Dalí Nolasco Cruz

«Ascoltate noi indigeni se volete salvare l’ambiente»

di Anna Spena

Dalí Nolasco Cruz è una leader indigena messicana e membro del Consiglio Internazionale di Slow Food. «La più grande biodiversità del pianeta si trova nei territori dei popoli indigeni. Molti credono che ci opponiamo al progresso o allo sviluppo. Ma non è così: noi proviamo a difendere la terra»

Dalí Nolasco Cruz, leader indigena messicana e membro del Consiglio Internazionale di Slow Food, si è unita al nel 2008. In questi giorni è a Torino per “Terra Madre Salone del Gusto 2024” (26 settembre – 30 settembre). La manifestazione è organizzata da Slow Food, Città di Torino e Regione Piemonte. Terra Madre è una rete internazionale permanente che coinvolge agricoltori, allevatori, pescatori, artigiani del cibo, accademici, cuochi, consumatori e gruppi di giovani di oltre 160 Paesi, impegnati ogni giorno per promuovere un nuovo modello economico, agricolo, alimentare e culturale. La 15esima edizione, “We Are Nature”, è dedicata al cibo buono, pulito e giusto per tutte e tutti e alle politiche alimentari, e pone l’accento sulla necessità di una nuova relazione con la natura attraverso il cibo, l’elemento più potente che ci riconduce alla terra. Questo percorso è il frutto delle riflessioni che Slow Food ha avviato e condiviso a livello italiano e internazionale con la rete di soci, produttori e artigiani, cuochi, pastori e pescatori, istituzioni, realtà della società civile e partner in quasi 40 anni di storia dell’associazione (1986 nascita di Slow Food Italia) e in 20 anni di Terra Madre (2004 la prima edizione).

A quale comunità indigena appartiene?

Faccio parte della comunità di indigeni di Nahua di Tlaola, cittadina dello stato di Puebla, sulle pendici della Sierra Norte, in Messico. Una comunità rurale circondata dalle montagne. Appartengo a una famiglia che lavora da molti anni per la difesa dei diritti e della cura della Madre Terra: ho imparato da mia madre, dalle mie zie e dalle donne con cui lavoriamo nella mia comunità. Andavo in campagna con mia nonna e sua madre che sapevano leggere le nuvole, capire il vento e ascoltare il canto degli uccelli. Osservavano e ascoltavano sempre e mi dicevano di prestare attenzione perché gli animali, le piante e gli alberi hanno sempre qualcosa da insegnarci: ci anticipavano se il raccolto dell’anno sarebbe stato buono. Le donne indigene sono fondamentali per la protezione e la continuazione delle tradizioni delle comunità. Trasmettono la saggezza ancestrale ai loro figli e si occupano di salvaguardare le conoscenze tradizionali necessarie a preservare la cultura alimentare, le pratiche di coltivazione agroecologica e la terra. Insieme al fervore e alla nuova energia dei loro giovani, le donne sono fondamentali per la sopravvivenza e il futuro delle comunità. Mia madre è una delle fondatrici del progetto Mopampa, avviato dalle donne della comunità con l’obiettivo di coltivare il peperoncino serrano. Oggi sono rimasti solo 5 dei membri originari, mentre i nuovi membri sono le loro figlie e nipoti.  Queste donne lavorano insieme per rompere le barriere e lo stigma sul loro posto nella società. Il loro progetto ha dato potere alle donne indigene dal punto di vista economico, in modo che abbiano la possibilità di esercitare i loro diritti di avere un lavoro, di essere valorizzate, di essere indipendenti. Della mia comunità amo che nonostante le avversità continuiamo a resistere, continuiamo a lottare per il nostro territorio. Penso che vivere in una comunità indigena sia un dono. Il nostro territorio è un dono, una benedizione. Ma richiede grande lavoro: va sempre difeso, va sempre curato. Chiunque sia nato in un popolo indigeno ama la sua terra: lì siamo nati, lì vogliamo morire. E tutti i popoli indigeni sanno che tutelarla questa terra è un lavoro quotidiano.

L’80% della biodiversità mondiale è curata e preservata dalle popolazioni indigene. Come dovrebbe supportarvi il ​​resto della comunità?

È vero, la più grande biodiversità del pianeta si trova nei territori dei popoli indigeni. E penso che la comunità internazionale debba impegnarsi di più nella difesa della Terra Madre. Nella difesa della biodiversità non solo biologica, ma anche culturale. E credo anche che le comunità indigene debbano essere più coinvolte a livello politico. I popoli indigeni devono unirsi, aprire spazi, far sentire la loro voce. Difendere la Terra Madre è un obbligo di tutti. I popoli indigeni hanno mantenuto per secoli le tradizioni dei loro territori, questo ha permesso di conservare la biodiversità: le nostre pratiche devono essere replicate. E per farlo la comunità internazionale deve dialogare e collaborare con noi. Anche se la scienza ha fatto progressi con nuove pratiche valide, la connessione tra i popoli indigeni e la Madre Terra dovrebbe essere presa in considerazione quando si tratta di prendere decisioni politiche. Quando parliamo di difesa dei sistemi alimentari, intendiamo difendere il territorio, le risorse naturali, la lingua, la comunità e il nostro stesso essere. I popoli indigeni cercano di essere in armonia con la Madre Terra, il che va contro gli interessi politici ed economici dei Paesi – e quindi veniamo percepiti come una minaccia significativa per questi poteri. Molti credono che ci opponiamo al progresso o allo sviluppo. 

Com’è nato il rapporto con Slow Food?

Grazie a mia madre. Lei è una contadina, è stata invitata a Terra Madre nel 2008. Ha conosciuto questo movimento e disse: “Noi indigeni facciamo Slow Food ogni giorno”. Da quando ha partecipato alla manifestazione del 2008 non si è più sentita sola. La mia comunità ha aderito a Slow Food nel 2008 e io ho conosciuto Carlo Petrini (il fondatore di Slow Food ndr) nel 2013 ad un corso di formazione dei leader indigeni. Nel 2014 ho partecipato per la prima volta a Terra Madre. Da quel momento ho capito che la strada di Slow Food e la mia erano sempre più legate, e la difesa della terra per me ha assunto anche un forte valore politico. Così mi hanno invitato a far parte del comitato consultivo globale, ero già coordinatrice della Rete per l’America Latina e i Caraibi. Oggi faccio parte del consiglio di amministrazione. Grazie a Slow Food ho potuto incontrare migliaia di difensori dei sistemi alimentari. Questa realtà mi ha permesso di far sentire la voce dei popoli indigeni. Terra Madre, poi, ci permette di riunirci, abbracciarci, ascoltare e condividere il cibo. È anche una delle principali piattaforme del movimento Slow Food per far sentire la voce di produttori, agricoltori e attivisti in tutto il mondo. A Terra Madre condividiamo esperienze che possono essere replicate e ispiriamo le persone a vedere che, anche se siamo in una crisi che può sembrare fatale, abbiamo ancora opportunità per salvare la Madre Terra e noi stessi. Anche quest’anno Terra Madre sarà uno spazio di ispirazione, uno spazio per rompere i paradigmi, uno spazio dove le persone sensibilizzano e si uniscono alla nostra lotta per la Madre Terra. Non possiamo difenderla da soli, abbiamo bisogno di sempre più persone per cambiare la realtà del mondo, quindi quello che offro è tutta la mia esperienza, tutta la mia gioia e tutte le storie che abbiamo da raccontare. Quello che faccio è un appello urgente all’azione collettiva: stiamo vivendo un momento critico e non possiamo restare ad osservare, dobbiamo essere tutti insieme i protagonisti di un cambiamento necessario. La Madre Terra ha bisogno di noi e noi abbiamo bisogno di lei.

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