Dialoghi

Benedetta inquietudine. Intervista con Sandro Calvani

di Marco Dotti

"Il vero rivoluzionario come il buon samaritano si ferma a soccorrere sulla sua strada, senza andare a predicare il suo progetto ad altri". La sfida per costruire buone pratiche di condivisione passa da una presa di coscienza dove misericordia, felicità e inquietudine convivono nel progetto di un nuovo umanesimo

Du mußt dein Leben ändern, «devi cambiare la tua vita». Recitano così alcuni versi di Rainer Maria Rilke. Il poeta confessò di esserseli "sentiti dentro", quasi sussurrati dopo aver visto un antico torso marmoreo di Apollo, esposto nelle sale del Louvre. Nel 1908 Rilke tradusse quella "voce" in apertura della seconda parte delle Nuove poesie: «il suo torso arde ancora (…) / non vi è punto, qui, che non ti veda.Devi cambiare la tua vita».

Cambiare, ma come? Sandro Calvani, docente universitario a Bangkok, consigliere di importanti organismi internazionali (in calce all'articolo trovate la nota biografica), nel suo ultimo libro edito dall'Editrice Ave, richiama tre esperienza centrali "nella ricerca moderna di un nuovo umanesimo": misericordia, inquietudine, felicità. Un umanesimo che deve scendere sul campo. Perché è proprio lì che le cose accadono e che, nel concreto, si può davvero "cambiare la vita". Non solo la nostra.

Abbiamo incontrato Calvani, che ha accolto con piacere l'invito a dialogare con noi sul a partire dal suo bel libro Misericordia, inquietudine e felicità. Umanesimo… come in un ospedale da campo.

La disuguaglianza è una condizione quasi “naturalizzata”, ne conosciamo i numeri, ma non sappiamo come uscirne. Siamo davanti a uno dei paradossi più eclatanti di sempre: circa metà della ricchezza è detenuta dall’1% della popolazione mondiale, mentre il reddito dell’1% dei più ricchi del mondo ammonta a 110.000 miliardi di dollari, 65 volte il totale della ricchezza della metà più povera della popolazione del mondo. Non solo: il reddito di 85 persone appartenenti alla categoria degli high high rich equivale a quello di metà della popolazione mondiale. Livelli impressionanti. Tutti sanno, tutti parlano, tutti criticano, talvolta si mobilitano, ma la condizione del 99%,tanto meno quella del 1%, della popolazione globale non cambia. Sembra si sia generata una schizofrenia radicale fra ciò che sappiamo e ciò che possiamo.

Se misurassimo la disuguaglianza tra buone intenzioni o denunce scritte e dette rispetto a fatti o azioni di eliminazione delle povertà troveremmo un divario ancora più impressionante. Non c'è spreco maggiore al mondo dello spreco di cervelli nell'ipotizzare formule di restituzione se comparato con il poco sforzo nel cambiare la vita.

La sfida è diventare ciascuno homo sapiens solicitus, cioè persone nuove, comunità e genere umano che usa la propria intelligenza e la propria sapienza per costruire buone pratiche di condivisione. Il vero rivoluzionario come il buon samaritano si ferma a soccorrere sulla sua strada, prima (o forse anche senza)di andare a predicare il suo progetto ad altri.

La globalizzazione ha bisogno del suo filo di Arianna. Per ora ci siamo scontrati col Minotauro (paura, terrorismo, attacco all’intercultura). Il divide et impera sembra però più una componente sistemica – Saskia Sassen ha parlato a questo proposito di “formazioni predatori”, non di élites predatorie – che personale. Come muoverci?

Il filo di Arianna serve soprattutto per poter fare rapidamente qualche passo indietro quando ci si trova di fronte a un vicolo senza uscita. Ci accorgeremmo così che la maggior parte dei fenomeni dei quali abbiamo paura li abbiamo creati noi sbagliando strada nei decenni passati. Le nuove reti di cittadinanza attenta ed attiva, anche quelle online, possono riparare tali strappi, tramite un miglior discernimento collettivo che aiuta anche i più timorosi a una partecipazione ben pensata ed efficace.

Lei accenna alla necessità di un nuovo paradigma umanistico. L'umanesimo non era passato di moda? Come l’uomo stesso, d’altronde: non viviamo nell’era del post-umano, dove tutto è riproducibile e mercificabile, anche la merce-uomo?

La parola merce viene dal latino mercede, che significava sia misericordia che giusta condivisione dei bisogni essenziali. Infatti ancora oggi in inglese misericordia si dice mercy, e le merci vengono chiamate good, cioè bene, e in francese merci significa grazie per un dono ricevuto.

Il commercio, è nata come parola per condividere il bene. Le prime imprese nella storia dell'umanità costruivano e distribuivano ruote di legno per scambiare beni. È solo negli ultimi secoli che il profitto, il buon governo e il terzo settore sono divenuti divisi, distanti, in concorrenza tra loro e con scarsa fiducia reciproca.

L'unico umanesimo possibile in un mondo globalizzato è basato su una collaborazione tra "mercy" come misericordia, "commerce" come condivisione e scambio di bene e "mercì" come ringraziamento per uno scambio non orientato solo al profitto.

Questo paradigma ci serve per capire o ci è utile anche per agire? Il sottotitolo del suo libro rimanda a una frase di Papa Francesco sulla “Chiesa come ospedale da campo”….

Nel mondo in crisi per conflitti e malintesi ingarbugliati bisogna stabilire delle priorità in termini di importanza ed urgenza. Per questo il paradigma migliore è quello dell'ospedale da campo, che conosco bene per averci lavorato per decenni.

Il metodo umanitario non registra differenze di opinioni e comportamenti previ dell'assistito, o il suo genere, generazione, razza, religione, nazionalità o ceto sociale. Bada solo a salvare vite umane senza fare chiacchiere. Si tratta di una semplificazione efficace della complessità.

Chi usa questo metodo sa bene quanto esso costruisce felicità vera e duratura per tutti. La differenza tra aiutante e aiutato scompare trasformando ambedue e creando comunità.

Misericordia. Misericordia è una parola forte. Lei, nel suo ultimo libro Misericordia, inquietudine e felicità (Editrice Ave, Roma 2016), non si sofferma sulla misericordia divina, ma sulla sua “traduzione pratica”. Che cosa significa e che importanza hanno per tutti noi, cittadini del mondo, questa parola e questa pratica?

L'umanità di oggi dimentica che i recenti sviluppi della situazione dei beni comuni essenziali come cibo, acqua, aria, energia, conoscenza, salute, educazione hanno trasformato la Terra in un piccolo pianeta limitato di convivenza umana, in pratica un unico alveare, dove la salvezza di tutti è dovuta ai comportamenti di ciascuno.
Per questo la misericordia è oggi la vera legge fondamentale, il vero articolo 1 della Costituzione dell'umanità. È vero anche per chi non se ne è ancora accorto. Se non rispettiamo e non viviamo in ogni momento questa legge fondamentale stiamo distruggendo l'unico alveare che abbiamo. Il concetto non mi pare difficile, mi pare anzi evidente: basterebbe fermarsi un minuto a guardare una foto del globo terrestre visto dallo spazio.

Risonanza fra misericordia e felicità. O meglio: “consonanze utili tra misericordia e felicità”, così si esprime il suo ultimo libro. Ce ne parla?

Come in una buona sinfonia in un buon concerto, violini, trombe e pianoforte si aiutano e sono in sintonia, allo stesso modo è la vera esperienza di inseparabilità e complementarietà tra misericordia, inquietudine e felicità. Ogni volta che ne manca una, ogni impresa umana risulta stonata e poco o per nulla sostenibile. Nel libro ne racconto diverse esperienze ed esempi in ogni parte del mondo.

Inquietudine, altra parola chiave dei nostri giorni. Dobbiamo forse coltivare una sana inquietudine anziché anestetizzarla?

Io la chiamerei benedetta inquietudine, come la definiva Don Tonino Bello in un corso che insegnammo insieme agli obiettori di coscienza. Il quieto vivere è una palude di ozio e di noia.
A mettere in moto ogni passo avanti della storia umana c'è sempre stata una persona o una comunità inquieta. Fu la sua inquietudine e insoddisfazione come soldato e commerciante a stimolare San Francesco a divenire poi il più creativo leader di misericordia e costruttore di pace, bene e felicità.

L'ospite

Sandro Calvani è Consigliere speciale presso la Mae Fah Luang Foundation (sotto il patrocinio Reale) a Bangkok, in Thailandia e docente universitario di politiche per lo sviluppo sostenibile e gli affari umanitari.

Dal 1980 al 2010 è stato direttore di vari organi delle Nazioni Unite e della Caritas in 135 paesi. Membro del World Economic Forum, ha lavorato nel Global Agenda Council on Poverty. Specializzato in gestione delle emergenze sanitarie delle grandi popolazioni, gestione dello sviluppo e dei conflitti, si occupa con passione di innovazione, nuove economie circolari e cittadinanza attiva. Ha pubblicato 22 libri, oltre 700 articoli e 23 testi multi-autore. Ha ricevuto diversi premi internazionali per l’eccellenza della sua attività professionale per la giustizia e la pace.

Immagine di copertina: Taylor Weidman/Getty Images.

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