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Giovani e disagio

Bea, Sole e gli altri, recuperati a casa loro

di Rossana Certini

L'adolescenza è una fase della crescita complessa durante la quale i ragazzi possono vivere situazioni di disagio da non sottovalutare perchè, se non accompagnati nell'imparare a modulare l’intensità del dolore che provano, possono perdersi. Beatrice e Sole, grazie all'aiuto della cooperativa sociale centro "Train de vie" di Padova, che da 10 anni opera per sostenere i giovani in disagio psichico, oggi guardano con occhi nuovi al loro futuro ma non dimenticano i periodi duri. Le loro storie sono un messaggio di speranza: dal buio si esce se lo si riconosce e si chiede aiuto

L’ansia all’improvviso rapisce l’anima, annebbia i pensieri e rende labili i confini tra emozioni reali e irreali. La percezione della vita cambia e tutto è avvolto da un incomprensibile male di vivere. È il preludio di quello che comunemente si chiama disagio giovanile spesso non identificabile con una specifica patologia ma risultato di tante concause che mettono in crisi il benessere dei ragazzi.

«Dal primo giorno della scuola secondaria di primo grado i miei coetanei mi hanno isolata, esclusa, non considerata perché dicevano che ero troppo matura, troppo brava, troppo tutto per far parte del loro gruppo», racconta Beatrice, 16 anni e due occhi nocciola con cui ti guarda dritto nell’anima quando ti parla. Lei la sua forza la trova nel dare un nome, una data e un perché a tutto quello che le è capitato. È la sua testa a contenere tutte le sue emozioni.

«Il mio malessere», racconta, «inizia a manifestarsi il 17 maggio 2020. Quel giorno sono stata assalita da forti attacchi d’ansia. Non sapevo spiegare quello che mi stava accadendo. Ho cominciato un percorso di analisi e farmaci. Tra alti e bassi sono arrivata a ottobre 2022 quando, stavo così male, che ho chiesto di essere ricoverata in pediatria a Padova. Tutte le emozioni che vivevo mi davano sensazioni negative e pensavo che l’unico modo che avevo per stare bene fosse non sentire più nulla».

Beatrice racconta che alle elementari era una bambina allegra ed estroversa. Inizia a trasformarsi durante gli anni della scuola secondaria di primo grado. «Ho cominciato a misurare il mio valore dai voti che prendevo, da quello che pensavo o da quello che gli altri pensavano di me», racconta, «i compagni di classe mi hanno sempre definita troppo matura per la mia età e con questa scusa mi hanno messa idealmente su un piano diverso dal loro. Non mi sentivo accettata socialmente. Di fatto non avevo amici, non per mia volontà ma perché loro non mi vedevano, non mi consideravano, dando per scontato che io stessi bene nella mia situazione di diversità. Tutto questo, giorno dopo giorno, si è trasformato in un macigno dentro di me che all’esterno è esploso sotto forma di ansia».

In ospedale Beatrice ha conosciuto Elena Nobile, educatrice della cooperativa sociale centro Train de vie attiva dal 2013 sul territorio padovano con servizi a sostegno dei giovani e degli adolescenti in disagio psichico. Accompagnata dall’ équipe della cooperativa in un percorso di riavvicinamento alla scuola, agli amici e alla vita sociale, Beatrice ha iniziato a prendere parte ad alcune attività del centro Train de vie come il gruppo di studio "Le vele", creato per riavvicinare ragazzi in disagio psichico all'esperienza di studio.

«Con il tempo» prosegue Beatrice «ho imparato che non devo lottare contro questa cosa che ho dentro ma devo conviverci. Ho iniziato a star bene quando ho smesso di pensarci. A dicembre del 2022 ero a Roma con la mia famiglia. Mi sono svegliata, il sole entrava dalla finestra e tutto il mondo ha assunto ai miei occhi un altro colore. Ricordo con chiarezza quegli istanti perché ero sgomenta, non capivo cosa mi fosse successo. Qualcosa dentro di me si è mosso e io ho ricominciato a vivere. Ho iniziato a prendere consapevolezza di quelle che sono le mie capacità e le ho messe in relazione con quelle degli altri. Ho imparato che sto bene con amici più grandi di me e che ho voglia di gustarmi tutto della vita. Vorrei frequentare l’università all’estero. Studiare fisica o astronomia. Ma sogno, anche, una carriera da filosofa o psicologa».

Il centro Train de vie porta avanti, anche, un servizio educativo a domicilio che aiuta i ragazzi e le ragazze in disagio psichico a riavvicinarsi alla loro quotidianità. È così che l’educatrice Elena Nobile, quattro anni fa, ha conosciuto Sole che oggi ha 21 anni e frequenta l’università. «Era un afoso pomeriggio estivo quando, per la prima volta, sono entrata a casa di Sole», racconta, «il senso del mio intervento a domicilio era quello di aiutare la stupenda “ragazza rasta” a studiare per recuperare le due materie insufficienti: matematica e inglese. L’incontro non è stato dei più semplici: lei era con un gruppo di amiche e non voleva saperne di staccarsi da loro anche solo per conoscermi. Poi, piano piano, iniziando a conoscerci, abbiamo trovato il nostro modo di stare insieme. Sole si è lasciata guidare per studiare e soprattutto per entrare in relazione».

Purtroppo però dopo nemmeno una settimana dall’inizio del nuovo anno scolastico, Sole ha espresso con chiarezza la sua sofferenza per quell’ambiente. Così, in accordo con l’équipe della ragazza, una neuropsichiatra e una psicologa, e la famiglia è stata inserita in un contesto terapeutico di semi-residenza per quattro giorni a settimana.

«Sole aveva e ha una profonda capacità di leggersi e interrogarsi e ciò ha rappresentato un'importantissima risorsa nel percorso insieme», prosegue Nobile, «non è stato semplice. Ci sono stati dei momenti di crisi in cui il rischio era quello di doverla ricoverare. Ma grazie a una famiglia sempre presente e accudente, al lavoro sinergico dell’équipe e allo slancio vitale di Sole, non è mai entrata in ospedale. Nei momenti di maggiore difficoltà di Sole ricomparivano i tagli, le urla, la chiusura a riccio. Ma, da quando è iniziato il suo percorso, Sole si è creata una propria “cassetta per gli attrezzi” per far fronte ai momenti di difficoltà che le permette di gestire molto bene i momenti di buio che inevitabilmente possono tornare».

Oggi Sole è iscritta al secondo anno di filosofia. Ogni tanto, solo per il piacere di un tempo condiviso, s’incontra con l’educatrice con la quale continua a interrogarsi sulle questioni esistenziali. Diversamente però da qualche anno fa, la relazione non è più asimmetrica, ma si sta creando una vera e propria relazione umana.

«Ho un rapporto conflittuale con la mia ansia», spiega Sole, «non comunico con “lei” perché credo che non ha proprio nulla da dirmi. Mi fa solo arrabbiare. Quando sono stata male il tempo passava lentamente. Un minuto di ansia sembrava un giorno. Ora che ne sono fuori tutto scorre veloce e se mi guardo indietro penso che questo malessere mi ha derubata di tanti anni di vita. Un tempo andato che sa di nostalgia».

Train de vie festeggia quest'anno dieci anni di lavoro nel campo degli interventi educativi e di sostegno, specialmente per bambini e adolescenti; ma anche della costruzione di reti sul territorio in grado di migliorare i servizi e le relazioni tra cittadini.

Nel territorio padovano, collabora con moltissime realtà pubbliche e private: dai servizi sociali ad altre cooperative con le quali gestisce i ragazzi più a rischio grazie ai Centri di animazione territoriale (Cat), spazi di doposcuola presenti nelle zone più “difficili” della città che esercitano la cosiddetta educativa di strada. Molto importanti sono anche gli interventi a elevato impatto sociale progettati e programmati con enti e istituzioni pubbliche a servizio dello sviluppo di comunità e di reti territoriali.

«Crediamo molto nel lavoro di rete», conclude Elena Nobile, «infatti operiamo con due équipe una interna a Train de vie e una multidisciplinare con operatori esterni come il neuropsichiatra, che afferisce o al territorio o all’ospedale, lo psicoterapeuta che è o nostro consulente esterno oppure privato, e un nostro educatore. Interveniamo a domicilio, come nel caso di Sole, o nei nostri centri come nel caso di Beatrice che frequenta il nostro gruppo "Le vele". L’équipe è fondamentale per il lavoro con gli adolescenti. Il singolo professionista, sia esso lo psicologo o l’educatore, ottiene pochi risultati con i ragazzi. Crediamo che questi giovani non vadano accolti nelle loro “parti rotte” ma nelle loro risorse. E nel tempo ci accorgiamo che proprio le loro fragilità diventano risorsa. Tutti noi dobbiamo imparare ad abitare l’incertezza nelle nostre vite. Certo questo inevitabilmente prevede attraversare il dolore. Tutti abbiamo dei momenti di fragilità. La differenza la fa l’intensità con cui viviamo il dolore e attraversiamo queste fasi. I ragazzi devono essere guidati a imparare come modulare l’intensità del dolore che provano».


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