Sgr, una delle più note società del settore. 

Noi vogliamo arrivare, e siamo già nella direzione giusta, ad avere un investimento finanziario complessivo delle nostre risorse orientato secondo gli Esg: quello è il traguardo. Peraltro, l’abbiamo previsto anche nello Statuto. 

Vi siete portati avanti…

Sì, poi bisogna arrivarci bene, anche non escludendo, come lei ricordava, interventi, seppure mirati, legati alle nostre possibilità su forme di investimento sociale. Non è un caso, ad esempio, che abbiamo già deliberato di intervenire proprio nel fondo Sefea Sgr. 

Ottima notizia. E a quanto ammonta?

A 500mila euro. Compatibilmente con le nostre risorse, un bell’inizio. D’altra parte, noi aderiamo al Forum per la finanza sostenibile già da un anno.

Non dimentico che lei è ancora uno dei due presidenti di Asvis e dunque non mi sorprendo. Senta, abbiamo lambito la politica e lei ha espresso alcune riflessioni sistemiche, insomma.  Facendo un po’ il giro dei presidenti di fondazione, a tutti ho chiesto, grandi e piccoli, se la stagione 25 anni fa – l’epoca dei famosi ricorsi delle fondazioni che ebbero ragione contro Giulio Tremonti che le voleva ricondurre sotto il controllo politico – sia una stagione che possa tornare. 

È difficile fare previsioni puntuali. Così come è avvenuto, in modo meritevole e meritorio, l’avvio dell’impresa sociale “Con i bambini”, o più recentemente il Fondo Repubblica digitale o nel passato la Fondazione con il Sud, la vera risposta che il sistema delle Fondazioni può e deve dare va in quella direzione. Cioè riuscire, identificando progettualità, condivisa ovviamente con il Parlamento e il Governo, a percorrere nuove piste orientate a quella prospettiva. Perché, se pensiamo a “Con i bambini”, è formidabile l’esperienza compiuta in termini di impatto.

Nel momento in cui viene fuori la correlazione fra povertà e povertà e bassa istruzione.

Esattamente. Quell’esperienza è emblematica di come il sistema, le Fondazioni e lo Stato possono collaborare insieme, producendo benefici tangibili e utili. Non escluderei il fatto che quella modalità, da studiare ovviamente, condividendola dentro il sistema delle Fondazioni e poi con il Paese, possa prevedere altre aree di intervento. Più riusciremo a muoverci in quella direzione come sistema delle Fondazioni, più eserciteremo il nostro ruolo nel modo più adeguato e potremo anche mitigare o comunque mettere in un angolo tentativi maldestri che ogni tanto, come lei ricordava, si sono manifestati. Quindi, secondo me, quella è la pista sulla quale lavorare. 

Chiudo con una domanda più personale. Mi ricordo che l’ho conosciuta nel 2001, come presidente di Coop Adriatica. Lei ha una storia importante di cooperatore. Adesso è in un mondo diverso, una filantropia che viene dal Monte di Pietà, quindi diciamo… la Bologna “papale”, come cantava Francesco Guccini. Non è stata avvertita come una invasione di campo?

Non saprei dirlo, ma non mi pare. Questa esperienza è un’occasione importante per il mio percorso ulteriore. La vivo così, tranquillamente. E trovo che ci sia un filo rosso che collega questi diversi ambiti, seppure con modalità e punti di partenza diversi: il desiderio dell’inclusione, della solidarietà, della partecipazione, del vivere bene insieme. 

Qualcosa che unisce. 

Certo. L’abbiamo scritto nel nostro documento triennale: prendiamo come riferimento gli articoli 2 e 3 della Costituzione. Come ama dire sempre don Luigi Ciotti, lui agisce con il Vangelo e la Costituzione. E credo che qui ci sia la sintesi migliore.

L’han premiato anche di recente…

Già. Purtroppo, questi due riferimenti valoriali, ideali, hanno bisogno di molto supporto per affermarsi, ma tuttavia quella è la strada. Insomma, mi sembra una convergenza importante da affermare.

Leggi le altre puntate della serie Centimetri di comunità

Nella foto di apertura, un’immagine del progetto DancER, realizzato da LaborArtis che punta all’inclusione giovanile attraverso la danza. Sotto un’immagine del progetto Bella Vèz! per una terza età all’insegna del benessere, della cultura e dello stare insieme, realizzato da Arci Bologna e qui sopra, Per Aspera ad Astra della compagnia Teatro dell’Argine di S. Lazzaro (Bologna) che porta lo studio e la pratica del teatro e delle arti performative nelle carceri italiane. Tutte le foto sono dell’ufficio stampa di Fondazione del Monte di Bologna.

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