Lo psichiatra pugliese è uno dei maggiori esperti di anoressia, bulimia e disturbi del comportamento alimentare: patologie che contano in Italia 4 milioni di pazienti. Fra gli adolescenti dopo la pandemia la domanda di cura è aumentata del 150-200%. Cosa chiedono i ragazzi? «Adulti presenti, che li ascoltino»
«Dove stanno fallendo alcune famiglie? Nel non capire le inquietudini dei loro figli o nel sottovalutarle. Oppure nel capirle e valutarle bene ma nel non sentirsi idonei ad affrontarle. In questi frangenti sono importanti il supporto psicologico e l’intervento di un servizio Asl o di una comunità specializzata nei disturbi alimentari». Leonardo Mendolicchio, psichiatra foggiano di 46 anni, ha maturato notevole esperienza in questo ambito. È il responsabile della Riabilitazione Disturbi alimentazione e nutrizione – Dan all’Istituto Auxologico di Piancavallo (Verbania), dove guida i due reparti per adulti e minori. Inoltre, ha fondato i centri Food for Mind, una rete che permette l’assistenza su queste problematiche in 18 città italiane, dopo i percorsi comunitari o clinici. Mendolicchio è anche direttore scientifico della comunità Lo Specchio di Domusnovas (Cagliari) e questa mattina, nel capoluogo sardo, è intervenuto al convegno “Aprire Orizzonti” organizzato da Casa Emmaus di Iglesias.
Dottor Mendolicchio, cominciamo dagli aspetti concreti: come si svolge una giornata tipo in una comunità che accoglie ragazzi con disturbi del comportamento alimentare?
Tendenzialmente la giornata è molto ben scandita. Questi ragazzi hanno bisogno di avere ritmi di vita molto precisi e, da un certo punto di vista, ripetitivi. Il cuore dell’intervento è sempre psicologico, psicoterapico e di assistenza al pasto: sia esso la colazione, il pranzo o la cena. I ragazzi mangiano tutti insieme, con gli operatori. Poi ci sono le attività di psicoterapia, individuale e di gruppo: queste ultime sono molto importanti perché si tratta di imparare di nuovo a socializzare, in quanto il disturbo alimentare è caratterizzato anche dalla tendenza all’isolamento. Altre attività invece riguardano l’arte-terapia e il corpo: diamo molta importanza alle lezioni di yoga, perché soprattutto le ragazze fanno fatica a sentire il loro corpo, dunque ben vengano tutte le azioni riabilitative che aiutano a percepirlo in una dimensione più sana. Infine, ci sono tutte le visite mediche e il percorso clinico che servono a capire come va il recupero. Non mancano le attività esterne: il bello della Sardegna è che offre soluzioni straordinarie e variegate, dal mare alle zone interne. Fra parentesi, confesso che mi sono innamorato di questa terra: quando sarò in pensione, mi trasferirò a vivere nell’Isola.
La fase più difficile è quella iniziale? Come si convincono persone che hanno un pessimo rapporto con il cibo a nutrirsi correttamente?
In verità, non hanno un vero e proprio rigetto: hanno soltanto paura. E una fame mostruosa. Le tranquillizziamo, facendo capire loro che, mangiando in un regime equilibrato e condiviso con noi, spariscono le fantasie di ingrassare all’infinito.
Non hanno un rigetto del cibo, hanno solo paura
Leonardo Mendolicchio
Lavorate anche sul versante famiglia? È proprio in quel contesto che spesso nascono le cause che originano tali patologie alimentari.
Le famiglie fanno con noi un doppio lavoro: il singolo nucleo, online o in presenza a seconda del caso, riceve un supporto che consente di affrontare le dinamiche familiari che possono essere state determinanti nella genesi del disturbo alimentare. Da un altro lato le famiglie lavorano insieme: si sostengono vicendevolmente e noi supportiamo questo prezioso lavoro di auto-mutualismo. Le nuove famiglie si confrontano con quelle già esperte sul tema e questo è di grande aiuto. Noi cerchiamo di facilitare il percorso tra i differenti vissuti.
L’estetica è un fattore non trascurabile, nel percorso di queste persone.
Diciamo che l’arte è uno strumento terapeutico fondamentale. Ma il tema dell’anoressia è legato alla perfezione, non alla bellezza. Attraverso l’arte si impara che la perfezione non è l’oggetto del piacere o dell’essere soddisfatti per un impegno o per un atto anche artistico che si persegue. L’arte è imperfetta e si nutre della sua imperfezione attraverso la possibilità di mostrare questo alle ragazze, con persone competenti. Questo ha un valore terapeutico notevole, infatti è una tecnica collaudata che dà ottimi risultati.
Il tema dell’anoressia è legato alla perfezione, non alla bellezza. Attraverso l’arte i ragazzi imparano che non è la perfezione l’oggetto del piacere. L’arte è imperfetta e si nutre della sua imperfezione. Questo ha un valore terapeutico notevole
Gli specchi, per le persone alle prese con queste patologie, possono essere visti come nemici da combattere. Però la comunità di Casa Emmaus che lei dirige si chiama Lo Specchio.
È un nome provocatorio. Da un lato i ragazzi cercano il grande oggetto fantasmatico per controllare l’immagine corporea, dall’altro lo temono e si fanno molto ingannare. Quando guariscono, lo specchio ritorna a essere un interlocutore come lo è per ognuno di noi, col quale scherziamo e diventiamo ironici. In realtà, c’è un grande specchio al quale nessuno di noi può sottrarsi, che è lo sguardo dell’altro. Le ragazze sono tremendamente impaurite dal giudizio degli altri. Si specchiano perché distolgono questo tema, diventano giudici di sé stesse.
I dati ufficiali su queste patologie mostrano alcune tendenze piuttosto chiare.
Sì, e ci dicono che qualcosa è accaduto nel periodo della pandemia e subito dopo. Soprattutto durante il lockdown, abbiamo registrato un aumento dei disturbi alimentari pari al 40% nell’età dai 10 ai 13 anni. Di contro, il numero dei già esigui servizi sanitari dedicati a queste malattie è calato drasticamente: è accaduto in tutta l’Italia, ma anche nel resto dell’Europa. È un interessante paradosso: i servizi diminuiscono con l’aumentare dei pazienti. Lo considero un crash sanitario molto pericoloso.
Specchio sì/specchio no? C’è un grande specchio al quale nessuno di noi può sottrarsi, che è lo sguardo dell’altro. Le ragazze sono tremendamente impaurite dal giudizio degli altri e si specchiano perché così distolgono questo tema, diventano giudici di sé stesse
Il Covid ha contribuito certamente a paralizzare la sanità pubblica. Ma tirare ancora in ballo quel virus oggi non è fuorviante?
Bisognerebbe cambiare il paradigma di analisi dei fenomeni. Da quando è stata varata la riforma sanitaria di natura aziendalistica, siamo stati abituati a guardare i numeri in quanto tali; dimenticando che i numeri che hanno a che fare con la sanità e con i bisogni di salute delle persone, vanno trattati molto diversamente da un contesto che investe una qualunque azienda. Quantificare in termini economici una prestazione sanitaria, è possibile, ma si rischia di brutalizzare la prestazione stessa senza dare il peso ad altri aspetti che contano molto. In sanità, uno non vale sempre uno. I manager devono assicurare la giusta complessità ai numeri della salute pubblica.
Quali sono i dati aggiornati? Quali i contorni della situazione oggi?
In Italia contiamo oltre quattro milioni di pazienti. Sono tanti. Il 60% di essi è concentrato nella fascia d’età che va dai 13 ai 16 anni. Il rapporto maschio-femmina è rimasto pressoché inalterato rispetto al passato: è di 2 a 8. L’incremento della domanda di cura dopo la pandemia è aumentato del 150-200%. Inoltre, l’età si è notevolmente abbassata: aumenta la cosiddetta anoressia prepuberale, che è pure la più difficile da curare e la più pericolosa dal punto di vista medico. Se una ragazzina non ha completato lo sviluppo, cioè non è arrivata al menarca, può avere una serie di complicanze dal punto di vista organico. Per quanto riguarda la bulimia, la percentuale femminile è sempre più alta rispetto a quella maschile, tuttavia il numero dei maschi sta aumentando perché anche loro stanno prestando una certa attenzione al loro corpo, alla fisicità, al look.
Rispetto a 40 anni fa, c’è molta più informazione che dovrebbe aiutare i giovanissimi a non cadere in certe trappole. Vale anche per le dipendenze.
È vero, ma la realtà è molto più complessa. La società di oggi produce molti adolescenti con fragilità emotive e psicologiche abbastanza chiare, che prendono differenti strade di risoluzione: le dipendenze, i comportamenti antisociali e alcune forme di bullismo, per esempio. I disturbi alimentari sono una modalità con cui questi ragazzi tentano di rispondere alle loro fragilità e alle loro impotenze. La questione non è mai il sintomo, semmai è quello che c’è sotto. Oggi è sin troppo chiaro che abbiamo tantissimi adolescenti fragili che individuano soluzioni cruente e dannose.
E le risposte della sanità pubblica non sono adeguate, pare di capire.
Siamo al punto zero. Nessuno ha messo in agenda la questione, né a livello nazionale né a livello locale. La scorsa legislatura ha messo a disposizione 40 milioni di euro, Draghi ha compiuto un atto importante. Però oggi ci troviamo in una situazione drammatica ed emergenziale. Bisogna riflettere subito su come cambiare la gestione della sanità pubblica. Troviamo un quadro disomogeneo, a macchia di leopardo: ci sono regioni più attrezzate, come Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna. A mano a mano che si scende al Sud, cambia il panorama. Fa eccezione la Sardegna: la comunità Lo Specchio ospita molte ragazze che arrivano persino dalla Lombardia, che ha sì numerose strutture ma sempre insufficienti per dare risposte alle tante domande. Serve, poi, un’indagine epidemiologica seria che consenta di conoscere a fondo il problema: è come se ci trovassimo in una stanza buia e procedessimo a tentoni per non andare a sbattere in uno spigolo.
Serve fare un’indagine epidemiologica seria, per conoscere a fondo il problema: è come se ci trovassimo in una stanza buia e procedessimo a tentoni per non andare a sbattere
Che cosa chiedono, in particolare, gli adolescenti agli adulti?
Soprattutto la presenza. E l’ascolto. Attenzione, in poche parole. Desiderano un mondo di adulti presente e partecipe ma purtroppo non ricevono risposte adeguate. Le famiglie, e più in generale tutte le agenzie educative, devono interrogarsi su quanto sono presenti nell’orizzonte emotivo ed esperienziale degli adolescenti, e poi correggere il tiro alla luce delle oggettive analisi che si possono fare. Ricordiamoci che, nell’ambito della salute mentale, i disturbi alimentari sono le patologie con il più alto tasso di mortalità (6mila casi all’anno, un’ecatombe, ndr) ma anche con una percentuale di guarigione elevatissima, a differenza delle dipendenze da alcol e droghe. Molto dipende dalla qualità e dalla tempistica degli interventi. Prima curiamo e meglio curiamo, e più pazienti possono guarire. Questo ci deve responsabilizzare ancora di più. Il 75% delle ragazze con anoressia, entro i cinque anni dall’esordio della patologia, in due anni riesce a guarire. La bulimia invece è assestata al 62%.
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