Complice l’apertura del neo presidente Trump, le criptovalute sono tornate al centro dell’attenzione (e della speculazione). Tra eccessi e ripensamenti, restano sul tavolo i temi che attraversano i Bitcoin fin dalla loro creazione nel 2009. Nonostante il no della Bce, la diffidenza dei governi nazionali (non tutti) e i casi di truffe, le monete digitali sono un tema di innovazione con cui fare i conti. Tanto che anche il più grande gruppo bancario italiano ha effettuato un mini-test. Ma i Bitcoin non sono solo finanza e aprono spazi di libertà per le comunità, soprattutto nei paesi a bassa intensità democratica.
Dal 3 gennaio 2009, anno della sua nascita, il Bitcoin ne ha fatta di strada. Satoshi Nakamoto, il suo misterioso papà (probabile però che dietro questo nome si nasconda una squadra), non avrebbe mai neanche lontanamente immaginato che, 16 anni dopo, la più nota tra le criptovalute, fosse tra in cima ai pensieri del presidente degli Stati Uniti, al punto da inserirla tra i primi provvedimenti firmati. Il primo giorno del suo nuovo mandato.
Il suo piano di trasformare gli Stati Uniti nella “capitale mondiale delle criptovalute” infatti si è subito messo in moto, tanto che nell’ordine esecutivo firmato giovedì 23 gennaio, il presidente americano ha istituito un “gruppo di lavoro sui mercati degli asset digitali”, che tra le altre cose avrà il compito di valutare la possibilità di creare una “riserva nazionale strategica di asset digitali”.
L’effetto Trump, solo speculazione antisistema?
Appena insediato, insomma l’effetto Trump sulle cripto c’è stato e si è visto. Il trend rialzista (così si chiama la corsa al rialzo) dei bitcoin, che hanno superato il valore di 100mila dollari, è stata la prima conseguenza del nuovo mandato conferito dal popolo americano al tycoon a stelle e strisce.
La seconda conseguenza? I memecoin (qui siamo alla pura speculazione finanziaria) di Donald e Melania hanno portato un sacco di soldi in casa Trump. Altre previsioni? Difficile farne per i prossimi mesi, certo è che l’attenzione verso il sistema delle criptovalute è tornato di moda (o forse non si è mai spento).
Disintermediazione e decentralizzazione
Lo scenario di partenza, va ricordato, anche per intendere la portata delle criptovalute, era quello dell’ottobre del 2008, quando un “libro bianco” di nove pagine (attribuito appunto a Satoshi Nakamoto) presentò i principi di questa valuta virtuale che “consentirebbe di effettuare pagamenti online da un istituto finanziario all’altro senza passare per le istituzioni finanziare”. Le parola chiave? Disintermediazione e decentralizzazione.
Dopo la grande crisi del 2008
Il Bitcoin «nasce in un altro mondo rispetto a quello delle nazioni, dell’Europa e della burocrazia di Bruxelles. Certo non per gli americani o gli italiani», spiega l’economista della Liuc, Marcello Esposito, «nasce per il mondo, in alternativa al sistema valutario e finanziario stabilito. Non a caso, nel 2008», dopo la grande crisi. «L’intenzione», chiarisce, «era fornire uno strumento che fosse indipendente da qualunque autorità e che fosse basato esclusivamente su un algoritmo matematico».
Asset class
Nel corso degli anni e malgrado la sua giovane età rispetto agli altri strumenti del mercato monetario, il Bitcoin si è reso protagonista di diverse avventure, nel bene e nel male. Tra alti e bassi, bolla del 2017 (scoppiata l’anno successivo), trascorsi normativi, falle nel sistema, Bitcoin è passato da essere considerato una realtà da anarco-capitalisti ad un asset class (tra i più rischiosi) e certo alternativa a quelle tradizionali come azioni, obbligazioni e materie prime.
Banca Centrale Europea: niente Bitcoin nelle riserve dei paesi Ue
Se da una parte Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea – Bce, ha espresso in questi giorni il suo scetticismo riguardo all’inclusione di Bitcoin nelle riserve monetarie di qualsiasi paese dell’Unione europea (perché, ha detto, le riserve dovrebbero essere liquide, sicure, affidabili e libere da qualsiasi sospetto di riciclaggio di denaro o altre attività criminali), dall’altra è innegabile che la criptovaluta si sia ritagliata un posto nel mondo della finanza e del mercato monetario.
Nel frattempo la Banca nazionale ceca ha approvato la proposta del presidente Aleš Michl di valutare di investire miliardi di euro delle riserve del Paese in bitcoin, una mossa che potrebbe rendere la banca centrale la prima banca centrale occidentale a detenere criptovalute.
Le truffe. L’anonimato garantito dalle criptovalute, la speranza di fare tanti soldi e l’essere incappato in una banda di criminali è però anche il meccanismo che ha portato allo stremo un ingegnere di Chivasso, che, raggirato con continue richieste di denaro, ha perso 200 mila euro in 4 mesi, e per la disperazione si è tolto la vita.
Il micro-test di Intesa Sanpaolo
e la battuta di Messina
In questo quadro, sospeso tra la fiducia che oggi attribuiamo agli intermediari tradizionali e le incognite di futuro che potrebbe andare verso un sistema decentralizzato (e disintermediato), va letta l’iniziativa di Intesa Sanpaolo, che ha investito circa 1 milione di euro per l’acquisto di 11 bitcoin. «Noi siamo una banca, ormai siamo leader europeo in termini di market cap, quindi non dovrebbe stupire se facciamo quello che fanno tutte le altre banche nel mondo», ha spiegato il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, confermando l’investimento del gruppo in criptovalute.
«Peraltro sono importi limitatissimi», ha sottolineato, «perché abbiamo 100 miliardi di euro di portafoglio titoli, quindi un milione di euro è un esperimento, è un test e credo dimostri di come ci può essere un’attenzione verso i canali digitali molto molto limitata in termini di investimento, ma soprattutto» dell’essere «pronti nel caso in cui alcuni clienti particolarmente sofisticati chiedessero di effettuare di queste forme di investimento».
Messina ha poi sottolineato: «Io stesso personalmente lo ritengo una forma di investimento che deve essere riservata a operatori istituzionali e a clienti veramente con grandissima professionalità e grandissime skill. Io stesso non investo in bitcoin».
560 milioni i possessori di criptovalute nel mondo
Ma quanto è esteso il fenomeno delle criptovalute? Uno degli exchange (piattaforme di scambio in cui è possibile comprare e vendere queste monete) più noti, Triple-A, ha dato anche i numeri. Secondo le stime di Triple-A, aggiornate al 2024, sono oltre 560 milioni i possessori di criptovalute nel mondo.
Tra i primi paesi per rapporto tra criptovalute e popolazione ci sono: Emirati Arabi (30.39%), Vietnam (21.19%), Stati Uniti (15.56%), Singapore (11.05%) Ucraina (10.57%), Venezuela (10.30%), Argentina (9.73%) e Russia (6.06%).
In termini assoluti, i paesi con maggior numero di possessori di criptovalute sono: India (93 milioni), Cina (59 milioni), Stati Uniti (52 milioni), Vietnam (20 milioni), Pakistan (15 milioni) e Iran (12 milioni).
Bitcoin e spinta al cambiamento
Tra l’ostracismo europeo e le aperture di Trump, c’è la capacità del miliardario di leggere e farsi portavoce della «grande voglia di cambiamento radicale del mondo occidentale, che è stanco delle solite ricette. Trump è un grandissimo venditore, sente l’aria che tira e sa che i Bitcoin sono uno strumento a cui gli americani guardano e su cui investono da parecchi anni», spiega sempre l’economista della Liuc.
Oltre la speculazione
Oltre alla speculazione, però, aggiunge, c’è un altro elemento: «La spinta verso il Bitcoin fa il paio con il controllo digitale dell’economia e della vita delle persone». Quanto più, precisa, «le autorità e i governi in generale cercano di supervisionare e controllare, tanto più forme di evasione da questo controllo prendono piede». Il Bitcoin «è una di queste», e, rimarca, «non è il male assoluto». Tutto quello che sta fuori dal sistema non è il male assoluto».
Nei paesi a bassa intensità democratica
Nei paesi a basso livello democratico e a forte controllo, precisa, «passare attraverso il sistema finanziario normale, quello bancario per intendersi», espone il cittadino «al controllo totale delle autorità». Un esempio? «Una donazione a favore di una ong impegnata nei diritti umani, fatta utilizzando i circuiti tradizionali, espone appena dopo il clic. Se invece», fa notare Esposito, «si passa attraverso il sistema delle criptovalute, le autorità non lo verranno a sapere».
Le comunità non si sono ancora rese conto delle potenzialità di avere una propria valuta e di decidere di regolamentare le transazioni. Sì, c’è il rischio di speculazioni e di manipolare la buona fede delle persone, ma ci sono potenzialità enormi. Anche etiche
Marcello Esposito – economista della Liuc
Anche una scelta di convenienza
Non solo, nell’uso delle criptovalute conta anche la scelta di risparmiare. «Mi sono avvicinato alle criptovalute una decina di anni fa», racconta, «per caso abbiamo scoperto che il principale loro utilizzatore a Milano erano le donne delle pulizie delle Filippine». Si servivano delle crypto «per trasferire i soldi delle rimesse: non pagavano i costi pazzeschi dei trasferimenti e inoltre restavano anonime».
In apertura foto di Icons8 Team per Unsplash
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